lunedì 30 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 122 Perugino 1450

Perugino 1450

Perugino, Pietro Vannucci detto il. - Pittore (Città della Pieve 1450 circa - Fontignano, Perugia, 1523). Tra i maggiori protagonisti dell'arte rinascimentale italiana, P. si formò sulle opere dei grandi artisti della prima metà del Quattrocento attivi nella sua regione; informato della produzione di Piero della Francesca, fu in seguito nella bottega fiorentina di A. del Verrocchio. Nella bottega del P., la più prestigiosa dell'Italia rinascimentale, dalla metà degli anni Novanta del 15° sec. fece la sua comparsa il giovane Raffaello. Dalla città di Perugia, dove visse a lungo ed esercitò importanti magistrature, derivò il nome col quale è più comunemente conosciuto. Forse nel paese nativo e a Perugia compì la sua prima educazione. Si formò sull'opera di Piero della Francesca e a Firenze, dove nel 1472 fu iscritto alla Compagnia di S. Luca, fu probabilmente allievo di A. del Verrocchio, vide le opere dei primitivi fiamminghi che in quel tempo erano ricercate tanto volentieri, si addestrò accanto ai migliori contemporanei fiorentini nella tecnica della pittura a olio che ancora non era conosciuta in Umbria. L'influsso di Piero, evidente nell'equilibrio compositivo e nelle chiare e luminose prospettive delle architetture e dei paesaggi, si fonde con il senso verrocchiesco della linea e del chiaroscuro, come appare già nelle opere giovanili (Adorazione dei Magi, 1473, e alcune delle Storie di s. Bernardino, 1473, ambedue a Perugia, Galleria nazionale dell'Umbria). Le opere eseguite in quegli anni a Perugia, quasi del tutto perdute (dipinti nel palazzo dei Priori, 1475; decorazione della cappella della Maddalena nella chiesa di Cerqueto, 1478, di cui resta un frammento con S. Sebastiano), dovettero dare gran fama al P., che fu chiamato a Roma da papa Eugenio IV nel 1478 per decorare la Cappella della Concezione nell'antica S. Pietro, e di nuovo nel 1480 per la decorazione della Cappella Sistina in Vaticano (Consegna delle chiavi, 1481). Dopo il successo romano, che consacrò il P. come il più importante artista della penisola alla fine del Quattrocento, la sua attività fu intensissima, svolta soprattutto tra Perugia e Firenze; le sue composizioni assumono maggior respiro e le sue figure acquistano più solido impianto, forse per l'influsso dell'ambiente artistico romano (Melozzo, Antoniazzo); sono di questa fase la Visione di s. Bernardo (1489-90, Monaco, Alte Pinakothek), il trittico con la Natività (1491, Roma, Villa Albani), il Compianto su Cristo morto (1494-95, Firenze, Galleria Palatina), l'affresco con la Crocifissione (1495, Firenze, S. Maria Maddalena dei Pazzi), la pala per S. Pietro a Perugia. In questo periodo il P., che rivela inoltre notevoli doti di ritrattista (Francesco delle Opere, Firenze, Uffizi), fissa il suo ideale formale della figura, creando quel tipo di bellezza femminile elegante e aggraziato, di intonazione sentimentale, che caratterizza le sue Madonne (Washington, National gallery of art; Firenze, Uffizi). Agli anni 1499-1507 risalgono gli affreschi del Collegio del Cambio a Perugia, eseguiti forse in collaborazione con il giovane Raffaello, già entrato nella sua bottega. L'attività tarda del P., pur segnata ancora da importanti commissioni (Lotta tra Amore e Castità per lo studiolo di Isabella d'Este, 1505, Louvre; vele della Stanza dell'Incendio di Borgo nei Palazzi Vaticani, 1508), denuncia una certa stanchezza di invenzione, evidente nella ripetitività di schemi e formule ormai convenzionali.

domenica 29 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 121 Ghirlandaio 1449

Ghirlandaio 1449

Ghirlandàio, Domenico Bigordi detto il. - Pittore (Firenze 1449 - ivi 1494). Figlio di un artigiano (famoso per le acconciature femminili di ghirlande, donde il soprannome), il Gh., forse allievo di A. Baldovinetti, fu certo attento alle novità elaborate nell'ambito della bottega del Verrocchio e nel circolo mediceo, anche se non toccato dalle istanze intellettuali più avanzate. Ultimo rappresentante della tradizione pittorica fiorentina quattrocentesca, elaborò con felice vena narrativa un'arte caratterizzata da sapiente equilibrio formale e compositivo, sostenuta da una grande perizia tecnica, soprattutto nella decorazione a fresco. Dopo le prime opere (affresco con i Ss. Gerolamo, Barbara e Antonio Abate, 1470 circa, S. Andrea a Cercina; decorazione della cappella Vespucci, 1472, e Cenacolo nel refettorio, 1480, Firenze, chiesa e convento di Ognissanti; affreschi con le Storie di s. Fina, 1473-75, San Gimignano, collegiata; ecc.), il Gh., a capo di una bottega sempre più fiorente e accreditata, fece fronte a numerosissime commissioni, non trascurando anche lavori di routine. Tra le più importanti realizzazioni ad affresco: a Roma, la Vocazione dei ss. Pietro e Andrea nella Cappella Sistina (1482); a Firenze, la decorazione della sala dei Gigli in Palazzo Vecchio (1482), le Storie di s. Francesco nella cappella Sassetti in S. Trinita (1483-85), le Storie della Vergine e del Battista, commissionate dai Tornabuoni per la Cappella Maggiore di S. Maria Novella (1485-90). Tra i dipinti su tavola, di grande rilevanza l'Adorazione dei pastori, non esente da suggestioni fiamminghe (1483, S. Trinita), la Natività (1487, Uffizi), l'Adorazione dei Magi (1488, Firenze, ospedale degli Innocenti), il ritratto di Giovanna Tornabuoni (1488, Lugano, collezione Thyssen Bornemisza) che, come i numerosi ritratti ricorrenti nelle sue opere, mostra grande acutezza psicologica. È ancora da ricordare la sua attività nell'ambito della "rinascita" del mosaico, voluta da Lorenzo il Magnifico e messa in opera soprattutto dal fratello David. Della sua abilità disegnativa rimane testimonianza nel Codex Excurialensis, con copie dei suoi disegni di antichità romane. Nella bottega del Gh. si formarono, tra gli altri, Michelangelo, Fr. Granacci, G. B. Utili.

sabato 28 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 120 Botticelli 1445

