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Veneto
Quattrocento
Nella prima metà del Quattrocento diversi artisti fiorentini visitarono Venezia e Padova, senza tuttavia attecchire molto nelle scuole locali, legate soprattutto al retaggio bizantino. A partire dal 1443 Donatello si stabilì però a Padova, facendone in un certo senso la capitale del Rinascimento nell'Italia settentrionale, che con un effetto a catena si propagò velocemente in numerosi centri limitrofi. Città della prestigiosa Università e del culto di sant'Antonio da Padova, sviluppò un gusto "archeologico" per l'antichità, legato cioè a una rievocazione il più possibile filologica (in realtà più fantasiosa e idealizzata che reale), legata a tutti i tipi di fonti e reperti disponibili, soprattutto epigrammi. La cultura averroistica-aristotelica e il gusto per l'antiquariato romano-imperiale che fin dal Duecento, col soggiorno di Petrarca, era stato prediletto dai Da Carrara, creò un clima favorevole all'attecchire dell'arte rivoluzionaria di Donatello, esaltato da uomini di cultura come Ciriaco d'Ancona, Felice Feliciano e Giovanni Marcanova. Lo scultore fiorentino si distinse per il monumento Gattamelata e l'Altare del Santo, opere espressive e forti, scevre da orpelli decorativi e dalla retorica gotica. A parte Bartolomeo Bellano, furono soprattutto i pittori a cogliere la lezione di Donatello, con la bottega di Francesco Squarcione che divenne la fucina di numerosi maestri della futura generazione, in maniera diretta o indiretta. Tra gli allievi diretti Marco Zoppo, Giorgio Schiavone e Carlo Crivelli, attivi poi soprattutto in area adriatica, Michael Pacher, primo artista "rinascimentale" in area tedesca, e Andrea Mantegna, che con gli affreschi agli Eremitani creò un modo nuovo di intendere la monumentalità del mondo romano. Ai modelli padovani si rifecero poi indirettamente artisti veneziani (i Vivarini e Giovanni Bellini), ferraresi (Cosmè Tura), lombardi (Vincenzo Foppa), dalmati (Giorgio di Matteo). Nel frattempo a Venezia si registravano lenti passi verso le novità rinascimentali, come con l'adozione della prospettiva da parte di Jacopo Bellini. Suo figlio Giovanni, dopo essere stato influenzato da Mantegna (suo cognato), avviò quella rivoluzione del colore che divenne poi l'elemento più riconoscibile della scuola veneziana. Ispirato dal passaggio di Antonello da Messina in Laguna (1475-1476), avviò ad usare una luce dorata che creasse quell'impalpabile senso dell'atmosfera, dell'aria che circola, procedendo dalle figure al paesaggio dello sfondo, ora trattato con sublime finezza grazie all'adozione della prospettiva aerea inventata dai primitivi fiamminghi e da Leonardo. All'ombra di Bellini lavorarono suo fratello Gentile e Vittore Carpaccio, protagonisti della prima stagione dei "teleri" cioè le grandi decorazioni pittoriche su tela delle sedi delle confraternite locali. Architettura e scultura si avvalevano soprattutto dell'iniziativa portata avanti dai grandi cantieri di San Marco e di Palazzo Ducale, con artisti soprattutto lombardi. Mauro Codussi, conoscitore dei modi fiorentini, portò per primo lo studio della geometria nella razionalizzazione degli edifici.
Cinquecento
Fu soprattutto nel secolo successivo, con Jacopo Sansovino, che la città si dotò di un nuovo volto rinascimentale, creando un avveniristico (per l'epoca) progetto urbanistico nella riqualificazione di piazza San Marco. Il nuovo secolo si era aperto col soggiorno di Leonardo da Vinci e di Albrecht Dürer, apportatori di novità che colpirono molto l'ambiente artistico veneziano. Da Leonardo Giorgione sviluppò un modo di colorire che non delimita puntualmente i contorni tra figure e sfondo, prediligendo il risalto dei campi di colore e un'intonazione pacata e malinconica per le sue opere. Si tratta della rivoluzione del tonalismo, alla quale aderì anche il giovane Tiziano, salvo poi distaccarsene favorendo immagini più immediate e dinamiche, con colori più netti, dai risvolti quasi espressionistici. Anche il giovane Sebastiano del Piombo si avvalse dell'esempio di Giorgione, dando un taglio più moderno alle sue opere, come la Pala di San Giovanni Crisostomo dall'impianto asimmetrico. Un altro giovane promettente fu Lorenzo Lotto, che si ispirò soprattutto a Dürer nell'uso più spregiudicato del colore e della composizione. La partenza di Sebastiano e del Lotto lasciò a Tiziano una sorta di monopolio nelle commissioni artistiche veneziane, soddisfacendo pienamente i committenti con opere capaci di gareggiare, a distanza, con le migliori realizzazioni del Rinascimento romano, quali l'Assunta per la basilica dei Frari. Quest'opera, col suo stile grandioso e monumentale, fatto di gesti eloquenti di un uso del colore che trasmette un'energia senza precedenti, lasciò in un primo momento tutta la città stupefatta, aprendo poi le porte all'artista delle più prestigiosi commissioni europee. Per decenni nessun artista fu in grado di gareggiare con Tiziano sulla scena veneziana, mentre nell'entroterra si svilupparono alcune scuole che avrebbero in seguito condotto a nuovi importanti sviluppi, come la scuola bergamasca e bresciana, che fuse elementi veneti col tradizionale realismo quotidiano lombardo, da cui sarebbe nato il genio rivoluzionario di Caravaggio. Nella seconda metà del secolo i migliori artisti svilupparono spunti tizianeschi, ora amplificando una tecnica ruvida e dalla pennellata espressiva (Tintoretto), ora ingrandendo la monumentalità delle figure in composizioni di ampio respiro (Paolo Veronese). Sul finire del secolo l'attività di architetto di Andrea Palladio concluse idealmente la stagione del classicismo, arrivando a capolavori di assoluta perfezione formale che furono modelli di imprescindibile prestigio soprattutto all'estero, col palladianesimo.
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