Perugino 1450

Perugino 1450


Botticelli 1445




Luca Signorèlli 1445

Luca Signorèlli, . - Pittore (Cortona tra il 1445 e il 1450 - ivi 1523). Secondo G. Vasari fu allievo di Piero della Francesca, come confermano gli scarsi frammenti dell'affresco giovanile per la torre del Vescovo a Città di Castello (Madonna con Bambino e i ss. Girolamo e Paolo, 1474), conservato nella Pinacoteca Comunale. In seguito S. si accostò all'ambiente urbinate; a questa fase appartengono le due tavolette con la Flagellazione e con la Madonna con Bambino (Milano, Brera), originariamente recto e verso di un'unica tavola processionale dipinta per la chiesa di S. Maria del Mercato a Fabriano, e gli affreschi della sacrestia della Cura nella basilica di Loreto (1479-80 circa). Fondamentali per l'artista furono tuttavia gli stimoli della cultura artistica fiorentina, con cui venne precocemente in contatto. Già nelle opere del primo periodo si avverte infatti una ricerca di accordo tra plasticismo delle forme e dinamismo lineare, che pone S. in una posizione peculiare riflettendo, accanto alla originaria formazione pierfrancescana, le contemporanee ricerche di A. Pollaiolo o di A. Verrocchio, con un'accentuazione nella resa dei caratteri anatomici della figura. Nel 1482 fu a Roma, attivo nella Cappella Sistina come collaboratore di P. Perugino, eseguendo insieme a B. Della Gatta il riquadro con Mosè consegna la verga a Giosuè e la Morte di Mosè. Negli anni successivi lo stile di S. si precisa nelle sue originali caratteristiche, dal serrato schema compositivo all'uso del colore e della luce in funzione della definizione dei volumi nello spazio, come appare, per es., nella pala per il duomo di Perugia (1484, museo del duomo), una delle sue opere più significative, nella Circoncisione (1491 circa, Londra, National Gallery), o in due dipinti eseguiti per la committenza medicea, il tondo con la Madonna con Bambino e nudi nello sfondo (1490-95, Firenze, Uffizi) e l'Educazione di Pan (già a Berlino, distrutta nella seconda guerra mondiale), soggetto mitologico che dava a S. l'occasione di offrire la sua interpretazione del mondo classico. La vena creativa di S. trovò una felice espressione nella tecnica dell'affresco: un carattere prevalentemente narrativo hanno le Storie di s. Benedetto del chiostro grande dell'abbazia di Monteoliveto Maggiore (1497-98), mentre nell'ultima fase l'arte di S. subisce una forte accentuazione drammatica ed espressionistica, evidente nel celebre ciclo di affreschi con il Giudizio universale della cappella di s. Brizio nel duomo di Orvieto (1499-1503), dove sono dipinte, tra l'altro, Storie dell'Anticristo, Resurrezione della carne, Inferno, Paradiso e varie figurazioni tratte dalla Divina Commedia di D. Alighieri. A causa del sempre maggiore intervento della bottega, la produzione artistica dell'ultimo ventennio presenta una certa discontinuità qualitativa, alternando opere deboli e ripetitive (Madonna con Bambino e santi, Roma, Museo nazionale di Castel s. Angelo) ad altre di genuina ispirazione, che risentono delle più recenti novità, come la Comunione degli apostoli (1512, Cortona, Museo Diocesano), che mostra spunti raffaelleschi. Numerosi disegni di figura di S., di grande qualità, sono conservati al Louvre e agli Uffizi di Firenze.

Melozzo da Forlì 1438

Giusto di Gand 1435

Verrocchio 1435


Mantegna 1431



Antonello da Messina 1430 ca.