Botticelli 1445




BOTTICELLI, Sandro (Sandro di Mariano Filipepi, detto Botticelli). - Nacque nel 1445 a Firenze. La prima notizia della sua attività risale al 1470, in cui fece, per il tribunale della Mercanzia, la Fortezza, una delle Virtù che erano state allogate a Pietro del Pollaiolo. Discepolo di fra' Filippo Lippi, ne tenne l'anno 1472 nel proprio studio il figliuolo Filippino. Dipinse nel 1473, in Santa Maria Maggiore di Firenze, il San Sebastiano, ora nella galleria statale di Berlino; nel 1475, in Duomo a Pisa, l'Assunta, per saggio di pittura all'Opera della cattedrale, che intendeva di farlo lavorare in Camposanto, essendole piaciuto il saggio stesso; nel 1478, sulla facciata del Bargello, l'effigie dei congiurati contro i Medici: i Pazzi, i Salviati, Bernardo Bandini impiccati per la gola, Napoleone Franzesi impiccato per un piede. In concorrenza con Domenico Ghirlandaio, che frescò in Ognissanti un San Girolamo (1480), colorì un Sant'Agostino, dal quale risultò a un contemporaneo la differenza fra i due maestri: il B. aveva aria virile... "optima ragione et integra proportione"; il Ghirlandaio era "homo expeditivo e che conduce assai lavoro". Chi faceva arte, e chi figure; dell'uno si ammirava la ragione, il valore intellettuale, dell'altro il valore manuale. Anche il Vasari, discorrendo della pittura del Ghirlandaio, disse che questi "intorno vi fece una infinità di strumenti e di libri da persone studiose", e trattando poi dell'altra del B. scorse nella testa di Sant'Agostino la dimostrazione di quella profonda "cogitatione et acutissima sottigliezza, che suole essere nelle persone sensate ed astratte continuamente nella investigazione di cose altissime e molto difficili". In fondo, anche nel Vasari, la distinzione era chiara tra il molto lavoro, l'addensarsi dei minuti particolari in Ghirlandaio e l'intellettualismo botticelliano. Così intorno al 1480 Sandro Botticelli era stimato tra i primi pittori di Firenze. Caro ai Medici, egli assimilò le tendenze umanistiche dei suoi mecenati, fece echeggiare le ottave del Poliziano nei suoi dipinti, interpretò i testi classici che taluno degli umanisti gli tradusse e spiegò. A tredici anni non si dava ancora alla pittura: imparava a leggere, e appariva malaticcio, com'è detto da una portata al catasto di suo padre conciatore di cuoi. Non sembra che a lungo attendesse a coltivarsi, ma quantunque poco sapesse di lettere, portò amore alla Divina Commedia, ed ebbe, come il Signorelli, come Michelangelo, Dante a fondamento delle proprie invenzioni. Lo interpretò con le figure che un intagliatore, Baccio Baldini, mise, sui suoi disegni, a illustrazione della Divina Commedia commentata da Cristoforo Landino e pubblicata, l'anno 1481, per i tipi di Niccolò di Lorenzo della Magna in Firenze. Non solo contribuì alla preziosa prima edizione fiorentina del poema, ma per Lorenzo di Pier Francesco de' Medici "dipinse e storiò un Dante in cartapecora che è tenuto cosa meravigliosa". Tanto afferma l'Anonimo Gaddiano riferendosi al codice, che è in gran parte nel Gabinetto di stampe e disegni a Berlino, e in piccola nella Biblioteca Vaticana. E in tutta l'opera è l'impronta della poetica fantasia di Sandro B., la cui mano rapida fissò sulla tavola la visione che egli, cantore della Firenze medicea e delle allegorie di Angelo Poliziano, si era formata di Dante: l'acuta impressionabilità, la onnipotente facoltà espressiva della linea è la forza maggiore dei commenti botticelliani alla Divina Commedia. I Medici, per i quali il B. illustrò la Divina Comedia "in carta pecora", sentirono com'egli desse figura alle loro idealità artistiche, soddisfacesse al loro "appetito di bellezza"; e a lui ricorsero per ritratti, per quadri sacri e profani, per cartoni d'arazzo, destinati a ornamento delle aule superbe dei loro palazzi. Sin dal 1475, per la celebre giostra del 25 gennaio, apprestò lo stendardo, che un cavaliere portava davanti a Giuliano de' Medici, con un sole fissato da Pallade coperta d'aurea veste, munita di lancia e dello scudo di Medusa; con un tronco d'ulivo al quale era legato Cupido. E così il B. diviene il pittore più rappresentativo della vita artistica fiorentina nei giorni della magnificenza medicea, il più fiorito, il più ricco di immagini ondeggianti come nelle ottave del Poliziano. E quando Lorenzo il Magnifico muore, e Lorenzo di Pier Francesco abbandona Firenze, e l'odio si scatena contro gli antichi signori, il B. sembra preso da terrori apocalittici, come se il mondo precipitasse alla fine. Nel 1481, il 27 ottobre, insieme con Cosimo Rosselli, Domenico Ghirlandaio e Pietro Perugino, ricevette l'allogazione di alcuni campi ad affresco nella cappella Sistina in Vaticano, e si obbligò a finirli il 15 marzo dell'anno seguente. Vi compì tre grandi affreschi: il Sacrificio del lebbroso; Episodî della vita di Mosè; la Punizione di Corah, Datan e Abiron; e diede disegni o cartoni per molti ritratti di pontefici, stabilendo, in tutta la serie delle immagini papali, il criterio architettonico degli sfondi a nicchia. Non è noto se compisse il suo lavoro nel breve termine richiesto, ma a sei mesi all'incirca dalla scadenza determinata, il B., Domenico Ghirlandaio e il Perugino s'accordarono a Firenze, con l'Opera del Palazzo della Signoria, per la decorazione delle sale; e nel 1483 dipinse allo Spedaletto, presso Volterra, affreschi per Lorenzo de' Medici il Vecchio, avendo a compagni i maestri che "hanno facto prova di loro ne la capella di papa Syxto", il Perugino e Domenico Ghirlandaio, e inoltre Filippino Lippi. Nel 1485 fece la tavola in Santo Spirito per la cappella de' Bardi; e l'anno dopo affrescò la villa a Chiasso Macerelli, apprestandola per le nozze di Lorenzo Tornabuoni con Giovanna Albizzi avvenute il 15 giugno di quell'anno. Per la Sala dell'Udienza, in Palazzo Vecchio, del magistrato de' Massai della Camera, compose nel 1487 un tondo, probabilmente la Madonna della Melagrana, ora agli Uffizî; l'anno seguente, per la cappella di Porta Santa Maria, colori la Incoronazione, pure in quella galleria, e per l'altra cappella fondata da Ser Giovanni Guardi, la tavola dell'Annunziata, ora nel monastero di Santa Maria Maddalena de' Pazzi. Il B. fu chiamato a partecipare coi maggiori artisti di Firenze all'esame di undici disegni o modelli della facciata di Santa Maria del Fiore, essendosi ripresa l'idea del suo compimento nel 1491, e per l'opera della Cattedrale disegnò "opera de musaico" da farsi nella cappella di San Zenobi (1491-92). Di altri lavori del maestro si hanno notizie, anche a Castello, villa di Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, con cui ebbe continui rapporti tanto che Michelangelo il 2 luglio 1496, scrivendo a questo signore una lettera, la indirizzò al B. perché, in quei giorni di opposizione contro i Medici, la facesse sicuramente recapitare al destinatario. Contrariamente a quanto asserisce il Vasari, Sandro non era caduto in bisogno al declinar della vita, ché anzi aveva acquistato a enfiteusi perpetua un podere con villino e campi coltivati a vigne, a ulivi, a frutta; e anche da vecchio, era in grande stima e sempre operoso. L'oratore dei Gonzaga a Firenze lo presentava così in una lettera del 1502 a Isabella d'Este Gonzaga: "uno altro Alexandro Botechiella molto m'è stato laudato et per optimo depintore, et per homo che serve volontera, et non ha del velupo come li soprascripti (Perugino e Filippino), al quale io ho facto parlare, et questo tal dice chel toria lo asumpto et serviria di bona voglia la S. V.". Il pittore che era pronto a servire Isabella d'Este, ed era conosciuto per maestro che serviva volentieri, non poteva essere il disordinato, il neghittoso, l'ozioso vecchio inventato dal Vasari. E non fu piagnone, o partigiano del Savonarola, tanto è vero che Dosso Spini, capo e guida dei Compagnacci, usava molto nella sua bottega, come non avrebbe usato con un settario avverso. Neppure fu eretico, come il Vasari lo rappresentò, attribuendogli la pittura dell'Assunzione, eseguita, non da lui proprio, per Matteo Palmieri, autore del poema Città di Vita. Il Cinquecento aveva apportato a Firenze tanti rivolgimenti politici e morali da far ben presto scendere sul passato, sul glorioso Quattrocento, come un gran sipario d'ombre. Anche Alessandro Filipepi si perdette in quel turbine, con gli echi del mondo risonante di canzoni di festa, delle quintane corse dai Medici, dei versi del Poliziano, degli amori di Simonetta, delle dipinte Veneri messe a fuoco sulla pubblica piazza per obbedienza al Savonarola. Fu una crisi-violenta degli spiriti, della politica, della religione, dell'arte, che Firenze ebbe a sofrire al principio del nuovo secolo. E in giorni di crisi, sia nell'individuo, sia nella società, si smarrisce la memoria, e molte cose si perdono come in un naufragio. Così il B., "uno dei buoni pittori che abbia avuto a questi tempi la nostra città", come scriveva il fratello Simone, morì il 17 maggio 1510, dimenticato. Le notizie della vita qui accennate in ordine cronologico dànno punti di partenza per la ricostruzione della ricchissima opera pittorica del Botticelli. La più antica di esse, l'Adorazione dei Magi nella collezione Cook a Richmond, dimostra la verità della tradizione che vuole Filippo Lippi maestro di Sandro, ma reca anche tracce evidenti del pittore che aveva portato in Firenze la linea energetica alla sua massima violenza: Antonio Pollaiolo. A questo pittore maggiormente s'approssimano la Fortezza della Galleria degli Uffizî, per la forma nervosamente articolata alla maniera pollaiolesca; il Ritorno di Giuditta dal campo nemico, il Ritrovamento del cadavere di Oloferne, pure agli Uffizî, e il San Sebastiano della Galleria statale di Berlino, per il crudo angoloso taglio delle forme, che pur serbano, nella loro affilatezza, indolente grazia, botticelliano languore. Anche nella Adorazione dei Magi della Nationai Gallery a Londra, si vedono gruppi nel primo piano coi poderosi pollaioleschi cavalli e le fluenti scorrevoli pieghe dei panneggi, e da per tutto il Botticelli primitivo si dimostra impressionato da Antonio Pollaiolo più ancora che da Filippo Lippi. La Madonna Chigi, ora Gardner a Boston, rivela qualche affinità con la maniera del Verrocchio, ma attenuata dalla risolutezza pollaiolesca della forma e dagl'incisivi contorni, quasi fili all'agemina; ma i più delicati colori temperano la severità della composizione. Capolavoro del periodo pollaiolesco è il ritratto di uomo con medaglia di Cosimo dei Medici agli Uffizî, che supera per energia tutte le antecedenti opere del maestro. La personalità del B. è vivacemente espressa dall'agile linea nella Adorazione de' Magi agli Uffizî, calmo e fastoso scenario popolato da magnati fiorentini, dai Medici, da giovani eleganti, tutti raccolti per la cerimonia solenne, sull'incantevole sfondo ove si lanciano arcate alabastrine. Ormai lo stile botticelliano si è formato: la Primavera ne segna il trionfo: la leggerezza alata della poesia polizianesca, l'agilità della linea botticelliana si sono unite per darci l'immagine viva della Firenze elegante, raffinata del '400. Fino alla pittura di quel quadro, il rilievo pollaiolesco aveva tolto alquanto al fluire della linea nei contorni: ora il rilievo si assopisce; il distacco delle figure dal fondo appare tenue, insensibile; la linea, divenuta più sottile e incisa, permette un'esatta nervosa determinazione dei contorni in movimento. Circa il tempo in cui eseguì la Primavera, il B. attese con ogni probabilità al ritratto di Giuliano de' Medici, ora nella collezione Otto Kahn in America, definito con un segno incisivo nei contorni del profilo aguzzo, con una crudezza che accosta lo stile di Sandro a quello robusto e aspro di Andrea del Castagno: accostamento che più si avverte nel Sant'Agostino della chiesa d'Ognissanti, per il disegno schematico di sottigliezza tagliente e metallica, la nervosità esasperata della forma, la raffinata gamma dei colori. A Roma, negli affreschi della Sistina, il B. ingrandisce lo spazio, slarga il modellato, collega più rapidamente gli episodî, avviva l'azione, dà slancio alle forme, ora compone le linee in giro blando di curve con languore di canne palustri, con ritmo melodico d'incomparabile grazia, come nelle Figlie di Jetro; ora con ritmo di vorticose curve, con linee di tempesta, infonde elettrica istantaneità, irresistibile veemenza d'azione, violenza drammatica al Castigo del fuoco celeste, ove i due gruppi laterali dell'affresco sembrano formati dal contraccolpo dello scoppio di folgore che disperde le figure intorno all'ara. Agli affreschi della Sistina si collegano, per larghezza compositiva, slancio fervido di figure, sfavillio fosforico di luci, l'Adorazione dei Magi a Leningrado, nell'Ermitage; il San Tommaso d'Aquino, già nella collezione Holford, per la precisione e la vitalità del segno come per l'ampiezza del modellato; il ritratto di un giovane nella Galleria nazionale di Londra, per la mobilità dei lineamenti arcuati, l'intreccio libero delle ciocche a spira, l'agile grazia del portamento. La gentilezza languida delle Figlie di Ietro negli affreschi della Sistina veste il tipo opulento della Vergine nel tondo del Magnificat agli Uffizî, ove i contornì del gruppo di Maria e degli Angeli sono naturale derivazione dal cerchio, e il morbido volto di Pallade vincitrice dei Centauro, nell'allegoria del quadro alla galleria degli Uffizî. L'arte botticelliana è giunta alla piena fioritura con la gran pala di San Barnaba agli Uffizî, la cui predella segna uno sviluppo delle qualità raggiunte dal B. a Roma, e col ritratto di un giovanetto nella collezione Hamilton a New York, fiore della luminosa fantasia che, in tempo prossimo, fece sorgere dal nicchio Venere Anadiomene (Uffizî); nella gloria dei cieli, la Madonna di San Barnaba; tra due quinte di boschetti di mirto e d'alloro stendersi Venere e Marte con uno stuolo di satiretti (Nat. Gallery a Londra); entro il cerchio svolgersi la ghirlanda d'angeli e rose della Madonna con la melagrana (Uffizî); fiorire, nel viridario. Giovanna Tornabuoni e le Virtù dei più freschi colori di primavera, e, nel bosco. Lorenzo Tornabuoni presentarsi al consesso delle Arti Liberali (Museo del Louvre); gli Angeli intrecciare farandole intorno a Maria Incoronata (Uffizî), dando, con inarrivabile potenza, l'impressione della gamma dei suoni nella melodia. Un crescente tremolio dei contorni, e un più complesso ritmo di curve distinguono l'opera del B. circa il 1490, tanto nella Comunione di San Girolamo, già presso i marchesi Farinola, quanto nell'Annunciazione del monastero di S. Maria di Cestello, ora agli Uffizî, e nella Vergine del Latte all'Ambrosiana. Si approssima l'ultimo periodo dell'arte botticelliana: l'effetto di movimento si esaspera, il ritmo quasi raggiunge la nervosa rapidita delle più tarde opere, nella Calunnia (Uffizî); nella Derelitta di casa Pallavicini in Roma, dramma d'inarrivata potenza nell'arte; nella Annunciazione del museo Kestner di Hannover: nel piccolo Sant'Agostino in cella (Uffizî), sorprendente per la febbrile spezzatura della linea. Contemporanea a quest'ultimo ciclo di opere è l'illustrazione della Divina Commedia, ove la fine indagine del commentatore e la virtù del suo segno raggiungono spesso sorprendenti finezze d'interpretazione. L'elaborato schema delle illustrazioni dantesche, la ricerca sottile di forme atte a fissare le immagini trascendentali del Purgatorio e del Paradiso, lasciano tracce in tutta una serie di pitture: la Giuditta della collezione Kaufmann, la Storia di Vìrginia nella raccolta Morelli a Bergamo, la Storia di Lucrezia nel museo Gardner a Boston, il Presepe della National Gallery di Londra, canto di Natale composto sopra un veloce immaginoso schema di ghirlande. Il B. vi scrisse in lettere greche: "questa pittura, alla fine dell'anno 1500, durante i torbidi d'Italia, io, Alessandro, dipinsi nel mezzo anno dopo il primo anno degli anni tre e mezzo della liberazione dal demonio, secondo il compimento della visione di San Giovanni nell'XI capitolo dell'Apocalisse: il demonio sarà incatenato, e si vedrà, come in questa pittura, gettato in giù, avverandosi il detto dell'Evangelista nel capitolo XII". L'esaltazione fantastica della Natività di Londra si trova in un'altra allegoria religiosa, la Crocifissione Aynard, ora nel museo Fogg a Cambridge: il crocefisso s'innalza su Firenze dalle slanciate cupole, e verso la città imperversa l'uragano che s'aggira attorno la croce, mentre dal cielo, ove appare l'Eterno, cadono piccoli scudi crocesegnati in rosso, e appié della croce, in una sintetica obliqua, si tende nel grido Maddalena. Il movimento giunge al parossismo, la danza lineare diviene ridda di ghirigori turbinanti nelle tre tavolette con istorie di San Zanobi: due nella Galleria nazionale di Londra, una nella galleria metropolitana di New York, una nella galleria statale a Dresda. Pittore della linea in movimento, Sandro B. conchiude le ricerche dei maestri fiorentini, da Donatello al Pollaiolo, verso la risoluzione della forma in arabesco di correnti vive, continue o interrotte, blande o tempestose, idilliche od orgiastiche, sempre e sempre più ritmiche. Nessun artista rappresenta la Firenze di Lorenzo il Magnifico quanto Sandro B. Tradizione vuole che egli fosse "molto piacevole et faceto"; ma gaiezza non si sprigiona mai dalle sue pitture, neppure da quelle che cantavano la primavera, la festa fiorentina del maggio. Un sottile fascino di malinconia scaturisce dai suoi ritmi di linee, dai magnifici scenarî, dalle danze d'angeli e di rose, dalle immagini alate, interpreti di umanistici sogni. Una febbre di godimento e di vita, che cela un pensiero amaro, si riflette nelle forme agili, nervose, nei subiti languori del più sottile creatore d'immagini che la pittura fiorentina e italiana abbia avuto, del più raffinato poeta del Quattrocento toscano. Il mondo incantato dell'arte di Sandro, con lo splendore dei suoi apparati di velluto, d'oro e di fiori, col singolare nostalgico fascino dei suoi tipi umani e dei suoi ritmi di linee, chiude in sé i sogni di Firenze sul tramonto del Quattrocento, nella vigilia splendida di giorni di passione, del secolo di Michelangelo.

