Perugino 1450
lunedì 30 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 122 Perugino 1450
domenica 29 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 121 Ghirlandaio 1449
sabato 28 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 120 Botticelli 1445
Botticelli 1445



BOTTICELLI, Sandro (Sandro di Mariano Filipepi, detto Botticelli). - Nacque nel 1445 a Firenze. La prima notizia della sua attività risale al 1470, in cui fece, per il tribunale della Mercanzia, la Fortezza, una delle Virtù che erano state allogate a Pietro del Pollaiolo. Discepolo di fra' Filippo Lippi, ne tenne l'anno 1472 nel proprio studio il figliuolo Filippino. Dipinse nel 1473, in Santa Maria Maggiore di Firenze, il San Sebastiano, ora nella galleria statale di Berlino; nel 1475, in Duomo a Pisa, l'Assunta, per saggio di pittura all'Opera della cattedrale, che intendeva di farlo lavorare in Camposanto, essendole piaciuto il saggio stesso; nel 1478, sulla facciata del Bargello, l'effigie dei congiurati contro i Medici: i Pazzi, i Salviati, Bernardo Bandini impiccati per la gola, Napoleone Franzesi impiccato per un piede. In concorrenza con Domenico Ghirlandaio, che frescò in Ognissanti un San Girolamo (1480), colorì un Sant'Agostino, dal quale risultò a un contemporaneo la differenza fra i due maestri: il B. aveva aria virile... "optima ragione et integra proportione"; il Ghirlandaio era "homo expeditivo e che conduce assai lavoro". Chi faceva arte, e chi figure; dell'uno si ammirava la ragione, il valore intellettuale, dell'altro il valore manuale. Anche il Vasari, discorrendo della pittura del Ghirlandaio, disse che questi "intorno vi fece una infinità di strumenti e di libri da persone studiose", e trattando poi dell'altra del B. scorse nella testa di Sant'Agostino la dimostrazione di quella profonda "cogitatione et acutissima sottigliezza, che suole essere nelle persone sensate ed astratte continuamente nella investigazione di cose altissime e molto difficili". In fondo, anche nel Vasari, la distinzione era chiara tra il molto lavoro, l'addensarsi dei minuti particolari in Ghirlandaio e l'intellettualismo botticelliano. Così intorno al 1480 Sandro Botticelli era stimato tra i primi pittori di Firenze. Caro ai Medici, egli assimilò le tendenze umanistiche dei suoi mecenati, fece echeggiare le ottave del Poliziano nei suoi dipinti, interpretò i testi classici che taluno degli umanisti gli tradusse e spiegò. A tredici anni non si dava ancora alla pittura: imparava a leggere, e appariva malaticcio, com'è detto da una portata al catasto di suo padre conciatore di cuoi. Non sembra che a lungo attendesse a coltivarsi, ma quantunque poco sapesse di lettere, portò amore alla Divina Commedia, ed ebbe, come il Signorelli, come Michelangelo, Dante a fondamento delle proprie invenzioni. Lo interpretò con le figure che un intagliatore, Baccio Baldini, mise, sui suoi disegni, a illustrazione della Divina Commedia commentata da Cristoforo Landino e pubblicata, l'anno 1481, per i tipi di Niccolò di Lorenzo della Magna in Firenze. Non solo contribuì alla preziosa prima edizione fiorentina del poema, ma per Lorenzo di Pier Francesco de' Medici "dipinse e storiò un Dante in cartapecora che è tenuto cosa meravigliosa". Tanto afferma l'Anonimo Gaddiano riferendosi al codice, che è in gran parte nel Gabinetto di stampe e disegni a Berlino, e in piccola nella Biblioteca Vaticana. E in tutta l'opera è l'impronta della poetica fantasia di Sandro B., la cui mano rapida fissò sulla tavola la visione che egli, cantore della Firenze medicea e delle allegorie di Angelo Poliziano, si era formata di Dante: l'acuta impressionabilità, la onnipotente facoltà espressiva della linea è la forza maggiore dei commenti botticelliani alla Divina Commedia. I Medici, per i quali il B. illustrò la Divina Comedia "in carta pecora", sentirono com'egli desse figura alle loro idealità artistiche, soddisfacesse al loro "appetito di bellezza"; e a lui ricorsero per ritratti, per quadri sacri e profani, per cartoni d'arazzo, destinati a ornamento delle aule superbe dei loro palazzi. Sin dal 1475, per la celebre giostra del 25 gennaio, apprestò lo stendardo, che un cavaliere portava davanti a Giuliano de' Medici, con un sole fissato da Pallade coperta d'aurea veste, munita di lancia e dello scudo di Medusa; con un tronco d'ulivo al quale era legato Cupido. E così il B. diviene il pittore più rappresentativo della vita artistica fiorentina nei giorni della magnificenza medicea, il più fiorito, il più ricco di immagini ondeggianti come nelle ottave del Poliziano. E quando Lorenzo il Magnifico muore, e Lorenzo di Pier Francesco abbandona Firenze, e l'odio si scatena contro gli antichi signori, il B. sembra preso da terrori apocalittici, come se il mondo precipitasse alla fine. Nel 1481, il 27 ottobre, insieme con Cosimo Rosselli, Domenico Ghirlandaio e Pietro Perugino, ricevette l'allogazione di alcuni campi ad affresco nella cappella Sistina in Vaticano, e si obbligò a finirli il 15 marzo dell'anno seguente. Vi compì tre grandi affreschi: il Sacrificio del lebbroso; Episodî della vita di Mosè; la Punizione di Corah, Datan e Abiron; e diede disegni o cartoni per molti ritratti di pontefici, stabilendo, in tutta la serie delle immagini papali, il criterio architettonico degli sfondi a nicchia. Non è noto se compisse il suo lavoro nel breve termine richiesto, ma a sei mesi all'incirca dalla scadenza determinata, il B., Domenico