TURA, Cosmè. - Pittore ferrarese, nato circa nel 1430, morto nel 1495. Nel 1451 stima con Galasso pennoni dipinti da Giacomo Turola, nel 1452 fa per la corte estense un cimiero da offrirsi al miglior corridore nel pallio del giorno dedicato al patrono San Giorgio; nello stesso anno dipinge imprese e fogliami, indora cassettine di pasta di muschio e si parte da Ferrara. Visse a Padova e a Venezia fino al 1436, nell'anno seguente prese alloggio alla corte di Ferrara, nel 1458 dipinse nel duomo una Natività, e cominciò la decorazione dello studio del duca Borso nel palazzo di Belfiore. Fino dal 1460 era provvigionato dalla corte, per la quale fece cartoni d'arazzi (1467, 1475, 1479, 1480). Dal 1465 a quest'anno fu ad ornare la biblioteca dei Pico, signori della Mirandola, e nel 1467, tornato a Ferrara, s'impegnò a dipingere la cappella Sacrati in San Domenico. Compì nel 1469 le ante d'organo della cattedrale ferrarese e diede principio alla decorazione d'una cappella nella delizia di Belriguardo, terminata nel 1472. In quest'anno eseguì il ritratto d'Ercole I d'Este, e di Lucrezia sua figlia naturale, poi tre ne fece del bambino don Alfonso, primogenito del duca (1477), uno al naturale di Lucrezia d'Este (1479), un altro d'Isabella d'Este (1480). Dal 1477 al 1481 Cosmè attese a dipingere lo studio del duca di Ferrara, nel 1485 il ritratto della principessa Beatrice d'Este, nel 1490 aveva eseguito un'ancona d'altare per la chiesa di San Niccolò di Ferrara, un Sant'Antonio da Padova per monsignor d'Adria. Il mondo padovano di Donatello e del Mantegna si riflette ancora nell'opera dell'età media del T., nelle ante d'organo della cattedrale ferrarese; ma le forme ferrigne, le pieghe spezzate, il paese vitreo e brullo, sono altrettanti segni del genio ribelle di Cosmè, che nell'anta di San Giorgio ci trasporta in un mondo di fiaba, truce, diabolico, a piè d'una montagna dantesca a gironi, sotto un torbido cielo, che dissecca le foglie dell'albero e arroventa le scarnite figure. Oltre agl'influssi padovani si notano in T. rapporti con le forme pittoriche della Germania meridionale, diffuse nell'Italia settentrionale durante il rigoglio del gotico fiorito. L'architettura del trono su cui siede la Primavera, già Layard, ce ne dà un esempio: il genio bizzarro dì Cosmè vi riversa tutte le sue smaglianti fantasie, sostituendo alle cornici lisce dei Toscani un arco formato da corpi di delfini, con pinne come aculei, denti a sega, occhi di rubino incastonati d'oro. Altri delfini s'ingobbano a formare i bracciali, altri si attorcono nelle basi del trono. In questo quadro, il più antico noto del T., egli ci appare nella tipica forma che manterrà per tutta la vita, aspra e splendente, spinosa e arrovellata, tale da trasportarci in un mondo fantastico, di mostri e di pietre preziose, di marmi rari e d'incandescenti metalli. Vicina per effetto cromatico alle ante d'organo del duomo di Ferrara è la Pietà del Museo Correr a Venezia, tanto nel lividore delle vesti, quanto nelle foglie secche dell'albero tra cui risplende il lucido metallo delle arance d'oro. Si raffredda il colore nel Cristo morto sorretto da due angeli, a Vienna, nel Museo storico-artistico, fra intessanti contrasti che ne rafforzano l'intensità: pallore cinereo di carni tra note acutissime di turchino e di viola, incandescenze preziose nel gruppo lontano delle Marie. Gli smalti di Cosmè scintillano nei tondi di S. Maurilio della Pinacoteca di Ferrara, tra le forme scheletrite; e l'iscrizione di figure e architetture entro il tondo è raggiunta da un ritmo nervoso e infallibile, che nel Martirio del Santo disegna il cerchio delle figure intorno alla fiamma d'un sibilante vessillo. Grandeggiano i santi e il devoto nello sportello colonnese del trittico Roverella, animati dalla statuaria maestà del Mantegna, e nella lunetta del Louvre, composta come gruppo in plastico per una rappresentazione di misteri religiosi, con la violenza che penetra le creazioni del T., e che si estende dai volti angolosi alle mani contratte, alle pieghe ritorte, tutte creste e spigoli, su cui percuote e risplende il colore. Le forme del Rinascimento, complicate da una flora lussureggiante e fantasiosa, trovano campo più vasto nell'ancona di Berlino, nel trono a piani sovrapposti, a predelle adorne di bassorilievi, a nicchia profonda, e nelle figure disposte in tre gradi, i due Santi, le due Sante, i due angioletti, a distanze misurate, in perfetto ordine architettonico. Dietro il trono, la parete s'apre in due arcate, sopra le quali girano lunettoni con statue di profeti su fondo a musaico d'oro. La luce fredda e limpida del cielo contrasta col tono rovente delle figure, le cui vesti hanno trasparenza d'agata e di onice: i putti sull'arcata sembrano lampade accese da una vermiglia fiamma; tutto pare scaldato dal fuoco, che trae scintille dalle tessere d'oro dei lunettoni, dalle scaglie multicolori dei marmi. La grande pala, abitata da figure salde e statuarie, che ci richiamano la monumentale stasi delle forme di Piero della Francesca, abbaglia i nostri occhi con la ricchezza dell'apparato, il fulgore dei metalli e dei marmi, proprî del meraviglioso fabbro che martella sull'incudine le immagini, perché la luce meglio si rifranga e folgori dagli spigoli delle forme, dagl'irti contorni. La potenza cromatica del T. raggiunge nelle ultime opere ardimenti estremi: esempio il contrasto lacerante tra la figura di San Giacomo, nel quadro della Galleria Estense, e il fantasmagorico paese spennellato di giallo e sanguigno. Deserti e brulli sono i paesi di Cosmè, ritorti come grovigli di radici i panni, tormentato sino al parossismo il contorno dei lineamenti; ma anche nelle ultime opere, quando il pittore, scostandosi dagli esempî di Toscana e dal Mantegna, non ascolta più che la propria barbara e indomita energia, e il suo colore s'accende di luci preziose che si sprigionano, per le asprezze della forma, dagli smalti e dai marmi traslucidi, Cosmè è il capostipite della tradizione cromatica ferrarese, in tutto il suo fiammeo splendore.
Gentile Bellini 1429

