Emilia-Romagna

Il più vitale centro emiliano del Quattrocento fu Ferrara, dove alla corte degli Este si incontravano le più disparate personalità artistiche, da Pisanello a Leon Battista Alberti, da Jacopo Bellini a Piero della Francesca, dal giovane Andrea Mantegna a stranieri di prim'ordine come Rogier van der Weyden e Jean Fouquet. Fu durante l'epoca di Borso d'Este (al potere dal 1450 al 1471) che i molteplici fermenti artistici della corte si trasformarono in uno stile peculiare, soprattutto in pittura, caratterizzato dalla tensione lineare, dall'esasperazione espressiva, dalla preziosità estrema unita con una forte espressività. Il nascere della scuola ferrarese si coglie nelle decorazioni dello Studiolo di Belfiore e si sviluppò negli affreschi del Salone di Mesi di Palazzo Schifanoia, dove emersero le figure di Cosmè Tura e, in un secondo momento, Francesco del Cossa ed Ercole de' Roberti. I ferraresi ebbero un'influenza fondamentale anche nella vicina Bologna, dove vennero ammirati dagli artisti locali come Niccolò dell'Arca, che proprio all'esempio di essi deve l'esplosione di violento sentimento del celebre Compianto sul Cristo morto. A Bologna aveva già lasciato il suo capolavoro Jacopo della Quercia (la Porta Magna della basilica di San Petronio), opera che fu recepita veramente solo da Michelangelo, che qui si trovò esule decenni dopo. Lo scultore fiorentino fu solo il primo tra numerosi artisti che di passaggio in città vi lasciarono i propri capolavori, ma per avere una valida "scuola bolognese" si dovette aspettare il Cinquecento, quando attorno agli affreschi dell'oratorio di Santa Cecilia si svilupparono nuovi talenti tra cui spiccava Amico Aspertini, autore di una personale rivisitazione di Raffaello con un'estrosa vena espressiva, ai limiti del grottesco. Anche nel Cinquecento Ferrara si confermò come centro esigente e all'avanguardia in campo artistico. Alfonso d'Este fu un fecondo committente di Raffaello e di Tiziano, mentre tra gli artisti locali fece emergere il Garofalo e soprattutto Dosso Dossi. L'altro centro emiliano che beneficiò di un'importante scuola fu Parma. Dopo un sonnacchioso Quattrocento, il nuovo secolo fu un crescendo di novità e grandi maestri, con Filippo Mazzola, il Correggio e Parmigianino.
La Romagna invece ebbe un lampo sulla scena artistica con la signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta a Rimini. Egli chiamò a lavorare in città Leon Battista Alberti, Agostino di Duccio e Piero della Francesca, che crearono opere marcatamente celebrative del committente, alla cui morte nessuno raccolse però l'eredità. Gli altri centri di una certa importanza furono Forlì, dove l'esempio di Piero e degli urbinati fu stimolo fecondo per Melozzo e le sue visioni da sott'in su, le prime in Italia, nonché per Marco Palmezzano; e Cesena ove con la corte dei Malatesta, e nel particolare di Malatesta Novello, fu eretta la Biblioteca Malatestiana ad opera dell'architetto Matteo Nuti (con l'influsso del magistero di Leon Battista Alberti) e dello scultore Agostino di Duccio, e successivamente di Cesare Borgia, che portò in città Leonardo Da Vinci.
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