venerdì 27 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 119 Luca Signorèlli 1445

Luca Signorèlli 1445

 

Luca Signorèlli, . - Pittore (Cortona tra il 1445 e il 1450 - ivi 1523). Secondo G. Vasari fu allievo di Piero della Francesca, come confermano gli scarsi frammenti dell'affresco giovanile per la torre del Vescovo a Città di Castello (Madonna con Bambino e i ss. Girolamo e Paolo, 1474), conservato nella Pinacoteca Comunale. In seguito S. si accostò all'ambiente urbinate; a questa fase appartengono le due tavolette con la Flagellazione e con la Madonna con Bambino (Milano, Brera), originariamente recto e verso di un'unica tavola processionale dipinta per la chiesa di S. Maria del Mercato a Fabriano, e gli affreschi della sacrestia della Cura nella basilica di Loreto (1479-80 circa). Fondamentali per l'artista furono tuttavia gli stimoli della cultura artistica fiorentina, con cui venne precocemente in contatto. Già nelle opere del primo periodo si avverte infatti una ricerca di accordo tra plasticismo delle forme e dinamismo lineare, che pone S. in una posizione peculiare riflettendo, accanto alla originaria formazione pierfrancescana, le contemporanee ricerche di A. Pollaiolo o di A. Verrocchio, con un'accentuazione nella resa dei caratteri anatomici della figura. Nel 1482 fu a Roma, attivo nella Cappella Sistina come collaboratore di P. Perugino, eseguendo insieme a B. Della Gatta il riquadro con Mosè consegna la verga a Giosuè e la Morte di Mosè. Negli anni successivi lo stile di S. si precisa nelle sue originali caratteristiche, dal serrato schema compositivo all'uso del colore e della luce in funzione della definizione dei volumi nello spazio, come appare, per es., nella pala per il duomo di Perugia (1484, museo del duomo), una delle sue opere più significative, nella Circoncisione (1491 circa, Londra, National Gallery), o in due dipinti eseguiti per la committenza medicea, il tondo con la Madonna con Bambino e nudi nello sfondo (1490-95, Firenze, Uffizi) e l'Educazione di Pan (già a Berlino, distrutta nella seconda guerra mondiale), soggetto mitologico che dava a S. l'occasione di offrire la sua interpretazione del mondo classico. La vena creativa di S. trovò una felice espressione nella tecnica dell'affresco: un carattere prevalentemente narrativo hanno le Storie di s. Benedetto del chiostro grande dell'abbazia di Monteoliveto Maggiore (1497-98), mentre nell'ultima fase l'arte di S. subisce una forte accentuazione drammatica ed espressionistica, evidente nel celebre ciclo di affreschi con il Giudizio universale della cappella di s. Brizio nel duomo di Orvieto (1499-1503), dove sono dipinte, tra l'altro, Storie dell'Anticristo, Resurrezione della carne, Inferno, Paradiso e varie figurazioni tratte dalla Divina Commedia di D. Alighieri. A causa del sempre maggiore intervento della bottega, la produzione artistica dell'ultimo ventennio presenta una certa discontinuità qualitativa, alternando opere deboli e ripetitive (Madonna con Bambino e santi, Roma, Museo nazionale di Castel s. Angelo) ad altre di genuina ispirazione, che risentono delle più recenti novità, come la Comunione degli apostoli (1512, Cortona, Museo Diocesano), che mostra spunti raffaelleschi. Numerosi disegni di figura di S., di grande qualità, sono conservati al Louvre e agli Uffizi di Firenze.

Corso di storia dell'arte: 118 Bramante 1444

Bramante 1444


Bramante, Donato. - Architetto, pittore e teorico dell'architettura (Monte Asdrualdo, ora Fermignano, presso Urbino, 1444. - Roma 1514). Ebbe la sua educazione artistica con ogni probabilità a Urbino, dove poté ammirare soprattutto L. Laurana, Piero della Francesca, Paolo Uccello, Melozzo da Forlì, Francesco di Giorgio, ecc., e una schiera di marmorarî lombardeschi. Nel 1477, a Bergamo, dipinse sulla facciata del palazzo dei Priori una serie di filosofi, oggi alla pinacoteca di Brera. Ma la sua attività principale si svolse a Milano, alla corte di Ludovico il Moro: disegno di una Prospettiva fantastica (1481), incisa da B. Prevedari; ricostruzione della chiesa di S. Satiro (1480 circa-1486); collaborazione ai lavori del duomo di Pavia (dal 1488), suo disegno per il chiostro della canonica di S. Ambrogio; lavori nel castello ducale di Vigevano (Palazzo forte e la Torre); costruzione della tribuna absidata di Santa Maria delle Grazie. Nel 1497 viene innalzata la facciata del duomo di Abbiategrasso e, interrotto il chiostro della canonica a Sant'Ambrogio, s'iniziano col suo modello i quattro chiostri conventuali. Nel 1499 il B. parte per Roma, dove costruisce il chiostro di Santa Maria della Pace (1500-04), sola parte realizzata di un più vasto complesso, l'abside (1509) di Santa Maria del Popolo; e forse collaborò ai lavori del palazzo della Cancelleria e dell'annesso San Lorenzo in Damaso. Seguono il palazzo dei tribunali, con nell'interno la chiesa di San Biagio alla Pagnotta, ed il palazzo che sarà poi di Raffaello Sanzio. Tra i molti lavori affidati al B. da Giulio II (tracciati edilizî, costruzioni di pubblici edifici, bonifiche, fornitura d'acqua, ecc.), i più importanti sono i lavori della nuova fabbrica di S. Pietro e del Palazzo Vaticano. Il progetto del B. per S. Pietro, noto da disegni del Sangallo e del Serlio e da una medaglia del Caradosso, rappresentava un edificio a pianta centrale, poliabsidato, con alta cupola retta da un tamburo e fiancheggiato da quattro torri. I lavori per la cupola, iniziati nel 1506, erano giunti nel 1510 fino all'imposta, mentre nel 1512 era terminato il coro provvisorio poligonale. Ma la morte di Giulio II (1513) e del B. li interruppe bruscamente, come pure i lavori del Palazzo Vaticano dove il B. aveva iniziato i due grandi cortili del Belvedere e di S. Damaso. Il B. è una delle più potenti ed originali personalità del Rinascimento. Innestandosi, a Milano, nella tradizione lombarda permeata di elementi tardo-gotici e toscani, egli la supera ben presto per il suo spiccato senso della monumentalità realizzata attraverso la ritmica ed unitaria articolazione delle masse architettoniche modellate con una raffinata sensibilità per i valori coloristici ed atmosferici. Questa sua tendenza all'ampio e sereno respiro spaziale, di cui si possono trovare anticipazioni significative nelle costruzioni mantovane di L. B. Alberti, si approfondisce, a Roma, a contatto dell'artista con gli edificî classici da lui intensamente studiati e culmina nel tempietto di San Pietro in Montorio, e soprattutto nel nuovo tempio di San Pietro in Vaticano. Profonda è stata l'influenza esercitata dal B. sull'architettura del suo tempo; e a lui si collega soprattutto l'arte del Sansovino, del Sanmicheli e del Palladin. Le pitture del B. rivelano una forte disparità di livello tra gli affreschi bergamaschi e le pitture milanesi (gli affreschi con gli Uomini d'arme di casa Panigarola, ora a Brera, e la tavola con il Cristo alla colonna dell'abbazia di Chiaravalle, oggi pure a Brera). Di largo e robusto impianto compositivo, queste pitture rivelano prevalentemente suggestioni di Melozzo da Forlì e del Mantegna.

giovedì 26 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 117 Melozzo da Forlì 1438