Andrea del Castagno 1421

Andrèa del Castagno. - Pittore (Castagno di San Godenzo, Mugello, 1421 circa - Firenze 1457), tra i maggiori del Quattrocento fiorentino. Dopo un periodo formativo in cui risentì dell'influsso di Masaccio, Filippo Lippi, Donatello e Paolo Uccello, raggiunse la piena maturità, di cui è specchio il ciclo (Ultima cena, Crocefissione, Deposizione, Resurrezione) nel Refettorio di S. Apollonia a Firenze, di grandiosa severità. Vita e opereLa sua più antica opera conservata sono gli affreschi, eseguiti in collaborazione con Francesco da Faenza, nella cappella di S. Tarasio in S. Zaccaria a Venezia; nel 1444 era pagato per il cartone di una vetrata nel tamburo della cupola di S. Maria del Fiore (Deposizione); nel 1449 gli era allogata la pala con l'Assunta tra i ss. Giuliano e Miniato (Berlino, Gemäldegalerie) per S. Miniato fra le Torri; nel 1456 affrescava il monumento a Niccolò da Tolentino in S. Maria del Fiore. Negli affreschi di S. Zaccaria A. si rivela personalità decisa, in stretto rapporto con Masaccio e più ancora con Filippo Lippi e Donatello. A questo periodo appartiene anche un affresco del castello di Trebbio (Uffizi, collezione Contini-Bonaccossi), il cui impianto prospettico rivela l'influsso di Paolo Uccello. Immediatamente dopo questo periodo formativo la critica data l'affresco della Crocefissione, già nel chiostro degli Aranci a Firenze. Tra il 1445 e il 1450 si pone il ciclo (Ultima Cena, Crocefissione, Deposizione, Resurrezione) nel Refettorio di S. Apollonia a Firenze, di grandiosa severità e arditissimo negli scorci; nel Cenacolo di S. Apollonia, oggi trasformato in museo, sono stati trasferiti anche altri affreschi distaccati. Verso il 1450 si deve anche datare la decorazione della villa Carducci di Soffiano, concepita secondo un programma che unisce alla storia della redenzione (affreschi in situ, scoperti nel 1949) l'esaltazione di uomini e donne illustri (affreschi staccati, Uffizi), secondo una concezione umanistica. Tra il 1451 e il 1453 A. lavorava, a Firenze, alla decorazione, iniziata da Domenico Veneziano, di S. Eligio (distrutta) e ai complessi e tormentati altari affrescati della Ss. Annunziata (Cristo e s. Giuliano, Trinità con s. Girolamo e due sante). L'esaltazione drammatica della plasticità e dello scorcio - in emulazione con la plastica di Donatello - sono il tratto saliente del monumento a Niccolò da Tolentino.