Ghirlandaio e il Perugino s'accordarono a Firenze, con l'Opera del Palazzo della Signoria, per la decorazione delle sale; e nel 1483 dipinse allo Spedaletto, presso Volterra, affreschi per Lorenzo de' Medici il Vecchio, avendo a compagni i maestri che "hanno facto prova di loro ne la capella di papa Syxto", il Perugino e Domenico Ghirlandaio, e inoltre Filippino Lippi. Nel 1485 fece la tavola in Santo Spirito per la cappella de' Bardi; e l'anno dopo affrescò la villa a Chiasso Macerelli, apprestandola per le nozze di Lorenzo Tornabuoni con Giovanna Albizzi avvenute il 15 giugno di quell'anno. Per la Sala dell'Udienza, in Palazzo Vecchio, del magistrato de' Massai della Camera, compose nel 1487 un tondo, probabilmente la Madonna della Melagrana, ora agli Uffizî; l'anno seguente, per la cappella di Porta Santa Maria, colori la Incoronazione, pure in quella galleria, e per l'altra cappella fondata da Ser Giovanni Guardi, la tavola dell'Annunziata, ora nel monastero di Santa Maria Maddalena de' Pazzi. Il B. fu chiamato a partecipare coi maggiori artisti di Firenze all'esame di undici disegni o modelli della facciata di Santa Maria del Fiore, essendosi ripresa l'idea del suo compimento nel 1491, e per l'opera della Cattedrale disegnò "opera de musaico" da farsi nella cappella di San Zenobi (1491-92). Di altri lavori del maestro si hanno notizie, anche a Castello, villa di Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, con cui ebbe continui rapporti tanto che Michelangelo il 2 luglio 1496, scrivendo a questo signore una lettera, la indirizzò al B. perché, in quei giorni di opposizione contro i Medici, la facesse sicuramente recapitare al destinatario. Contrariamente a quanto asserisce il Vasari, Sandro non era caduto in bisogno al declinar della vita, ché anzi aveva acquistato a enfiteusi perpetua un podere con villino e campi coltivati a vigne, a ulivi, a frutta; e anche da vecchio, era in grande stima e sempre operoso. L'oratore dei Gonzaga a Firenze lo presentava così in una lettera del 1502 a Isabella d'Este Gonzaga: "uno altro Alexandro Botechiella molto m'è stato laudato et per optimo depintore, et per homo che serve volontera, et non ha del velupo come li soprascripti (Perugino e Filippino), al quale io ho facto parlare, et questo tal dice chel toria lo asumpto et serviria di bona voglia la S. V.". Il pittore che era pronto a servire Isabella d'Este, ed era conosciuto per maestro che serviva volentieri, non poteva essere il disordinato, il neghittoso, l'ozioso vecchio inventato dal Vasari. E non fu piagnone, o partigiano del Savonarola, tanto è vero che Dosso Spini, capo e guida dei Compagnacci, usava molto nella sua bottega, come non avrebbe usato con un settario avverso. Neppure fu eretico, come il Vasari lo rappresentò, attribuendogli la pittura dell'Assunzione, eseguita, non da lui proprio, per Matteo Palmieri, autore del poema Città di Vita. Il Cinquecento aveva apportato a Firenze tanti rivolgimenti politici e morali da far ben presto scendere sul passato, sul glorioso Quattrocento, come un gran sipario d'ombre. Anche Alessandro Filipepi si perdette in quel turbine, con gli echi del mondo risonante di canzoni di festa, delle quintane corse dai Medici, dei versi del Poliziano, degli amori di Simonetta, delle dipinte Veneri messe a fuoco sulla pubblica piazza per obbedienza al Savonarola. Fu una crisi-violenta degli spiriti, della politica, della religione, dell'arte, che Firenze ebbe a sofrire al principio del nuovo secolo. E in giorni di crisi, sia nell'individuo, sia nella società, si smarrisce la memoria, e molte cose si perdono come in un naufragio. Così il B., "uno dei buoni pittori che abbia avuto a questi tempi la nostra città", come scriveva il fratello Simone, morì il 17 maggio 1510, dimenticato. Le notizie della vita qui accennate in ordine cronologico dànno punti di partenza per la ricostruzione della ricchissima opera pittorica del Botticelli. La più antica di esse, l'Adorazione dei Magi nella collezione Cook a Richmond, dimostra la verità della tradizione che vuole Filippo Lippi maestro di Sandro, ma reca anche tracce evidenti del pittore che aveva portato in Firenze la linea energetica alla sua massima violenza: Antonio Pollaiolo. A questo pittore maggiormente s'approssimano la Fortezza della Galleria degli Uffizî, per la forma nervosamente articolata alla maniera pollaiolesca; il Ritorno di Giuditta dal campo nemico, il Ritrovamento del cadavere di Oloferne, pure agli Uffizî, e il San Sebastiano della Galleria statale di Berlino, per il crudo angoloso taglio delle forme, che pur serbano, nella loro affilatezza, indolente grazia, botticelliano languore. Anche nella Adorazione dei Magi della Nationai Gallery a Londra, si vedono gruppi nel primo piano coi poderosi pollaioleschi cavalli e le fluenti scorrevoli pieghe dei panneggi, e da per tutto il Botticelli primitivo si dimostra impressionato da Antonio Pollaiolo più ancora che da Filippo Lippi. La Madonna Chigi, ora Gardner a Boston, rivela qualche affinità con la maniera del Verrocchio, ma attenuata dalla risolutezza pollaiolesca della forma e dagl'incisivi contorni, quasi fili all'agemina; ma i più delicati colori temperano la severità della composizione. Capolavoro del periodo pollaiolesco è il ritratto di uomo con medaglia di Cosimo dei Medici agli Uffizî, che supera per energia tutte le antecedenti opere del maestro. La personalità del B. è vivacemente espressa dall'agile