Melozzo da Forlì 1438

Melòzzo ⟨-zzo da Forlì. - Pittore (Forlì 1438 - ivi 1494). Si formò sulle teorie di Piero della Francesca, che conobbe probabilmente a Urbino, dove erano allora presenti P. Berruguete e Giusto di Gand. Nei suoi ritratti l'illusionismo prospettico e i personaggi, descritti con penetrante naturalismo, segnano una breve stagione della pittura romana. Tra le sue opere occorre citare la decorazione dell'abside della chiesa dei Ss. Apostoli (oggi conservata in frammenti, Pinacoteca vaticana e Palazzo del Quirinale). La sua formazione, più che al suo conterraneo Ansuino, che tuttavia dovette metterlo in contatto con l'interpretazione fantastica e illusionistica della prospettiva propria di A. Mantegna, risale a Piero della Francesca, che forse M. seguì a Roma nel 1459. Dal 1460 al 1464 M. lavorò a Forlì; ritornò nel 1470 a Roma, dove eseguì una copia della duecentesca Madonna di S. Maria del Popolo, e vi rimase, salvo brevi assenze, fino al 1475, lavorando con il condiscepolo Antoniazzo Romano. Si suppone che con Piero si recasse poi a Urbino, dove erano allora presenti P. Berruguete, il giovane Bramante e Giusto di Gand. Nuovamente a Roma, nel 1477 dipinse l'affresco dell'Inaugurazione della Biblioteca Vaticana (oggi nella Pinacoteca Vaticana), dove lo scenario architettonico, prospetticamente esatto, e i personaggi, segnati con penetrante forza caratterizzatrice, si armonizzano per intensità di colore e di luce e per ampiezza compositiva e, nel 1480 circa, l'Ascensione di Cristo nella tribuna della chiesa dei SS. Apostoli, semidistrutta nel rifacimento seicentesco della chiesa (Ascensione al Quirinale, altri frammenti, degli angeli e degli apostoli, alla Pinacoteca Vaticana). Qui la fantasia spaziale del pittore si complica nell'effetto di prospettiva aerea e di movimento ritmico. Altre opere di M. sono il ritratto di Guidobaldo d'Urbino (1481 circa, Roma, Galleria Colonna), l'ideazione della famosa decorazione della cappella del Tesoro a Loreto (eseguita da M. Palmezzano) e della cappella Feo in S. Biagio a Forlì. Opere giovanili di M. si possono ritenere il S. Marco Papa e il S. Marco Evangelista (Roma, S. Marco) e un'Annunciazione affrescata nel Pantheon.

mercoledì 25 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 116 Crivelli 1435

Crivelli 1435

Crivèlli, Carlo. - Pittore (Venezia 1435 circa - ivi dopo il 1493). Formatosi a Venezia a contatto con le botteghe dei Vivarini e di J. Bellini, si avvicinò poi all'ambiente tardo-gotico dello Squarcione. Fu a Zara (1459-60 circa) e in seguito nelle Marche. Numerose le opere firmate e datate che ci consentono di seguire il suo svolgimento stilistico, dal polittico di S. Silvestro di Massa Fermana (1468) alle opere tarde. Nonostante un senso decorativo di evidente derivazione tardogotica, le sue opere rivelano un carattere moderno, una razionalità di forme inserite nello spazio, che egli dovette derivare in parte dall'arte ferrarese. Il carattere prezioso e intellettualistico della sua arte diviene drammatico nel S. Giorgio (Boston, J. Gardner Mus.), si avvicina all'arte di Pisanello e nelle ultime opere tende a raggelarsi nella ricerca di una metafisica perfezione. Tra le opere principali: la Madonna del Museo di Castelvecchio di Verona (1450 circa); il polittico del duomo di Ascoli (1473); la Pala Odoni alla National Gallery di Londra (1476); la Madonna nella Pinacoteca di Ancona; il polittico alla Pinacoteca Vaticana (1481); la Pietà di Filadelfia (1485); l'Annunciazione della National Gallery di Londra (1486); la Madonna della Candeletta e l'Incoronazione della Vergine a Brera (1493).

martedì 24 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 115 Giusto di Gand 1435

Giusto di Gand 1435

Giusto di Gand (fiammingo Joost van Wassenhove). - Pittore fiammingo (n. tra 1435 e 1440 - m. dopo il 1475), riconosciuto maestro ad Anversa nel 1460, entrò nella gilda di S. Luca di Gand nel 1464 e per la cattedrale dipinse una Crocefissione (1465) che, come l'Adorazione dei Magi (New York, Metropolitan Museum), a lui attribuita, mostra la sua attenzione per l'arte di R. van der Weyden e D. Bouts. Venuto in Italia, a Urbino (1473-75) eseguì la Comunione degli Apostoli (Urbino, Palazzo Ducale) sempre legata alla sua cultura fiamminga ma con particolari nessi con i moduli del più giovane U. van der Goes. Influenze italiane sono invece nelle opere eseguite posteriormente, per lo studio del duca Federico da Montefeltro (ritratto del duca col figlio Guidobaldo; figure di profeti, poeti, dottori della chiesa: Urbino, Palazzo Ducale) dove, se è difficile misurare il grado di collaborazione di Pedro Berruguete e di Melozzo, rimane evidente l'influsso di Piero della Francesca. L'opera di G. costituisce il più notevole punto d'incontro, nel sec. 15º, tra la pittura fiamminga e quella italiana.

lunedì 23 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 114 Verrocchio 1435

Verrocchio 1435 


Verròcchio, Andrea del (propr. Andrea di Cione). - Pittore, scultore e orafo (Firenze 1435 - Venezia 1488). Annoverato tra le principali figure della vita artistica fiorentina nella seconda metà del 15° secolo, nella scultura V. realizzò una monumentalità nuova, che suppone una spazialità non costringibile dentro la prospettiva quattrocentesca e che tende di fatto a rompere l'immobilità in una ricerca di movimento, sia nei gesti che suggeriscono instabilità, sia nelle superfici e negli atteggiamenti psicologici (David, Firenze, Museo nazionale del Bargello; Incredulità di s. Tommaso, Firenze, Orsanmichele). Nella pittura, un'attenta lettura delle opere fiamminghe, imprime un nuovo realismo alle composizioni con intenso studio di tipi nuovi, anche nel superamento delle consuetudini iconografiche. Figlio di Michele di Francesco Cione, fabbricante di mattoni e poi gabelliere, prese il nome dal suo primo maestro d'arte, un orefice fiorentino che si chiamava Giuliano Verrocchi. Ma V. fu specialmente un maestro di sé stesso e partecipò assai presto a concorsi e ad opere collettive. Dopo un lungo silenzio, la sua prima commissione è l'importante gruppo della Incredulità di s. Tommaso in Orsanmichele del 1466; l'anno dopo eseguiva un'opera assai semplice, la lastra tombale di Cosimo il Vecchio nella sagrestia di S. Lorenzo. Nel 1468 gli fu commissionata la palla di bronzo per la cupola di S. Maria del Fiore; dello stesso anno è anche la prima commessa come pittore: uno stendardo per la giostra di Lorenzo de' Medici in onore di Lucrezia Donati, perduto. V. doveva evidentemente aver appreso la pittura da Filippo Lippi. Fu influenzato anche dal più giovane S. Botticelli. Con la morte di Donatello (1466), V. era divenuto il protetto di Piero de' Medici e del figlio Lorenzo. Fra il 1470 e il 1472 V. lavorò alla tomba di Piero e Giovanni de' Medici nella sagrestia di S. Lorenzo. Nello stesso anno entrò nella compagnia di S. Luca come "dipintore e intagliatore". Intorno al 1474-75 dipinse il Battesimo di Cristo per S. Salvi; nel 1474 una Madonna e Santi per Donato de' Medici a Pistoia. Il primo dipinto fu finito da Leonardo, il secondo da Lorenzo di Credi. Nello stesso tempo attendeva al David di bronzo che nel 1476 Lorenzo e Giuliano de' Medici vendettero alla Signoria. Nel 1476 presentava a Pistoia il suo modello (oggi al Victoria and Albert Museum di Londra) per il cenotafio del vescovo Forteguerri, che gli fu commissionato definitivamente nel 1477, ma che rimase incompiuto. Nel 1480 completò il rilievo di uno dei pannelli dell'altare del battistero di Firenze e già nel 1478 aveva fuso il putto col delfino, ora al Bargello, per la villa Medici a Careggi. Di un allievo sono le parti superstiti del Monumento Tornabuoni nella chiesa della Minerva a Roma (1477 e seguenti), menzionato da G. Vasari. Nel 1479 ebbe l'incarico dalla repubblica di Venezia di un monumento equestre a B. Colleoni; il modello fu eseguito nel 1481, ma soltanto nel 1492 fu fuso da A. Leopardi, che aveva perso il concorso per la statua contro il Verrocchio. Nel 1483 V. aveva intanto consegnato a Orsanmichele l'Incredulità di s. Tommaso, ordinatagli tanti anni prima. Lo studio del V. fu ereditato da Lorenzo di Credi, che completò le opere lasciate incompiute dal maestro.

domenica 22 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 113 Mantegna 1431

Mantegna 1431




Mantégna, Andrea. - Pittore e incisore (forse Isola di Carturo, Padova, 1431 - Mantova 1506). Allievo a Padova di F. Squarcione, si formò in un ambiente ricco di stimoli culturali maturando un nuovo linguaggio di ampio respiro spaziale aggiornato sulle novità plastiche e progettistiche diffuse dagli artisti toscani, in particolare da Donatello, e caratterizzato da un sicuro costante riferimento al mondo classico, stimolato e approfondito anche attraverso gli stretti contatti con umanisti e letterati quali F. Feliciano e G. Marcanova. Chiamato inizialmente a collaborare con N. Pizzolo, G. D'Alemagna e A. Vivarini alla decorazione della cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani (in parte distrutta nell'ultima guerra mondiale), dal 1453 si trovò a dover/">dover proseguire da solo l'opera che completò con le storie di s. Cristoforo e di s. Giacomo mostrando, attraverso uno stile incisivo e un impianto compositivo più evoluto, una crescente carica drammatica. Documentato nel 1449 alla corte di Ferrara, dove ebbe modo di conoscere le opere di R. van der Weyden e di P. della Francesca, nel 1452 ritornò a Padova per completare la decorazione della lunetta sul portale della basilica del Santo e per dipingere il polittico di S. Luca per i monaci di S. Giustina (1453-54, Milano, Brera), la S. Eufemia (1454, Napoli, museo di Capodimonte) vicina all'opera scolpita da Donatello per l'altare maggiore di S. Antonio a Padova, e l'Orazione nell'Orto (1455, Londra, National Gallery), che testimonia, nell'uso di gamme cromatiche più calde e in una maggiore morbidezza plastica, la diretta influenza di I. Bellini, del quale, nel 1553, aveva sposato la figlia Niccolosa. Dopo un breve soggiorno a Venezia, di cui restano i cartoni raffiguranti la morte di Maria per il mosaico della cappella Mascoli in S. Marco, e a Padova, dove, portati a termine gli affreschi della cappella Ovetari (1456-57, Martirio di s. Cristoforo), realizzò il polittico di San Zeno per la basilica di Verona (1457-59, la predella è in parte conservata al Louvre e in parte al Museo di Tours) e il San Sebastiano (Vienna, Kunsthistoriches Museum), nel 1459 si stabilì definitivamente a Mantova come pittore della corte dei Gonzaga. Il trittico agli Uffizi (Adorazione dei Magi, Presentazione, Ascensione), che per la minuzia lineare e la vivacità cromatica rappresenta un ritorno alle vecchie posizioni fu eseguito in questo primo momento di attività mantovana: così pure la decorazione scomparsa della cappella del Castello di S. Giorgio, che la recente critica ha voluto ritrovare nella Morte della Vergine del Prado e nel trittico degli Uffizi. Ma la fase più complessa dello stile mantegnesco è quella degli affreschi (1474) per la "Camera degli sposi", nel castello di Mantova, raffiguranti l'Arrivo di un messaggio alla famiglia Gonzaga e l'Incontro del marchese Ludovico col figlio Francesco. I personaggi, veri e proprî penetranti ritratti, si dispiegano con ritmo solenne su uno sfondo di paesaggio aperto, e nel soffitto nuovo è l'effetto del sottinsù ottenuto fingendo aperta la volta nel mezzo, da un occhio protetto da una balaustrata, dalla quale sporgono dame, pavoni e vasi, e fra cui occhieggiano curiosi i genietti, mentre al centro si apre il cielo azzurro. Verso il 1475 dobbiamo porre anche l'attività incisoria di M. (i Baccanali, il Combattimento di Tritoni, la Madonna, il Cristo fra due Santi, la Deposizione), opere che presentano la stessa incisività dei cartoni, la stessa maniera di realizzare il chiaroscuro, dei disegni mantegneschi. Anche nell'ultimo periodo l'elemento chiaroscurale assume spesso la prevalenza, come nel ciclo dei Trionfi di Cesare (1490 circa, Londra, Hampton Court), nella Madonna della Vittoria (1495-96) al Louvre, nella pala di S. Maria in Organo al Castello Sforzesco di Milano (1497), nel Parnaso (1497) e nel Trionfo della Virtù (1502, per lo Studio di Isabella d'Este) al Louvre, nello scorcio ardito del Cristo morto (1478-80, Brera). Ancora da ricordare la discussa attività di M. nel campo della scultura, testimoniata soprattutto da alcune terracotte (statue di santi e un'annunciazione nel Palazzo Ducale di Mantova), e nel campo dell'architettura con la propria casa a Mantova e alcuni disegni per monumenti e architetture.

sabato 21 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 112 Antonello da Messina 1430 ca.