Laurana (anche Azzara o da Zara), Francesco. - Scultore, architetto, medaglista (n. Laurana - m. Avignone 1502 circa). Profondamente influenzato dall'arte di Piero della Francesca e Agostino di Duccio, si distinse soprattutto per gli eleganti busti femminili eseguiti alla corte aragonese di Napoli, caratterizzati da una sottile vibrazione luminosa, accordata all'astrazione formale. L. fu anche in Francia (1461-66), dove fra i primi diffuse il gusto rinascimentale italiano.La sua formazione non è stata ancora accertata, ma fu determinante a Rimini, dove probabilmente soggiornò, la conoscenza dell'arte di Piero della Francesca e la collaborazione con Agostino di Duccio nel Tempio Malatestiano. Il suo nome compare la prima volta nel 1458, allorché lavorava a Napoli all'arco trionfale di Alfonso d'Aragona. Fu in Francia (1461-66), dove alla corte di Renato d'Angiò eseguì alcune medaglie, che ricordano l'arte di Pisanello. Successivamente lavorò in Sicilia (1466), dove le sue opere più importanti sono: la facciata della cappella Mastrantonio in San Francesco (1468-69), compiuta insieme con Pietro di Bonitate, e la Madonna eseguita per Monte San Giuliano e conservata nel duomo, entrambe a Palermo; la Madonna (1471) della chiesa del Crocifisso di Noto. Di nuovo a Napoli alla corte aragonese (1473-74), iniziò in questo periodo la serie dei celebri busti femminili: quello ritenuto di Eleonora d'Aragona (Palermo, Galleria regionale della Sicilia), quello di Battista Sforza (Firenze, Museo nazionale del Bargello), ecc. Nuovamente in Francia, eseguì a Marsiglia con T. Malvito alcune sculture di santi (1477-81, duomo, cappella di S. Lazzaro) e ad Avignone, per Renato d'Angiò, un dossale d'altare con l'Andata al Calvario (1479-81, S. Didier), nel quale manifesta l'influenza della scultura lignea francese.
Doménico Veneziano 1410 ca


Lippi, Filippo, detto fra Filippo. - Pittore (Firenze 1406 circa - Spoleto 1469). Personalità inquieta, divisa tra passioni e condizione di religioso, compì un percorso artistico improntato a una continua e felice sperimentazione delle grandi novità elaborate in quel periodo a Firenze: dalla lezione masaccesca alla sapiente spazialità prospettica, ai valori di luce e di colore dell'Angelico. Tra le sue opere più significative si ricordano l'Incoronazione della Vergine (1441-47 circa). Di famiglia povera entrò molto presto nel convento del Carmine a Firenze, dove pronunciò i voti nel 1421; nella chiesa del convento fiorentino poté con continuità osservare all'opera Masaccio e Masolino da Panicale, intenti, tra il 1424 e il 1428 circa, alla decorazione della cappella Brancacci. Nel 1428 L. si trasferì temporaneamente nel monastero carmelitano di Siena, dove rimase per circa un anno con la carica di sottopriore, avendo così l'opportunità di conoscere in profondità le testimonianze dell'arte locale sia pittorica, sia scultorea. Al principio del 1456 il L. fu nominato cappellano del convento di S. Margherita a Prato, dove conobbe Lucrezia Buti, di cui si innamorò e che convinse a fuggire con lui. Dalla loro unione illegittima nel 1457 nacque segretamente a Prato il figlio Filippino. Accusati entrambi da una denuncia anonima, nella quale veniva svelata anche la nascita del figlio, furono infine sciolti dai voti e uniti legittimamente in matrimonio. Al periodo giovanile, dominato dall'influsso di Masaccio, appartengono la Madonna dell'Umiltà (Milano, museo del Castello Sforzesco); i resti di un grande affresco nel chiostro del Carmine a Firenze; la Madonna (1437; Galleria nazionale d'arte antica di Roma, già a Tarquinia), in cui L. afferma un temperamento suo, nel definire i contorni, e nei guizzi di luce che attenuano la stabilità del rilievo; l'Annunciazione, in S. Lorenzo a Firenze. La pala Barbadori per S. Spirito del 1437 (ora al Louvre), mostra in crescente sviluppo i caratteri particolari del maestro: giochi di chiaro e d'ombra danno alla modellazione movimento piuttosto che consistenza, il colore è toccato di una luce dolce, perlacea, e nella predella (Uffizi), certo dipinta per ultima, sulla forma e sul colore il disegno è accentuato con tanta evidenza di linee da diventare il mezzo più vivace per esprimere il moto, che in qualche figura ha ritmo impetuoso. Nella pala di S. Croce (Uffizi), nella festosa Incoronazione della Vergine (Uffizi), L. va subordinando sempre più le impressioni plastiche a quelle di movimento. Gli affreschi del coro del duomo di Prato, Evangelisti, Storie del Battista e di s. Stefano (1464 e oltre), mostrano le stesse qualità che invece appaiono assai meno pure nell'ultima grande opera, in gran parte compiuta dai suoi collaboratori, fra Diamante e Pier Matteo d'Amelia: gli affreschi dell'abside del duomo di Spoleto (1467-69). Di discussa cronologia sono la delicatissima Madonna con angeli (Uffizi) e le varie versioni dell'Adorazione del Bambino (Uffizi; Berlino, Gemäldegalerie); inoltre non poche sono le opere uscite dalla bottega di L., forse ideate da lui, ma in parte o in tutto eseguite dai suoi allievi.






Donato de' Bardi 1400 ca

De Andrea 1941 John De Andrea (Denver, 24 novembre 1941) è un artista e scultore statunitense. La sua opera è legata alla corrente dell'...