linea nella Adorazione de' Magi agli Uffizî, calmo e fastoso scenario popolato da magnati fiorentini, dai Medici, da giovani eleganti, tutti raccolti per la cerimonia solenne, sull'incantevole sfondo ove si lanciano arcate alabastrine. Ormai lo stile botticelliano si è formato: la Primavera ne segna il trionfo: la leggerezza alata della poesia polizianesca, l'agilità della linea botticelliana si sono unite per darci l'immagine viva della Firenze elegante, raffinata del '400. Fino alla pittura di quel quadro, il rilievo pollaiolesco aveva tolto alquanto al fluire della linea nei contorni: ora il rilievo si assopisce; il distacco delle figure dal fondo appare tenue, insensibile; la linea, divenuta più sottile e incisa, permette un'esatta nervosa determinazione dei contorni in movimento. Circa il tempo in cui eseguì la Primavera, il B. attese con ogni probabilità al ritratto di Giuliano de' Medici, ora nella collezione Otto Kahn in America, definito con un segno incisivo nei contorni del profilo aguzzo, con una crudezza che accosta lo stile di Sandro a quello robusto e aspro di Andrea del Castagno: accostamento che più si avverte nel Sant'Agostino della chiesa d'Ognissanti, per il disegno schematico di sottigliezza tagliente e metallica, la nervosità esasperata della forma, la raffinata gamma dei colori. A Roma, negli affreschi della Sistina, il B. ingrandisce lo spazio, slarga il modellato, collega più rapidamente gli episodî, avviva l'azione, dà slancio alle forme, ora compone le linee in giro blando di curve con languore di canne palustri, con ritmo melodico d'incomparabile grazia, come nelle Figlie di Jetro; ora con ritmo di vorticose curve, con linee di tempesta, infonde elettrica istantaneità, irresistibile veemenza d'azione, violenza drammatica al Castigo del fuoco celeste, ove i due gruppi laterali dell'affresco sembrano formati dal contraccolpo dello scoppio di folgore che disperde le figure intorno all'ara. Agli affreschi della Sistina si collegano, per larghezza compositiva, slancio fervido di figure, sfavillio fosforico di luci, l'Adorazione dei Magi a Leningrado, nell'Ermitage; il San Tommaso d'Aquino, già nella collezione Holford, per la precisione e la vitalità del segno come per l'ampiezza del modellato; il ritratto di un giovane nella Galleria nazionale di Londra, per la mobilità dei lineamenti arcuati, l'intreccio libero delle ciocche a spira, l'agile grazia del portamento. La gentilezza languida delle Figlie di Ietro negli affreschi della Sistina veste il tipo opulento della Vergine nel tondo del Magnificat agli Uffizî, ove i contornì del gruppo di Maria e degli Angeli sono naturale derivazione dal cerchio, e il morbido volto di Pallade vincitrice dei Centauro, nell'allegoria del quadro alla galleria degli Uffizî. L'arte botticelliana è giunta alla piena fioritura con la gran pala di San Barnaba agli Uffizî, la cui predella segna uno sviluppo delle qualità raggiunte dal B. a Roma, e col ritratto di un giovanetto nella collezione Hamilton a New York, fiore della luminosa fantasia che, in tempo prossimo, fece sorgere dal nicchio Venere Anadiomene (Uffizî); nella gloria dei cieli, la Madonna di San Barnaba; tra due quinte di boschetti di mirto e d'alloro stendersi Venere e Marte con uno stuolo di satiretti (Nat. Gallery a Londra); entro il cerchio svolgersi la ghirlanda d'angeli e rose della Madonna con la melagrana (Uffizî); fiorire, nel viridario. Giovanna Tornabuoni e le Virtù dei più freschi colori di primavera, e, nel bosco. Lorenzo Tornabuoni presentarsi al consesso delle Arti Liberali (Museo del Louvre); gli Angeli intrecciare farandole intorno a Maria Incoronata (Uffizî), dando, con inarrivabile potenza, l'impressione della gamma dei suoni nella melodia. Un crescente tremolio dei contorni, e un più complesso ritmo di curve distinguono l'opera del B. circa il 1490, tanto nella Comunione di San Girolamo, già presso i marchesi Farinola, quanto nell'Annunciazione del monastero di S. Maria di Cestello, ora agli Uffizî, e nella Vergine del Latte all'Ambrosiana. Si approssima l'ultimo periodo dell'arte botticelliana: l'effetto di movimento si esaspera, il ritmo quasi raggiunge la nervosa rapidita delle più tarde opere, nella Calunnia (Uffizî); nella Derelitta di casa Pallavicini in Roma, dramma d'inarrivata potenza nell'arte; nella Annunciazione del museo Kestner di Hannover: nel piccolo Sant'Agostino in cella (Uffizî), sorprendente per la febbrile spezzatura della linea. Contemporanea a quest'ultimo ciclo di opere è l'illustrazione della Divina Commedia, ove la fine indagine del commentatore e la virtù del suo segno raggiungono spesso sorprendenti finezze d'interpretazione. L'elaborato schema delle illustrazioni dantesche, la ricerca sottile di forme atte a fissare le immagini trascendentali del Purgatorio e del Paradiso, lasciano tracce in tutta una serie di pitture: la Giuditta della collezione Kaufmann, la Storia di Vìrginia nella raccolta Morelli a Bergamo, la Storia di Lucrezia nel museo Gardner a Boston, il Presepe della National Gallery di Londra, canto di Natale composto sopra un veloce immaginoso schema di ghirlande. Il B. vi scrisse in lettere greche: "questa pittura, alla fine dell'anno 1500, durante i torbidi d'Italia, io, Alessandro, dipinsi nel mezzo anno dopo il primo anno degli anni tre e mezzo della liberazione dal demonio, secondo il compimento della visione di San Giovanni nell'XI capitolo dell'Apocalisse: il demonio sarà