Antonello da Messina 1430 ca.


Antonèllo da Messina. - Pittore (Messina 1430 circa - ivi 1479). Influenzata all'inizio dalla pittura borgognona e fiamminga, di cui risentono le prime opere, l'arte di A. in seguito matura in una resa di forme grandiosamente semplici e dai colori luminosi e purissimi, una sintesi che lascerà una profonda impronta sulla pittura veneziana a venire e il cui esempio più grandioso è il S. Sebastiano (1476). VitaLe scarse notizie documentarie si riferiscono alla sua attività in Sicilia e in Calabria, dal 1457 all'anno della morte, e a un viaggio a Venezia e a Milano (1475-76). Tra il 1450 e il 1460 circa si trova a Napoli dove subisce l'influsso di Colantonio, poi in Sicilia e Calabria. Nel 1463 è documentata la sua attività a Messina; nel 1475 è attestata la sua presenza a Venezia; nel 1476 risulta nuovamente a Messina; il 14 febbraio 1479  fa testamento e prima del 25 febbraio muore a Messina. OpereDalle prime opere (Crocifissione di Sibiu; Abramo visitato dagli Angeli e S. Gerolamo di Reggio Calabria; S. Gerolamo della National Gallery di Londra) si può indurre che la formazione di A. sia avvenuta, fra il 1450 e il 1460, probabilmente a Napoli, su esemplari borgognoni e fiamminghi, in un ambiente di cultura complesso, ove l'arte di Colantonio rappresentava tipicamente il convergere di varie esperienze, cui potevano aver contribuito un probabile soggiorno napoletano di J. Fouquet, e i primi riflessi di Piero della Francesca. Nello sviluppo successivo di A., dal Cristo benedicente del 1465 (Londra), che è la sua prima opera datata, al trittico di s. Gregorio del museo di Messina (1473), alla Crocifissione di Anversa (1475), all'Annunciazione del museo di Siracusa (1475), alle forme che diventano grandiosamente semplici, e quasi astratte, in virtù di uno squadro prospettico derivato da Piero, si unisce un colore luminoso, purissimo in una sintesi che risulterà fondamentale per le sorti della pittura a Venezia, dove la pala dipinta da A. per S. Cassiano nel 1475 (ora frammentaria nel Kunsthistorisches Museum di Vienna) e la Pietà, ora nel Museo Correr, segneranno la svolta decisiva per l'evoluzione di Giovanni Bellini. Esempio massimo di questa unione: Il S. Sebastiano, del 1476 (museo di Dresda), in cui la figura umana è stilisticamente trasfigurata per via di un'estrema semplificazione, e pur conserva, in essa, una profonda individualità. Questa è espressa con la maggiore potenza in una serie di ritratti (nei musei di Cefalù, Milano, Parigi, Londra, Pavia, Berlino, ecc.), da scalarsi secondo i vari momenti dell'attività di A., nei quali la caratterizzazione quasi esasperata del soggetto trova un limite di stile in una geometrica regolarità di struttura.

Corso di Storia dell'arte: 65 Berlinghieri 1175

Berlinghiero Berlinghieri 1175




Berlinghiero Berlinghieri (Volterra, 1175 circa – Lucca?, 1235 o 1236) è stato un pittore italiano, attivo a Lucca dal 1228 al 1232. Le poche notizie sulla vita di Berlinghiero si ricavano dalle firme apposte su due sue opere (la Croce di Lucca e il Crocifisso di Fucecchio), in cui si cita come volterrano, e da un documento lucchese del 1228, in cui il pittore si dichiara figlio di Melanese il vecchio, assieme ai propri figli Bonaventura, Barone, Marco e altri cittadini lucchesi, durante il giuramento di pace con i pisani. Il fatto che nel 1228 avesse almeno due figli maggiorenni (Barone e Bonaventura) ha fatto ipotizzare che fosse nato circa una cinquantina d'anni prima, magari verso il 1175, e che fosse attivo come pittore dal 1200 circa. Probabilmente si formò tra Volterra e Pisa, dove esisteva una scuola di miniatura (di cui resta una Bibbia di san Vito nella Certosa di Calci), aggiornata sulla cultura umbro-romana di quegli anni, ma dotata anche di contatti di prima mano con la contemporanea arte costantinopolitana e siculo-normanna. Le sue opere sono emblematiche di come nella prima metà del XIII secolo la pittura toscana fosse ancora legata alla scuola bizantina, a differenza delle coeve opere di scultura e architettura, ormai indirizzate a modelli gotici transalpini e della romanità classica. La sua opera fu comunque uno dei primi passi nella transizione tra l'arte bizantina e l'arte occidentale. Sua prima opera nota è il Crocifisso dipinto del Museo nazionale di Villa Guinigi di Lucca (già al monastero di Santa Maria degli Angeli, 1210-1220), in cui si rifece all'arte bizantina nei tipi delle figure e nel prezioso smalto cromatico. La posa è ancora quella del Christus triumphans, statica e priva di drammaticità. Databile tra il 1230 e il 1235 è un secondo Crocifisso, proveniente da Fucecchio e ora conservato al Museo di San Matteo a Pisa, in cui, sotto l'influsso di Giunta Pisano, venne accentuata l'espressività delle figure. Al maestro sono anche attribuite due Madonna col Bambino, una al Metropolitan Museum of Art di New York, detta anche Madonna Straus, e l'altra nel Duomo di Pisa, che si sa proveniente da Camaiore e ivi situata dal 1225-1226, quando fu preda bellica del castello di Lombrici. Dalle numerose citazioni nei patronimici dei figli, tutti e tre pittori, si apprende che dal 1232 al 1235 risultava ancora vivo, e nel 1236 defunto.

venerdì 20 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 111 Cosmè Tura 1430 ca

Cosmè Tura 1430 ca


TURA, Cosmè. - Pittore ferrarese, nato circa nel 1430, morto nel 1495. Nel 1451 stima con Galasso pennoni dipinti da Giacomo Turola, nel 1452 fa per la corte estense un cimiero da offrirsi al miglior corridore nel pallio del giorno dedicato al patrono San Giorgio; nello stesso anno dipinge imprese e fogliami, indora cassettine di pasta di muschio e si parte da Ferrara. Visse a Padova e a Venezia fino al 1436, nell'anno seguente prese alloggio alla corte di Ferrara, nel 1458 dipinse nel duomo una Natività, e cominciò la decorazione dello studio del duca Borso nel palazzo di Belfiore. Fino dal 1460 era provvigionato dalla corte, per la quale fece cartoni d'arazzi (1467, 1475, 1479, 1480). Dal 1465 a quest'anno fu ad ornare la biblioteca dei Pico, signori della Mirandola, e nel 1467, tornato a Ferrara, s'impegnò a dipingere la cappella Sacrati in San Domenico. Compì nel 1469 le ante d'organo della cattedrale ferrarese e diede principio alla decorazione d'una cappella nella delizia di Belriguardo, terminata nel 1472. In quest'anno eseguì il ritratto d'Ercole I d'Este, e di Lucrezia sua figlia naturale, poi tre ne fece del bambino don Alfonso, primogenito del duca (1477), uno al naturale di Lucrezia d'Este (1479), un altro d'Isabella d'Este (1480). Dal 1477 al 1481 Cosmè attese a dipingere lo studio del duca di Ferrara, nel 1485 il ritratto della principessa Beatrice d'Este, nel 1490 aveva eseguito un'ancona d'altare per la chiesa di San Niccolò di Ferrara, un Sant'Antonio da Padova per monsignor d'Adria. Il mondo padovano di Donatello e del Mantegna si riflette ancora nell'opera dell'età media del T., nelle ante d'organo della cattedrale ferrarese; ma le forme ferrigne, le pieghe spezzate, il paese vitreo e brullo, sono altrettanti segni del genio ribelle di Cosmè, che nell'anta di San Giorgio ci trasporta in un mondo di fiaba, truce, diabolico, a piè d'una montagna dantesca a gironi, sotto un torbido cielo, che dissecca le foglie dell'albero e arroventa le scarnite figure. Oltre agl'influssi padovani si notano in T. rapporti con le forme pittoriche della Germania meridionale, diffuse nell'Italia settentrionale durante il rigoglio del gotico fiorito. L'architettura del trono su cui siede la Primavera, già Layard, ce ne dà un esempio: il genio bizzarro dì Cosmè vi riversa tutte le sue smaglianti fantasie, sostituendo alle cornici lisce dei Toscani un arco formato da corpi di delfini, con pinne come aculei, denti a sega, occhi di rubino incastonati d'oro. Altri delfini s'ingobbano a formare i bracciali, altri si attorcono nelle basi del trono. In questo quadro, il più antico noto del T., egli ci appare nella tipica forma che manterrà per tutta la vita, aspra e splendente, spinosa e arrovellata, tale da trasportarci in un mondo fantastico, di mostri e di pietre preziose, di marmi rari e d'incandescenti metalli. Vicina per effetto cromatico alle ante d'organo del duomo di Ferrara è la Pietà del Museo Correr a Venezia, tanto nel lividore delle vesti, quanto nelle foglie secche dell'albero tra cui risplende il lucido metallo delle arance d'oro. Si raffredda il colore nel Cristo morto sorretto da due angeli, a Vienna, nel Museo storico-artistico, fra intessanti contrasti che ne rafforzano l'intensità: pallore cinereo di carni tra note acutissime di turchino e di viola, incandescenze preziose nel gruppo lontano delle Marie. Gli smalti di Cosmè scintillano nei tondi di S. Maurilio della Pinacoteca di Ferrara, tra le forme scheletrite; e l'iscrizione di figure e architetture entro il tondo è raggiunta da un ritmo nervoso e infallibile, che nel Martirio del Santo disegna il cerchio delle figure intorno alla fiamma d'un sibilante vessillo. Grandeggiano i santi e il devoto nello sportello colonnese del trittico Roverella, animati dalla statuaria maestà del Mantegna, e nella lunetta del Louvre, composta come gruppo in plastico per una rappresentazione di misteri religiosi, con la violenza che penetra le creazioni del T., e che si estende dai volti angolosi alle mani contratte, alle pieghe ritorte, tutte creste e spigoli, su cui percuote e risplende il colore. Le forme del Rinascimento, complicate da una flora lussureggiante e fantasiosa, trovano campo più vasto nell'ancona di Berlino, nel trono a piani sovrapposti, a predelle adorne di bassorilievi, a nicchia profonda, e nelle figure disposte in tre gradi, i due Santi, le due Sante, i due angioletti, a distanze misurate, in perfetto ordine architettonico. Dietro il trono, la parete s'apre in due arcate, sopra le quali girano lunettoni con statue di profeti su fondo a musaico d'oro. La luce fredda e limpida del cielo contrasta col tono rovente delle figure, le cui vesti hanno trasparenza d'agata e di onice: i putti sull'arcata sembrano lampade accese da una vermiglia fiamma; tutto pare scaldato dal fuoco, che trae scintille dalle tessere d'oro dei lunettoni, dalle scaglie multicolori dei marmi. La grande pala, abitata da figure salde e statuarie, che ci richiamano la monumentale stasi delle forme di Piero della Francesca, abbaglia i nostri occhi con la ricchezza dell'apparato, il fulgore dei metalli e dei marmi, proprî del meraviglioso fabbro che martella sull'incudine le immagini, perché la luce meglio si rifranga e folgori dagli spigoli delle forme, dagl'irti contorni. La potenza cromatica del T. raggiunge nelle ultime opere ardimenti estremi: esempio il contrasto lacerante tra la figura di San Giacomo, nel quadro della Galleria Estense, e il fantasmagorico paese spennellato di giallo e sanguigno. Deserti e brulli sono i paesi di Cosmè, ritorti come grovigli di radici i panni, tormentato sino al parossismo il contorno dei lineamenti; ma anche nelle ultime opere, quando il pittore, scostandosi dagli esempî di Toscana e dal Mantegna, non ascolta più che la propria barbara e indomita energia, e il suo colore s'accende di luci preziose che si sprigionano, per le asprezze della forma, dagli smalti e dai marmi traslucidi, Cosmè è il capostipite della tradizione cromatica ferrarese, in tutto il suo fiammeo splendore.

