venerdì 7 marzo 2025

Corso di storia dell'arte: 85 Lombardia rinascimentale

Lombardia

Con la chiamata di Leon Battista Alberti e di Andrea Mantegna alla corte di Ludovico Gonzaga, Mantova cambiò volto. L'Alberti applicò ad alcuni edifici sacri il linguaggio romano imperiale, come nella chiesa di San Sebastiano e nella basilica di Sant'Andrea. Contemporaneamente con la decorazione della Camera Picta nel Castello di San Giorgio, Andrea Mantegna diresse i suoi studi verso una prospettiva dagli esiti illusionistici. Al tempo di Isabella d'Este la corte mantovana fu una delle più raffinate in Italia, dove Mantegna ricreava i fasti dell'impero romano (i Trionfi di Cesare) e la marchesa collezionava opere di Leonardo da Vinci, Michelangelo, Perugino, Tiziano, Lorenzo Costa e Correggio. L'amore per le arti venne pienamente trasmesso al figlio Federico, che nel 1524 impresse una svolta "moderna" all'arte di corte con l'arrivo di Giulio Romano, allievo di Raffaello, che creò Palazzo Te affrescandovi la celebre Sala dei Giganti. Milano invece fu interessata dalla cultura rinascimentale solo dall'epoca di Francesco Sforza, in cui l'arrivo di Filarete e la costruzione e decorazione della cappella Portinari portò le novità fiorentine aggiornate alla cultura locale, amante dello sfarzo e della decorazione. Numerose furono le imprese avviate in quegli anni, dal Duomo di Milano alla Certosa di Pavia, il Duomo di Pavia, dalla piazza di Vigevano al castello di Pavia. Fu però soprattutto con la generazione successiva che la presenza di Bramante e Leonardo da Vinci impresse alla corte di Ludovico il Moro una decisa svolta in senso rinascimentale. Il primo ricostruì, tra l'altro, la chiesa di Santa Maria presso San Satiro (1479-1482 circa), dove emergeva già il problema dello spazio centralizzato. L'armonia dell'insieme era messa a rischio dall'insufficiente ampiezza del capocroce che, nell'impossibilità di estenderlo, venne "allungato" illusionisticamente, costruendo una finta fuga prospettica in stucco in uno spazio profondo meno di un metro, con tanto di volta cassettonata illusoria. Leonardo invece, dopo aver faticato a entrare nei favori del duca, fu a lungo impegnato nella realizzazione di un colosso equestre, che non vide mai la luce. Nel 1494 Ludovico il Moro gli assegnò la decorazione di una delle pareti minori del refettorio di Santa Maria delle Grazie, dove Leonardo realizzò l'Ultima Cena, entro il 1498. L'artista indagò il significato più profondo dell'episodio evangelico, studiando le reazioni e i "moti dell'animo" all'annuncio di Cristo del tradimento da parte di uno degli apostoli, con le emozioni che si diffondono violentemente tra gli apostoli, da un capo all'altro della scena, travolgendo il tradizionale allineamenti simmetrico delle figure e raggruppandole a tre a tre, con Cristo isolato al centro (una solitudine sia fisica che psicologica), grazie anche all'incorniciatura della scatola prospettica. Spazio reale e spazio dipinto appaiono infatti legati illusionisticamente, grazie anche all'uso di una luce analoga a quella reale della stanza, coinvolgendo straordinariamente lo spettatore, con un procedimento analogo a quanto sperimentava in quegli anni Bramante in architettura. La tumultuosa scena politica, con la cacciata degli Sforza e la dominazione prima francese e poi spagnola, non scoraggiò gli artisti, che anzi tornarono a più riprese a Milano, compreso Leonardo. Il Cinquecento fu dominato in pittura dalla scuola dei leonardeschi, da cui si distaccarono alcune personalità come Gaudenzio Ferrari e i bresciani Romanino, Moretto e Savoldo, seguiti qualche decennio dopo da Giovan Battista Moroni. La seconda metà del secolo fu dominata dalla figura di Carlo Borromeo, che promosse un'eloquente arte controriformata, trovando come interprete principale Pellegrino Tibaldi.

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