incatenato, e si vedrà, come in questa pittura, gettato in giù, avverandosi il detto dell'Evangelista nel capitolo XII". L'esaltazione fantastica della Natività di Londra si trova in un'altra allegoria religiosa, la Crocifissione Aynard, ora nel museo Fogg a Cambridge: il crocefisso s'innalza su Firenze dalle slanciate cupole, e verso la città imperversa l'uragano che s'aggira attorno la croce, mentre dal cielo, ove appare l'Eterno, cadono piccoli scudi crocesegnati in rosso, e appié della croce, in una sintetica obliqua, si tende nel grido Maddalena. Il movimento giunge al parossismo, la danza lineare diviene ridda di ghirigori turbinanti nelle tre tavolette con istorie di San Zanobi: due nella Galleria nazionale di Londra, una nella galleria metropolitana di New York, una nella galleria statale a Dresda. Pittore della linea in movimento, Sandro B. conchiude le ricerche dei maestri fiorentini, da Donatello al Pollaiolo, verso la risoluzione della forma in arabesco di correnti vive, continue o interrotte, blande o tempestose, idilliche od orgiastiche, sempre e sempre più ritmiche. Nessun artista rappresenta la Firenze di Lorenzo il Magnifico quanto Sandro B. Tradizione vuole che egli fosse "molto piacevole et faceto"; ma gaiezza non si sprigiona mai dalle sue pitture, neppure da quelle che cantavano la primavera, la festa fiorentina del maggio. Un sottile fascino di malinconia scaturisce dai suoi ritmi di linee, dai magnifici scenarî, dalle danze d'angeli e di rose, dalle immagini alate, interpreti di umanistici sogni. Una febbre di godimento e di vita, che cela un pensiero amaro, si riflette nelle forme agili, nervose, nei subiti languori del più sottile creatore d'immagini che la pittura fiorentina e italiana abbia avuto, del più raffinato poeta del Quattrocento toscano. Il mondo incantato dell'arte di Sandro, con lo splendore dei suoi apparati di velluto, d'oro e di fiori, col singolare nostalgico fascino dei suoi tipi umani e dei suoi ritmi di linee, chiude in sé i sogni di Firenze sul tramonto del Quattrocento, nella vigilia splendida di giorni di passione, del secolo di Michelangelo.
venerdì 27 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 119 Luca Signorèlli 1445
Luca Signorèlli 1445
Luca Signorèlli, . - Pittore (Cortona tra il 1445 e il 1450 - ivi 1523). Secondo G. Vasari fu allievo di Piero della Francesca, come confermano gli scarsi frammenti dell'affresco giovanile per la torre del Vescovo a Città di Castello (Madonna con Bambino e i ss. Girolamo e Paolo, 1474), conservato nella Pinacoteca Comunale. In seguito S. si accostò all'ambiente urbinate; a questa fase appartengono le due tavolette con la Flagellazione e con la Madonna con Bambino (Milano, Brera), originariamente recto e verso di un'unica tavola processionale dipinta per la chiesa di S. Maria del Mercato a Fabriano, e gli affreschi della sacrestia della Cura nella basilica di Loreto (1479-80 circa). Fondamentali per l'artista furono tuttavia gli stimoli della cultura artistica fiorentina, con cui venne precocemente in contatto. Già nelle opere del primo periodo si avverte infatti una ricerca di accordo tra plasticismo delle forme e dinamismo lineare, che pone S. in una posizione peculiare riflettendo, accanto alla originaria formazione pierfrancescana, le contemporanee ricerche di A. Pollaiolo o di A. Verrocchio, con un'accentuazione nella resa dei caratteri anatomici della figura. Nel 1482 fu a Roma, attivo nella Cappella Sistina come collaboratore di P. Perugino, eseguendo insieme a B. Della Gatta il riquadro con Mosè consegna la verga a Giosuè e la Morte di Mosè. Negli anni successivi lo stile di S. si precisa nelle sue originali caratteristiche, dal serrato schema compositivo all'uso del colore e della luce in funzione della definizione dei volumi nello spazio, come appare, per es., nella pala per il duomo di Perugia (1484, museo del duomo), una delle sue opere più significative, nella Circoncisione (1491 circa, Londra, National Gallery), o in due dipinti eseguiti per la committenza medicea, il tondo con la Madonna con Bambino e nudi nello sfondo (1490-95, Firenze, Uffizi) e l'Educazione di Pan (già a Berlino, distrutta nella seconda guerra mondiale), soggetto mitologico che dava a S. l'occasione di offrire la sua interpretazione del mondo classico. La vena creativa di S. trovò una felice espressione nella tecnica dell'affresco: un carattere prevalentemente narrativo hanno le Storie di s. Benedetto del chiostro grande dell'abbazia di Monteoliveto Maggiore (1497-98), mentre nell'ultima fase l'arte di S. subisce una forte accentuazione drammatica ed espressionistica, evidente nel celebre ciclo di affreschi con il Giudizio universale della cappella di s. Brizio nel duomo di Orvieto (1499-1503), dove sono dipinte, tra l'altro, Storie dell'Anticristo, Resurrezione della carne, Inferno, Paradiso e varie figurazioni tratte dalla Divina Commedia di D. Alighieri. A causa del sempre maggiore intervento della bottega, la produzione artistica dell'ultimo ventennio presenta una certa discontinuità qualitativa, alternando opere deboli e ripetitive (Madonna con Bambino e santi, Roma, Museo nazionale di Castel s. Angelo) ad altre di genuina ispirazione, che risentono delle più recenti novità, come la Comunione degli apostoli (1512, Cortona, Museo Diocesano), che mostra spunti raffaelleschi. Numerosi disegni di figura di S., di grande qualità, sono conservati al Louvre e agli Uffizi di Firenze.