giovedì 19 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 110 Gentile Bellini 1429

Gentile Bellini 1429

Bellini, Gentile. - Pittore (Venezia 1429 - ivi 1507), figlio di Iacopo e fratello di Giovanni. Acuto osservatore della realtà, imparò anzitutto dal padre la pratica del ritratto somigliante, come prova la sua prima opera datata (1465) e firmata: la figura del beato L. Giustiniani (Venezia, Accademia). Fu mandato dalla repubblica di Venezia (1479) a Costantinopoli, presso Maometto II che aveva richiesto un buon ritrattista (ritratto di Maometto II, 1480, Londra, Nat. Gallery). Distrutte nell'incendio del 1577 le pitture eseguite, a partire dal 1474, nella sala del Gran Consiglio in Palazzo Ducale, la sua opera principale è oggi costituita dalla serie di grandi tele dipinte per la Scuola di s. Giovanni Evangelista di Venezia ora nelle Gall. dell'Accademia: la Processione in Piazza (1496), la Croce caduta in canale (1500), il Terzo miracolo della Croce (1501), mirabili di realismo e, al tempo stesso, di finezza coloristica. La Predica di s. Marco in Alessandria (Milano, Brera), iniziata (1504 o 1506) per la Scuola grande di S. Marco, fu condotta a termine da Giovanni Bellini. In Gentile B. trova alta espressione la corrente cronachistica della pittura veneziana.

mercoledì 18 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 109 Andrea del Castagno 1421

Andrea del Castagno 1421

Andrèa del Castagno. - Pittore (Castagno di San Godenzo, Mugello, 1421 circa - Firenze 1457), tra i maggiori del Quattrocento fiorentino. Dopo un periodo formativo in cui risentì dell'influsso di Masaccio, Filippo Lippi, Donatello e Paolo Uccello, raggiunse la piena maturità, di cui è specchio il ciclo (Ultima cena, Crocefissione, Deposizione, Resurrezione) nel Refettorio di S. Apollonia a Firenze, di grandiosa severità. Vita e opereLa sua più antica opera conservata sono gli affreschi, eseguiti in collaborazione con Francesco da Faenza, nella cappella di S. Tarasio in S. Zaccaria a Venezia; nel 1444 era pagato per il cartone di una vetrata nel tamburo della cupola di S. Maria del Fiore (Deposizione); nel 1449 gli era allogata la pala con l'Assunta tra i ss. Giuliano e Miniato (Berlino, Gemäldegalerie) per S. Miniato fra le Torri; nel 1456 affrescava il monumento a Niccolò da Tolentino in S. Maria del Fiore. Negli affreschi di S. Zaccaria A. si rivela personalità decisa, in stretto rapporto con Masaccio e più ancora con Filippo Lippi e Donatello. A questo periodo appartiene anche un affresco del castello di Trebbio (Uffizi, collezione Contini-Bonaccossi), il cui impianto prospettico rivela l'influsso di Paolo Uccello. Immediatamente dopo questo periodo formativo la critica data l'affresco della Crocefissione, già nel chiostro degli Aranci a Firenze. Tra il 1445 e il 1450 si pone il ciclo (Ultima Cena, Crocefissione, Deposizione, Resurrezione) nel Refettorio di S. Apollonia a Firenze, di grandiosa severità e arditissimo negli scorci; nel Cenacolo di S. Apollonia, oggi trasformato in museo, sono stati trasferiti anche altri affreschi distaccati. Verso il 1450 si deve anche datare la decorazione della villa Carducci di Soffiano, concepita secondo un programma che unisce alla storia della redenzione (affreschi in situ, scoperti nel 1949) l'esaltazione di uomini e donne illustri (affreschi staccati, Uffizi), secondo una concezione umanistica. Tra il 1451 e il 1453 A. lavorava, a Firenze, alla decorazione, iniziata da Domenico Veneziano, di S. Eligio (distrutta) e ai complessi e tormentati altari affrescati della Ss. Annunziata (Cristo e s. Giuliano, Trinità con s. Girolamo e due sante). L'esaltazione drammatica della plasticità e dello scorcio - in emulazione con la plastica di Donatello - sono il tratto saliente del monumento a Niccolò da Tolentino.

martedì 17 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 108 Agostino di Duccio 1418

Agostino di Duccio 1418 
AGOSTINO di Duccio. - Scultore. Nacque a Firenze nel 1418 da Antonio di Duccio e da Lorenza, ed ebbe due fratelli orefici, Cosimo e Ottaviano, questi anche scultore. Il Vasari credette erroneamente A. fratello di Luca della Robbia, col quale non ebbe neppure rapporti stilistici. Soltanto dopo la metà del séc. XIX documenti e studî misero in chiaro la vastità e il valore dell'opera di A., riconoscendolo unico autore di sculture variamente attribuite, a Modena, a Rimini e a Perugia. Nulla sappiamo circa la prima sua educazione artistica, poiché la sua maniera a sbalzo e a graffito indica rapporti tecnici non tanto con scultori quanto con orefici e bronzisti come Bertoldo e il Filarete. Il dominante influsso di Donatello lo dirige senza soggiogarlo, poiché la visione di A. rimane sempre pittorica, ed egli imprime vita alle sue figure e alle sue scene per mezzo di valori lineari. Palesemente ma esteriormente lo impressiona anche la scultura classica, e in particolare il noto rilievo delle Menadi cui egli talvolta s'ispira. La fantasia indipendente, il senso emotivo e lirico e la delicatezza tecnica rendono oggi Agostino di Duccio uno degli artisti più interessanti della sua epoca; ma al tempo suo, quando la plastica fiorentina vantava un Desiderio, un Pollaiolo, un Verrocchio, la sua incapacità di disciplina realistica e formale non lo fece apprezzare in patria, e l'obbligò a trovare lavoro e fortuna fuori, onde la sua fama si fonda sui vasti cicli decorativi di Rimini e di Perugia. La sua prima opera conosciuta è l'arca di S. Geminiano, oggi smontata, che egli eseguì per il duomo di Modena; i bassorilievì con le Storie del Santo e con la segnatura Agostinus de Florentia 1442, si vedono murati all'esterno dell'abside; altri frammenti, in sagrestia. Nel 1446, lavorando probabilmente come orefice alla SS. Annunziata a Firenze, A. venne accusato col fratello Cosimo di furto di argenti, onde entrambi dovettero fuggire a Venezia. Ne ricorda la permanenza quivi un'opera in collaborazione con Bartolommeo Bon, l'Incoronazione, che già ornava la porta della Carità, e che oggi è nella sagrestia della Salute. Nel 1447 A. venne addetto, probabilmente dal protomastro Matteo de' Pasti, alla decorazione plastica del Tempio Malatestiano a Rimini, tre anni innanzi che L. B. Alberti vi creasse il classico rivestimento esterno. Egli vi attese fino al 1454 lavorandovi di mano propria e dirigendo l'opera di molti aiuti, tra i quali il proprio fratello Ottaviano. Seguendo le ispirazioni e i consigli di Sigismondo Malatesta, di Matteo de' Pasti e degli umanisti della corte, egli vi animò con spirito e grazia insuperabili sei cappelle con figurazioni di arti liberali, di sibille, di portascudi, di pianeti, di putti danzanti e giocanti, mescolando il sacro e il profano tra la gaia policromia dei marmi variati, degli stucchi colorati, degli ori, dei bronzi. Vi scolpì anche il magnifico sepolcro degli antenati malatestiani e quello d'Isotta degli Atti. Solo nel 1912 C. Ricci poté leggere sopra un fregio in alto l'iscrizione Augustini Florentini lapicidae, posta a riscontro di un'altra, commemorante Matteo de' Pasti. Fece poi per Sigismondo altri lavori, come un bassorilievo d'Isotta, oggimai noto per un'incisione, e una Storia di S. Sigismondo per il monastero di Scolca, oggi nel Castello Sforzesco di Milano. Il 17 luglio 1457 A. fu chiamato a Perugia per decorare la facciata dell'oratorio di S. Bernardino, che compose nello stile di L.B. Alberti e ornò di statue, di storie in bassorilievo, e di policromia, creando un nuovo capolavoro di armonia decorativa. Terminata nel 1461, quest'opera venne collaudata dai pittori B. Bonfigli e Angiolo di Baldassarre. Fece nel frattempo, sempre in Perugia, un pulpito per S. Domenico, e il vasto altare di S. Lorenzo, di pietra colorata e terra invetriata, terminato il 12 ottobre 1459 Nel 1462 a Bologna fece un modello per il S. Petronio; e nel 1463 era a Firenze, ove il 16 aprile gli fu allogato un gigante, probabilmente di terracotta, per uno degli speroni posteriori di S. Maria del Fiore, il quale il 23 novembre era già finito e stimato, ma che col tempo andò distrutto. Nove mesi dopo gliene venne ordinato un secondo di marmo, per il quale fece sbozzare un blocco da Bartolommeo di Piero da Settignano detto Baccellino, che lo guastò per modo da doverlo abbandonare; quaranta anni più tardi Michelangiolo ne seppe ricavare il celebre David. L'8 maggio del 1473 egli era nuovamente a Perugia a costruirvi per incarico dell'Opera del duomo una cappella della Pietà, distrutta nel 1625, cui apparteneva quel grande rilievo su fondo azzurro che si ammira nell'interno della cattedrale. Dal 17 dello stesso mese fu pure occupato nella decorazione marmorea della Porta S. Pietro o delle due Porte, ispirata al Tempio Malatestiano, nel 1481 ancora incompiuta. Nella cattedrale A. dovette lavorare anche a una cappella di S. Bernardino, già modificata nel 1486, e lì presso all'oratorio della Maestà delle Volte, rifatto nel 1566. Notevoli, ma non bene identificabili avanzi di tali opere si conservano nella Pinacoteca di Perugia, insieme con una Madonna proveniente dalla facciata di S. Francesco; mentre altri frammenti si trovano nella canonica del duomo. Nel 1477 Agostino non senza aiuti eseguiva due sepolcri per la famiglia Geraldini in Amelia. Dopo il 1481 non si hanno più notizie del nostro scultore, che si suppone morisse in quel tempo, lasciando ancor giovane la moglie Francesca e un figlioletto, Antonio, di pochi mesi. Altre opere di A. quasi tutte del periodo fiorentino e quindi tra le più accurate: a Firenze nell'Opera del duomo, una Madonna proveniente dalla Cappella dei pittori alla SS. Annunziata; in Ognissanti, nel refettorio, due Angioli; nel Museo nazionale, una Madonna di stucco colorato, già nella Villa Reale di Castello, eseguita circa il 1468 per i Salutati, che in quell'anno erano divenuti proprietarî della Petraia donde proviene. A Pontremoli in S. Francesco, una Madonna; al Louvre, una magnifica Madonna lumeggiata d'oro, donata dal barone A. Rotschild, e un'altra detta d'Aurilliers, che è una variante di marmo di quella Salutati; a Londra, al Victoria and Albert Museum, un rilievo sepolcrale di Santa Giustina proveniente da Padova; a New York, nel Metropolitan Museum, una strana rappresentazione del Congedo di Cristo dalla Madre, già nella raccolta Aynard a Lione, e nella collezione Morgan un'altra Madonna.

lunedì 16 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 107 Francesco Laurana 1410 ca.

Francesco Laurana 1410 ca.

Laurana (anche Azzara o da Zara), Francesco. - Scultore, architetto, medaglista (n. Laurana - m. Avignone 1502 circa). Profondamente influenzato dall'arte di Piero della Francesca e Agostino di Duccio, si distinse soprattutto per gli eleganti busti femminili eseguiti alla corte aragonese di Napoli, caratterizzati da una sottile vibrazione luminosa, accordata all'astrazione formale. L. fu anche in Francia (1461-66), dove fra i primi diffuse il gusto rinascimentale italiano.La sua formazione non è stata ancora accertata, ma fu determinante a Rimini, dove probabilmente soggiornò, la conoscenza dell'arte di Piero della Francesca e la collaborazione con Agostino di Duccio nel Tempio Malatestiano. Il suo nome compare la prima volta nel 1458, allorché lavorava a Napoli all'arco trionfale di Alfonso d'Aragona. Fu in Francia (1461-66), dove alla corte di Renato d'Angiò eseguì alcune medaglie, che ricordano l'arte di Pisanello. Successivamente lavorò in Sicilia (1466), dove le sue opere più importanti sono: la facciata della cappella Mastrantonio in San Francesco (1468-69), compiuta insieme con Pietro di Bonitate, e la Madonna eseguita per Monte San Giuliano e conservata nel duomo, entrambe a Palermo; la Madonna (1471) della chiesa del Crocifisso di Noto. Di nuovo a Napoli alla corte aragonese (1473-74), iniziò in questo periodo la serie dei celebri busti femminili: quello ritenuto di Eleonora d'Aragona (Palermo, Galleria regionale della Sicilia), quello di Battista Sforza (Firenze, Museo nazionale del Bargello), ecc. Nuovamente in Francia, eseguì a Marsiglia con T. Malvito alcune sculture di santi (1477-81, duomo, cappella di S. Lazzaro) e ad Avignone, per Renato d'Angiò, un dossale d'altare con l'Andata al Calvario (1479-81, S. Didier), nel quale manifesta l'influenza della scultura lignea francese.

domenica 15 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 106 Doménico Veneziano 1410 ca

Doménico Veneziano 1410 ca

Doménico Veneziano. - Pittore (m. Firenze 1461), operoso a Firenze. Figura fondamentale del Rinascimento fiorentino, possiamo seguire il suo percorso artistico a partire dall'Adorazione dei Magi (1430-1435 circa, Musei di Berlino), dove si palesano reminiscenze del Pisanello, ma soverchiate dai caratteri schiettamente fiorentini della prospettiva e del paesaggio. La sua opera capitale, la Madonna in trono (1445-48 circa; la parte principale è agli Uffizi, gli scomparti della predella sono divisi fra diverse raccolte) si distingue per un senso particolare della luce e per la luminosità dei colori, cui si accompagna una sodezza plastica della forma che richiama Masaccio. Altre opere: un affresco, frammentario, nella Galleria naz. di Londra, le figure di S. Giovanni Battista e S. Francesco in S. Croce di Firenze, la Madonna nella coll. Berenson a Settignano. D. fu maestro di Piero della Francesca che ebbe come collaboratore negli affreschi eseguiti (1439-45) allo Spedale di S. Maria Nuova (S. Egidio) a Firenze, oggi scomparsi.

sabato 14 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 105 Fra Filippo Lippi 1406

Fra Filippo Lippi 1406

Lippi, Filippo, detto fra Filippo. - Pittore (Firenze 1406 circa - Spoleto 1469). Personalità inquieta, divisa tra passioni e condizione di religioso, compì un percorso artistico improntato a una continua e felice sperimentazione delle grandi novità elaborate in quel periodo a Firenze: dalla lezione masaccesca alla sapiente spazialità prospettica, ai valori di luce e di colore dell'Angelico. Tra le sue opere più significative si ricordano l'Incoronazione della Vergine (1441-47 circa). Di famiglia povera entrò molto presto nel convento del Carmine a Firenze, dove pronunciò i voti nel 1421; nella chiesa del convento fiorentino poté con continuità osservare all'opera Masaccio e Masolino da Panicale, intenti, tra il 1424 e il 1428 circa, alla decorazione della cappella Brancacci. Nel 1428 L. si trasferì temporaneamente nel monastero carmelitano di Siena, dove rimase per circa un anno con la carica di sottopriore, avendo così l'opportunità di conoscere in profondità le testimonianze dell'arte locale sia pittorica, sia scultorea. Al principio del 1456 il L. fu nominato cappellano del convento di S. Margherita a Prato, dove conobbe Lucrezia Buti, di cui si innamorò e che convinse a fuggire con lui. Dalla loro unione illegittima nel 1457 nacque segretamente a Prato il figlio Filippino. Accusati entrambi da una denuncia anonima, nella quale veniva svelata anche la nascita del figlio, furono infine sciolti dai voti e uniti legittimamente in matrimonio. Al periodo giovanile, dominato dall'influsso di Masaccio, appartengono la Madonna dell'Umiltà (Milano, museo del Castello Sforzesco); i resti di un grande affresco nel chiostro del Carmine a Firenze; la Madonna (1437; Galleria nazionale d'arte antica di Roma, già a Tarquinia), in cui L. afferma un temperamento suo, nel definire i contorni, e nei guizzi di luce che attenuano la stabilità del rilievo; l'Annunciazione, in S. Lorenzo a Firenze. La pala Barbadori per S. Spirito del 1437 (ora al Louvre), mostra in crescente sviluppo i caratteri particolari del maestro: giochi di chiaro e d'ombra danno alla modellazione movimento piuttosto che consistenza, il colore è toccato di una luce dolce, perlacea, e nella predella (Uffizi), certo dipinta per ultima, sulla forma e sul colore il disegno è accentuato con tanta evidenza di linee da diventare il mezzo più vivace per esprimere il moto, che in qualche figura ha ritmo impetuoso. Nella pala di S. Croce (Uffizi), nella festosa Incoronazione della Vergine (Uffizi), L. va subordinando sempre più le impressioni plastiche a quelle di movimento. Gli affreschi del coro del duomo di Prato, Evangelisti, Storie del Battista e di s. Stefano (1464 e oltre), mostrano le stesse qualità che invece appaiono assai meno pure nell'ultima grande opera, in gran parte compiuta dai suoi collaboratori, fra Diamante e Pier Matteo d'Amelia: gli affreschi dell'abside del duomo di Spoleto (1467-69). Di discussa cronologia sono la delicatissima Madonna con angeli (Uffizi) e le varie versioni dell'Adorazione del Bambino (Uffizi; Berlino, Gemäldegalerie); inoltre non poche sono le opere uscite dalla bottega di L., forse ideate da lui, ma in parte o in tutto eseguite dai suoi allievi.

venerdì 13 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 104 Piero della Francesca 1406