Corso di storia dell'arte: 118 Bramante 1444

giovedì 26 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 117 Melozzo da Forlì 1438
Melozzo da Forlì 1438
mercoledì 25 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 116 Crivelli 1435
Crivèlli, Carlo. - Pittore (Venezia 1435 circa - ivi dopo il 1493). Formatosi a Venezia a contatto con le botteghe dei Vivarini e di J. Bellini, si avvicinò poi all'ambiente tardo-gotico dello Squarcione. Fu a Zara (1459-60 circa) e in seguito nelle Marche. Numerose le opere firmate e datate che ci consentono di seguire il suo svolgimento stilistico, dal polittico di S. Silvestro di Massa Fermana (1468) alle opere tarde. Nonostante un senso decorativo di evidente derivazione tardogotica, le sue opere rivelano un carattere moderno, una razionalità di forme inserite nello spazio, che egli dovette derivare in parte dall'arte ferrarese. Il carattere prezioso e intellettualistico della sua arte diviene drammatico nel S. Giorgio (Boston, J. Gardner Mus.), si avvicina all'arte di Pisanello e nelle ultime opere tende a raggelarsi nella ricerca di una metafisica perfezione. Tra le opere principali: la Madonna del Museo di Castelvecchio di Verona (1450 circa); il polittico del duomo di Ascoli (1473); la Pala Odoni alla National Gallery di Londra (1476); la Madonna nella Pinacoteca di Ancona; il polittico alla Pinacoteca Vaticana (1481); la Pietà di Filadelfia (1485); l'Annunciazione della National Gallery di Londra (1486); la Madonna della Candeletta e l'Incoronazione della Vergine a Brera (1493).
martedì 24 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 115 Giusto di Gand 1435
Giusto di Gand 1435

lunedì 23 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 114 Verrocchio 1435
Verrocchio 1435

domenica 22 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 113 Mantegna 1431
Mantegna 1431



sabato 21 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 112 Antonello da Messina 1430 ca.
Antonello da Messina 1430 ca.

Antonèllo da Messina. - Pittore (Messina 1430 circa - ivi 1479). Influenzata all'inizio dalla pittura borgognona e fiamminga, di cui risentono le prime opere, l'arte di A. in seguito matura in una resa di forme grandiosamente semplici e dai colori luminosi e purissimi, una sintesi che lascerà una profonda impronta sulla pittura veneziana a venire e il cui esempio più grandioso è il S. Sebastiano (1476). VitaLe scarse notizie documentarie si riferiscono alla sua attività in Sicilia e in Calabria, dal 1457 all'anno della morte, e a un viaggio a Venezia e a Milano (1475-76). Tra il 1450 e il 1460 circa si trova a Napoli dove subisce l'influsso di Colantonio, poi in Sicilia e Calabria. Nel 1463 è documentata la sua attività a Messina; nel 1475 è attestata la sua presenza a Venezia; nel 1476 risulta nuovamente a Messina; il 14 febbraio 1479 fa testamento e prima del 25 febbraio muore a Messina. OpereDalle prime opere (Crocifissione di Sibiu; Abramo visitato dagli Angeli e S. Gerolamo di Reggio Calabria; S. Gerolamo della National Gallery di Londra) si può indurre che la formazione di A. sia avvenuta, fra il 1450 e il 1460, probabilmente a Napoli, su esemplari borgognoni e fiamminghi, in un ambiente di cultura complesso, ove l'arte di Colantonio rappresentava tipicamente il convergere di varie esperienze, cui potevano aver contribuito un probabile soggiorno napoletano di J. Fouquet, e i primi riflessi di Piero della Francesca. Nello sviluppo successivo di A., dal Cristo benedicente del 1465 (Londra), che è la sua prima opera datata, al trittico di s. Gregorio del museo di Messina (1473), alla Crocifissione di Anversa (1475), all'Annunciazione del museo di Siracusa (1475), alle forme che diventano grandiosamente semplici, e quasi astratte, in virtù di uno squadro prospettico derivato da Piero, si unisce un colore luminoso, purissimo in una sintesi che risulterà fondamentale per le sorti della pittura a Venezia, dove la pala dipinta da A. per S. Cassiano nel 1475 (ora frammentaria nel Kunsthistorisches Museum di Vienna) e la Pietà, ora nel Museo Correr, segneranno la svolta decisiva per l'evoluzione di Giovanni Bellini. Esempio massimo di questa unione: Il S. Sebastiano, del 1476 (museo di Dresda), in cui la figura umana è stilisticamente trasfigurata per via di un'estrema semplificazione, e pur conserva, in essa, una profonda individualità. Questa è espressa con la maggiore potenza in una serie di ritratti (nei musei di Cefalù, Milano, Parigi, Londra, Pavia, Berlino, ecc.), da scalarsi secondo i vari momenti dell'attività di A., nei quali la caratterizzazione quasi esasperata del soggetto trova un limite di stile in una geometrica regolarità di struttura.