Piero della Francesca 1406



Pièro della Francesca (o Piero dei Franceschi). - Pittore (Borgo S. Sepolcro 1406 o 1412 - ivi 1492); figlio di Benedetto dei Franceschi (cognome noto anche nella forma della Francesca, che poi si è imposta nella tradizione) e di Romana di Pierino da Monterchi, è uno dei più grandi pittori del Rinascimento dopo la generazione di Masaccio e dell'Angelico. Dopo una prima educazione con maestri di grammatica e di abaco, svolse il suo apprendistato artistico forse presso un pittore locale, Antonio di Anghiari, col quale risulta ancora collaborare nel 1436. Nel 1439 lavorò agli affreschi, perduti, di S. Egidio, a fianco di Domenico Veneziano. La sua prima opera pervenutaci è il Polittico della Misericordia (San Sepolcro, Museo Civico), commissionato nel 1445 dalla confraternita di Borgo ma nel 1554 ancora incompiuto: i santi Giovanni Battista e Sebastiano e la Crocifissione rivelano, pur nell'impianto con il fondo d'oro, decisi riferimenti a Masaccio, la cui arte segnò profondamente la sua formazione, innestandosi sulla lezione di Domenico Veneziano nell'uso del colore e della luce, elementi determinanti nella costruzione dello spazio. La Madonna della Misericordia, tavola centrale del polittico, e i santi Giovanni Evangelista e Bernardino, eseguiti dopo il 1454, mostrano una maturità che denuncia l'arricchimento delle esperienze di P. al di là degli Appennini. Tra il 1446 e il 1454 P. trascorse infatti gran parte della sua vita a Pesaro, a Ferrara, a Rimini, ad Ancona. È soprattutto a Ferrara, forse ancor prima della morte di Lionello d'Este nel 1450, che dovette ricevere gli stimoli più significativi, in un ambiente raffinato e dotto, dove al collezionismo di gemme e medaglie si affiancava l'apprezzamento della pittura fiamminga, dove la familiarità con i Lendinara gli permise di approfondire l'interesse per la prospettiva, già stimolato a Firenze. Se del soggiorno ferrarese una traccia è data dalle copie degli affreschi con Battaglie eseguiti nel palazzo estense, tradotte in modi manieristici verso il 1540 (Londra, National Gallery; Baltimora, Walters art gallery), a Rimini rimane, firmato, l'affresco nel Tempio Malatestiano, con Sigismondo Pandolfo Malatesta inginocchiato davanti a s. Sigismondo (1451): seppur degradata per la perdita dei molti interventi eseguiti a secco sull'affresco, tecnica ricorrente in P., quest'opera s'impone per la nuova solenne e misurata/">misurata costruzione spaziale (certamente la presenza di L. B. Alberti a Rimini può essere stata occasione di proficue discussioni), che si unisce alla costante attenzione per il colore e per la luce. Le tavole con S. Girolamo penitente (Berlino, Gemäldegalerie) e S. Girolamo con un devoto (Venezia, Gall. dell'Accademia, commissionata forse dal veneziano G. Amadi), databili tra il 1450 e il 1452, riflettono la personale elaborazione delle novità fiamminghe nella resa del paesaggio, che, inondato di luce, costituisce con il suo realismo poetico l'ambientazione del Battesimo di Cristo (Londra, National Gallery), realizzato dopo il 1450 per una chiesa di Borgo. Se già in quest'opera alcuni elementi della composizione (come i tre angeli) sono stati occasione di indagini interpretative, la tavola firmata con la Flagellazione (Urbino, Gall. nazionale delle Marche) rimane l'opera di P. più enigmatica e discussa, con ipotesi che comportano differenti datazioni (1447-49 o dopo il 1457) e differenti committenti (Francesco Sforza, signore di Pesaro; Jacopo degli Anastagi, concittadino di P. e consigliere di S. P. Malatesta a Rimini; Federico da Montefeltro): i tre personaggi in primo piano sono stati variamente interpretati come contemporanei all'episodio evangelico, narrato in secondo piano, o connessi ad avvenimenti dell'epoca di P.; l'intento del dipinto è stato considerato nell'ambito della devozione domestica o della commemorazione di avvenimenti personali o politici, o addirittura un puro pretesto di una esercitazione prospettica. Tra il 1454 e il 1457 P. realizzò il ciclo di affreschi sulla Leggenda della vera Croce, nel coro di S. Francesco ad Arezzo, già commissionato a Bicci di Lorenzo: seguendo, più che una logica cronologica, un nesso di corrispondenze tipologiche che rimandano da una parete all'altra, la storia, che non ha come unica fonte la Legenda aurea e sembra riferirsi ai drammatici avvenimenti contemporanei (la caduta di Costantinopoli), si svolge in un ordine compositivo di ampio respiro, regolato da sapienti rapporti tra figure e sfondi architettonici o paesistici, mentre l'uso della tecnica a secco, con una tempera grassa, permette effetti straordinarî di colore e di luce. Nella Morte di Adamo (dal cui corpo secondo la leggenda sorse l'albero della Croce) emana un senso di umanità primordiale, eroicizzata nel vigore dei corpi ignudi; nella Visita della regina di Saba al re Salomone, una scena di vita profana, per effetto della luce, dell'equilibrio fra spazî e volumi, del colore, diviene idealizzata e solenne; nell'Annunciazione la colonna tra l'arcangelo e la Vergine mette in evidenza la solidità architettonica della figura di Maria; nel Sogno di Costantino, la scena notturna si rivela con una luce improvvisa e tagliente; nella Vittoria di Costantino la luminosità diurna decanta una spettacolare parata guerresca. Nel tempo dell'esecuzione di questo complesso poderoso e nel decennio successivo cadono opere altrettanto incisive, eseguite sempre ad affresco: la Resurrezione per il Palazzo comunale di Borgo (ora Museo Civico), la Madonna del parto per una chiesa di Monterchi (poi cappella del cimitero), la Maddalena nel duomo di Arezzo, l'Ercole eseguito per la sua nuova casa di Borgo (ora a Boston, Isabella Stewart Gardner museum). E ancora il Polittico di S. Agostino per gli agostiniani di Borgo (smembrato: Lisbona, Museu nacional de arte antiga; Londra, National Gallery; New York, Frick Collection; Milano, Museo Poldi Pezzoli) e il Polittico di S. Antonio, coronato dalla bella Annunciazione, a Perugia (ora nella Gall. naz. dell'Umbria). Nel 1459 P. fu invitato a Roma a decorare alcune stanze in Vaticano: distrutti questi affreschi, rimangono del suo soggiorno romano due degli Evangelisti eseguiti per G. d'Estouville in S. Maria Maggiore. Dopo il 1460 P. è strettamente legato alla corte di Urbino: per i Montefeltro dipinse il dittico con i ritratti di profilo di Federico e Battista Sforza con uno sfondo di paesaggio e sul retro i loro "trionfi" (1465, Uffizi); un senso più intimo di accostarsi al soggetto si rivela nella Madonna di Senigallia (Urbino, Gall. naz. delle Marche), dove i grigi luminosi si accendono di luci perlacee, mentre nella Madonna, santi e angeli e Federico di Montefeltro in adorazione (Milano, Pinac. di Brera), destinata a S. Bernardino, la chiesa mausoleo di Federico, la concezione architettonica di P. si svolge pienamente nella grande nicchia che accoglie il gruppo divino in una perfetta sublimazione di forma-spazio-luce-colore. A Federico di Montefeltro P. dedicò il De prospectiva pingendi (pervenutoci in sette esemplari manoscritti): stimolato forse anche per la presenza a Urbino di Paolo di Middelburg, P. vi espone, corredandoli innovativamente con illustrazioni puntuali, i precetti sperimentati nella sua lunga vita. Ricco e stimato, il vecchio artista si ritirò nella sua città nativa: agli ultimi anni appartengono la Natività, ora alla National Gallery di Londra, e ancora due scritti, il Libro d'Abaco, un manuale di matematica pratica per mercanti (Firenze, Bibl. Laurenziana) e, dedicato a Guidobaldo della Rovere, il Libellus de quinque corporibus regularibus (Bibl. Vaticana, Urbinate lat. 632), anche questo illustrato, che, come il De prospectiva, fu ampiamente apprezzato da artisti e matematici.

giovedì 12 giugno 2025

Corso di storia dell'arte: 103 Masaccio 1401

Masaccio 1401


Masàccio - Soprannome del pittore Tommaso di Ser Giovanni Cassai (S. Giovanni Valdarno 1401 - Roma 1428). Fin dal Quattrocento fu accostato a Filippo Brunelleschi e a Donatello, anche se più giovane di essi d'una generazione, quale iniziatore della nuova arte nel campo specifico della pittura (Alberti, Manetti, ecc.). Le ricerche di Brunelleschi e di Donatello furono di capitale importanza per la sua formazione, che presenta anche come componente essenziale la rivalutazione critica della poetica giottesca sfrondata di tutte le involuzioni cui era giunta nella seconda metà del Trecento, come attesta già il trittico di S. Giovenale (Reggello, S. Pietro a Cascia) datato 1422 (lo stesso anno dell'iscrizione di M. all'arte dei medici e speziali) e considerato dalla critica la sua prima opera. Il grande affresco in terra verde dipinto da M. nel chiostro della chiesa del Carmine a Firenze, rappresentante la Sagra del Carmine (consacrazione della chiesa, avvenuta nel 1422), distrutto nel 16º sec., è noto solo dalle fonti, che ne magnificano l'acutezza dei ritratti dei contemporanei che vi apparivano, e da alcuni disegni tardocinquecenteschi. La Madonna col Bambino e s. Anna o S. Anna Metterza (1424 circa, Firenze, Uffizi), dipinta con Masolino, testimonia l'inizio del sodalizio artistico tra i due pittori. Nel gruppo della Madonna col Bambino di mano di M., l'artista afferma, nella forte consistenza plastica e nel gioco della luce, la nuova concezione dello spazio, la stretta relazione o meglio identificazione della figura con lo spazio prospetticamente inteso. La collaborazione tra i due artisti proseguì nella decorazione della cappella Brancacci al Carmine, iniziata intorno al 1424; portata avanti dal solo M. dopo la partenza di Masolino per l'Ungheria (1425), interrotta nel 1428, fu completata solo nel 1481-82 da Filippino Lippi. Pilastri corinzî inquadrano episodî del ciclo di s. Pietro che, introdotto dalle scene del Peccato originale (di Masolino) e della Cacciata dal paradiso (dipinto da M.), esprime il concetto della salvezza attuata attraverso la Chiesa di cui Pietro è simbolo. M. eseguì il Tributo, il Battesimo dei neofiti, S. Pietro che guarisce con la sua ombra, la Distribuzione dei beni, la Resurrezione del figlio di Teofilo (interventi posteriori di Filippino) e S. Pietro in cattedra. Gli affreschi, dopo il restauro (1988), rivelano pienamente la portata rivoluzionaria della pittura di M.: le azioni potentemente definite nello spazio in salde forme, lo statuario rilievo delle figure, i sobrî colori trasformati da una luce di ascendenza naturale che dà rilievo alla forma, non meno della composizione ponderata e lo studio del panneggio sicuramente condotto su modelli tridimensionali, sono mezzi espressivi della dignità e gravità morale proprî dell'arte e della mente dell'artista. Per la chiesa del Carmine di Pisa M. eseguì nel 1426 un polittico, smembrato nel 18º sec. e di cui si sono ritrovate undici parti, conservate in varî musei: lo sfondo dorato è in contrasto drammatico con la realizzazione rigorosamente prospettica del trono su cui siede la Madonna col Bambino costruiti in maniera salda e massiva (Londra, National Gallery) o con lo spazio costruito unicamente dalle persone protagoniste della Crocifissione (Napoli, Museo di Capodimonte). Le altre parti del polittico sono conservate a Pisa, Museo Nazionale (S. Paolo), a Malibu, P. Getty Museum (S. Andrea), e a Berlino, Gemäldegalerie (quattro figure di santi e tre parti di predella comprendenti cinque scene: Adorazione dei Magi, Crocifissione di s. Pietro e Decapitazione di s. Giovanni Battista, Storia di s. Giuliano e Miracolo di s. Nicola). Nell'affresco della Ss. Trinità (Firenze, S. Maria Novella), datato generalmente 1427, M. offre in maniera tangibile soluzioni d'impianto architettonico vicine a Brunelleschi e a Donatello (cappella Barbadori in S. Felicita, Tabernacolo della Mercanzia) e la larga modellazione e il colore denotano la fase ultima di M., alla quale è da attribuire anche un desco da parto (Berlino, Gemäldegalerie). Più antica del polittico pisano è una Madonna dell'umiltà (New York, Metropolitan museum of art). Sull'ultima attività romana di M. accanto a Masolino nella cappella di S. Caterina a S. Clemente la critica è discorde, come del resto su un suo intervento nel trittico di S. Maria Maggiore (Ss. Girolamo e Giovanni Battista, Londra, National Gallery) in un precedente soggiorno romano (1425). n Il fratello di M., Giovanni, detto lo Scheggia (San Giovanni Valdarno 1406 - Firenze 1486), autore del Martirio di s. Sebastiano (San Giovanni Valdarno, oratorio di S. Lorenzo), è stato identificato con il Maestro del Cassone Adimari (Firenze, Accademia).

Corso di storia dell'arte: Azcona 1988

Azcona 1988 Abel Azcona (Madrid, 1º aprile 1988) è un artista spagnolo specializzato in azioni artistiche. L'artista Abel Azcona durante...