Corso di Storia dell'arte: 65 Berlinghieri 1175

Berlinghiero Berlinghieri (Volterra, 1175 circa – Lucca?, 1235 o 1236) è stato un pittore italiano, attivo a Lucca dal 1228 al 1232. Le poche notizie sulla vita di Berlinghiero si ricavano dalle firme apposte su due sue opere (la Croce di Lucca e il Crocifisso di Fucecchio), in cui si cita come volterrano, e da un documento lucchese del 1228, in cui il pittore si dichiara figlio di Melanese il vecchio, assieme ai propri figli Bonaventura, Barone, Marco e altri cittadini lucchesi, durante il giuramento di pace con i pisani. Il fatto che nel 1228 avesse almeno due figli maggiorenni (Barone e Bonaventura) ha fatto ipotizzare che fosse nato circa una cinquantina d'anni prima, magari verso il 1175, e che fosse attivo come pittore dal 1200 circa. Probabilmente si formò tra Volterra e Pisa, dove esisteva una scuola di miniatura (di cui resta una Bibbia di san Vito nella Certosa di Calci), aggiornata sulla cultura umbro-romana di quegli anni, ma dotata anche di contatti di prima mano con la contemporanea arte costantinopolitana e siculo-normanna. Le sue opere sono emblematiche di come nella prima metà del XIII secolo la pittura toscana fosse ancora legata alla scuola bizantina, a differenza delle coeve opere di scultura e architettura, ormai indirizzate a modelli gotici transalpini e della romanità classica. La sua opera fu comunque uno dei primi passi nella transizione tra l'arte bizantina e l'arte occidentale. Sua prima opera nota è il Crocifisso dipinto del Museo nazionale di Villa Guinigi di Lucca (già al monastero di Santa Maria degli Angeli, 1210-1220), in cui si rifece all'arte bizantina nei tipi delle figure e nel prezioso smalto cromatico. La posa è ancora quella del Christus triumphans, statica e priva di drammaticità. Databile tra il 1230 e il 1235 è un secondo Crocifisso, proveniente da Fucecchio e ora conservato al Museo di San Matteo a Pisa, in cui, sotto l'influsso di Giunta Pisano, venne accentuata l'espressività delle figure. Al maestro sono anche attribuite due Madonna col Bambino, una al Metropolitan Museum of Art di New York, detta anche Madonna Straus, e l'altra nel Duomo di Pisa, che si sa proveniente da Camaiore e ivi situata dal 1225-1226, quando fu preda bellica del castello di Lombrici. Dalle numerose citazioni nei patronimici dei figli, tutti e tre pittori, si apprende che dal 1232 al 1235 risultava ancora vivo, e nel 1236 defunto.
venerdì 20 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 111 Cosmè Tura 1430 ca
TURA, Cosmè. - Pittore ferrarese, nato circa nel 1430, morto nel 1495. Nel 1451 stima con Galasso pennoni dipinti da Giacomo Turola, nel 1452 fa per la corte estense un cimiero da offrirsi al miglior corridore nel pallio del giorno dedicato al patrono San Giorgio; nello stesso anno dipinge imprese e fogliami, indora cassettine di pasta di muschio e si parte da Ferrara. Visse a Padova e a Venezia fino al 1436, nell'anno seguente prese alloggio alla corte di Ferrara, nel 1458 dipinse nel duomo una Natività, e cominciò la decorazione dello studio del duca Borso nel palazzo di Belfiore. Fino dal 1460 era provvigionato dalla corte, per la quale fece cartoni d'arazzi (1467, 1475, 1479, 1480). Dal 1465 a quest'anno fu ad ornare la biblioteca dei Pico, signori della Mirandola, e nel 1467, tornato a Ferrara, s'impegnò a dipingere la cappella Sacrati in San Domenico. Compì nel 1469 le ante d'organo della cattedrale ferrarese e diede principio alla decorazione d'una cappella nella delizia di Belriguardo, terminata nel 1472. In quest'anno eseguì il ritratto d'Ercole I d'Este, e di Lucrezia sua figlia naturale, poi tre ne fece del bambino don Alfonso, primogenito del duca (1477), uno al naturale di Lucrezia d'Este (1479), un altro d'Isabella d'Este (1480). Dal 1477 al 1481 Cosmè attese a dipingere lo studio del duca di Ferrara, nel 1485 il ritratto della principessa Beatrice d'Este, nel 1490 aveva eseguito un'ancona d'altare per la chiesa di San Niccolò di Ferrara, un Sant'Antonio da Padova per monsignor d'Adria. Il mondo padovano di Donatello e del Mantegna si riflette ancora nell'opera dell'età media del T., nelle ante d'organo della cattedrale ferrarese; ma le forme ferrigne, le pieghe spezzate, il paese vitreo e brullo, sono altrettanti segni del genio ribelle di Cosmè, che nell'anta di San Giorgio ci trasporta in un mondo di fiaba, truce, diabolico, a piè d'una montagna dantesca a gironi, sotto un torbido cielo, che dissecca le foglie dell'albero e arroventa le scarnite figure. Oltre agl'influssi padovani si notano in T. rapporti con le forme pittoriche della Germania meridionale, diffuse nell'Italia settentrionale durante il rigoglio del gotico fiorito. L'architettura del trono su cui siede la Primavera, già Layard, ce ne dà un esempio: il genio bizzarro dì Cosmè vi riversa tutte le sue smaglianti fantasie, sostituendo alle cornici lisce dei Toscani un arco formato da corpi di delfini, con pinne come aculei, denti a sega, occhi di rubino incastonati d'oro. Altri delfini s'ingobbano a formare i bracciali, altri si attorcono nelle basi del trono. In questo quadro, il più antico noto del T., egli ci appare nella tipica forma che manterrà per tutta la vita, aspra e splendente, spinosa e arrovellata, tale da trasportarci in un mondo fantastico, di mostri e di pietre preziose, di marmi rari e d'incandescenti metalli. Vicina per effetto cromatico alle ante d'organo del duomo di Ferrara è la Pietà del Museo Correr a Venezia, tanto nel lividore delle vesti, quanto nelle foglie secche dell'albero tra cui risplende il lucido metallo delle arance d'oro. Si raffredda il colore nel Cristo morto sorretto da due angeli, a Vienna, nel Museo storico-artistico, fra intessanti contrasti che ne rafforzano l'intensità: pallore cinereo di carni tra note acutissime di turchino e di viola, incandescenze preziose nel gruppo lontano delle Marie. Gli smalti di Cosmè scintillano nei tondi di S. Maurilio della Pinacoteca di Ferrara, tra le forme scheletrite; e l'iscrizione di figure e architetture entro il tondo è raggiunta da un ritmo nervoso e infallibile, che nel Martirio del Santo disegna il cerchio delle figure intorno alla fiamma d'un sibilante vessillo. Grandeggiano i santi e il devoto nello sportello colonnese del trittico Roverella, animati dalla statuaria maestà del Mantegna, e nella lunetta del Louvre, composta come gruppo in plastico per una rappresentazione di misteri religiosi, con la violenza che penetra le creazioni del T., e che si estende dai volti angolosi alle mani contratte, alle pieghe ritorte, tutte creste e spigoli, su cui percuote e risplende il colore. Le forme del Rinascimento, complicate da una flora lussureggiante e fantasiosa, trovano campo più vasto nell'ancona di Berlino, nel trono a piani sovrapposti, a predelle adorne di bassorilievi, a nicchia profonda, e nelle figure disposte in tre gradi, i due Santi, le due Sante, i due angioletti, a distanze misurate, in perfetto ordine architettonico. Dietro il trono, la parete s'apre in due arcate, sopra le quali girano lunettoni con statue di profeti su fondo a musaico d'oro. La luce fredda e limpida del cielo contrasta col tono rovente delle figure, le cui vesti hanno trasparenza d'agata e di onice: i putti sull'arcata sembrano lampade accese da una vermiglia fiamma; tutto pare scaldato dal fuoco, che trae scintille dalle tessere d'oro dei lunettoni, dalle scaglie multicolori dei marmi. La grande pala, abitata da figure salde e statuarie, che ci richiamano la monumentale stasi delle forme di Piero della Francesca, abbaglia i nostri occhi con la ricchezza dell'apparato, il fulgore dei metalli e dei marmi, proprî del meraviglioso fabbro che martella sull'incudine le immagini, perché la luce meglio si rifranga e folgori dagli spigoli delle forme, dagl'irti contorni. La potenza cromatica del T. raggiunge nelle ultime opere ardimenti estremi: esempio il contrasto lacerante tra la figura di San Giacomo, nel quadro della Galleria Estense, e il fantasmagorico paese spennellato di giallo e sanguigno. Deserti e brulli sono i paesi di Cosmè, ritorti come grovigli di radici i panni, tormentato sino al parossismo il contorno dei lineamenti; ma anche nelle ultime opere, quando il pittore, scostandosi dagli esempî di Toscana e dal Mantegna, non ascolta più che la propria barbara e indomita energia, e il suo colore s'accende di luci preziose che si sprigionano, per le asprezze della forma, dagli smalti e dai marmi traslucidi, Cosmè è il capostipite della tradizione cromatica ferrarese, in tutto il suo fiammeo splendore.
giovedì 19 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 110 Gentile Bellini 1429
Gentile Bellini 1429

mercoledì 18 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 109 Andrea del Castagno 1421
Andrea del Castagno 1421

Andrèa del Castagno. - Pittore (Castagno di San Godenzo, Mugello, 1421 circa - Firenze 1457), tra i maggiori del Quattrocento fiorentino. Dopo un periodo formativo in cui risentì dell'influsso di Masaccio, Filippo Lippi, Donatello e Paolo Uccello, raggiunse la piena maturità, di cui è specchio il ciclo (Ultima cena, Crocefissione, Deposizione, Resurrezione) nel Refettorio di S. Apollonia a Firenze, di grandiosa severità. Vita e opereLa sua più antica opera conservata sono gli affreschi, eseguiti in collaborazione con Francesco da Faenza, nella cappella di S. Tarasio in S. Zaccaria a Venezia; nel 1444 era pagato per il cartone di una vetrata nel tamburo della cupola di S. Maria del Fiore (Deposizione); nel 1449 gli era allogata la pala con l'Assunta tra i ss. Giuliano e Miniato (Berlino, Gemäldegalerie) per S. Miniato fra le Torri; nel 1456 affrescava il monumento a Niccolò da Tolentino in S. Maria del Fiore. Negli affreschi di S. Zaccaria A. si rivela personalità decisa, in stretto rapporto con Masaccio e più ancora con Filippo Lippi e Donatello. A questo periodo appartiene anche un affresco del castello di Trebbio (Uffizi, collezione Contini-Bonaccossi), il cui impianto prospettico rivela l'influsso di Paolo Uccello. Immediatamente dopo questo periodo formativo la critica data l'affresco della Crocefissione, già nel chiostro degli Aranci a Firenze. Tra il 1445 e il 1450 si pone il ciclo (Ultima Cena, Crocefissione, Deposizione, Resurrezione) nel Refettorio di S. Apollonia a Firenze, di grandiosa severità e arditissimo negli scorci; nel Cenacolo di S. Apollonia, oggi trasformato in museo, sono stati trasferiti anche altri affreschi distaccati. Verso il 1450 si deve anche datare la decorazione della villa Carducci di Soffiano, concepita secondo un programma che unisce alla storia della redenzione (affreschi in situ, scoperti nel 1949) l'esaltazione di uomini e donne illustri (affreschi staccati, Uffizi), secondo una concezione umanistica. Tra il 1451 e il 1453 A. lavorava, a Firenze, alla decorazione, iniziata da Domenico Veneziano, di S. Eligio (distrutta) e ai complessi e tormentati altari affrescati della Ss. Annunziata (Cristo e s. Giuliano, Trinità con s. Girolamo e due sante). L'esaltazione drammatica della plasticità e dello scorcio - in emulazione con la plastica di Donatello - sono il tratto saliente del monumento a Niccolò da Tolentino.
martedì 17 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 108 Agostino di Duccio 1418
lunedì 16 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 107 Francesco Laurana 1410 ca.

Laurana (anche Azzara o da Zara), Francesco. - Scultore, architetto, medaglista (n. Laurana - m. Avignone 1502 circa). Profondamente influenzato dall'arte di Piero della Francesca e Agostino di Duccio, si distinse soprattutto per gli eleganti busti femminili eseguiti alla corte aragonese di Napoli, caratterizzati da una sottile vibrazione luminosa, accordata all'astrazione formale. L. fu anche in Francia (1461-66), dove fra i primi diffuse il gusto rinascimentale italiano.La sua formazione non è stata ancora accertata, ma fu determinante a Rimini, dove probabilmente soggiornò, la conoscenza dell'arte di Piero della Francesca e la collaborazione con Agostino di Duccio nel Tempio Malatestiano. Il suo nome compare la prima volta nel 1458, allorché lavorava a Napoli all'arco trionfale di Alfonso d'Aragona. Fu in Francia (1461-66), dove alla corte di Renato d'Angiò eseguì alcune medaglie, che ricordano l'arte di Pisanello. Successivamente lavorò in Sicilia (1466), dove le sue opere più importanti sono: la facciata della cappella Mastrantonio in San Francesco (1468-69), compiuta insieme con Pietro di Bonitate, e la Madonna eseguita per Monte San Giuliano e conservata nel duomo, entrambe a Palermo; la Madonna (1471) della chiesa del Crocifisso di Noto. Di nuovo a Napoli alla corte aragonese (1473-74), iniziò in questo periodo la serie dei celebri busti femminili: quello ritenuto di Eleonora d'Aragona (Palermo, Galleria regionale della Sicilia), quello di Battista Sforza (Firenze, Museo nazionale del Bargello), ecc. Nuovamente in Francia, eseguì a Marsiglia con T. Malvito alcune sculture di santi (1477-81, duomo, cappella di S. Lazzaro) e ad Avignone, per Renato d'Angiò, un dossale d'altare con l'Andata al Calvario (1479-81, S. Didier), nel quale manifesta l'influenza della scultura lignea francese.
domenica 15 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 106 Doménico Veneziano 1410 ca
Doménico Veneziano 1410 ca

sabato 14 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 105 Fra Filippo Lippi 1406
Lippi, Filippo, detto fra Filippo. - Pittore (Firenze 1406 circa - Spoleto 1469). Personalità inquieta, divisa tra passioni e condizione di religioso, compì un percorso artistico improntato a una continua e felice sperimentazione delle grandi novità elaborate in quel periodo a Firenze: dalla lezione masaccesca alla sapiente spazialità prospettica, ai valori di luce e di colore dell'Angelico. Tra le sue opere più significative si ricordano l'Incoronazione della Vergine (1441-47 circa). Di famiglia povera entrò molto presto nel convento del Carmine a Firenze, dove pronunciò i voti nel 1421; nella chiesa del convento fiorentino poté con continuità osservare all'opera Masaccio e Masolino da Panicale, intenti, tra il 1424 e il 1428 circa, alla decorazione della cappella Brancacci. Nel 1428 L. si trasferì temporaneamente nel monastero carmelitano di Siena, dove rimase per circa un anno con la carica di sottopriore, avendo così l'opportunità di conoscere in profondità le testimonianze dell'arte locale sia pittorica, sia scultorea. Al principio del 1456 il L. fu nominato cappellano del convento di S. Margherita a Prato, dove conobbe Lucrezia Buti, di cui si innamorò e che convinse a fuggire con lui. Dalla loro unione illegittima nel 1457 nacque segretamente a Prato il figlio Filippino. Accusati entrambi da una denuncia anonima, nella quale veniva svelata anche la nascita del figlio, furono infine sciolti dai voti e uniti legittimamente in matrimonio. Al periodo giovanile, dominato dall'influsso di Masaccio, appartengono la Madonna dell'Umiltà (Milano, museo del Castello Sforzesco); i resti di un grande affresco nel chiostro del Carmine a Firenze; la Madonna (1437; Galleria nazionale d'arte antica di Roma, già a Tarquinia), in cui L. afferma un temperamento suo, nel definire i contorni, e nei guizzi di luce che attenuano la stabilità del rilievo; l'Annunciazione, in S. Lorenzo a Firenze. La pala Barbadori per S. Spirito del 1437 (ora al Louvre), mostra in crescente sviluppo i caratteri particolari del maestro: giochi di chiaro e d'ombra danno alla modellazione movimento piuttosto che consistenza, il colore è toccato di una luce dolce, perlacea, e nella predella (Uffizi), certo dipinta per ultima, sulla forma e sul colore il disegno è accentuato con tanta evidenza di linee da diventare il mezzo più vivace per esprimere il moto, che in qualche figura ha ritmo impetuoso. Nella pala di S. Croce (Uffizi), nella festosa Incoronazione della Vergine (Uffizi), L. va subordinando sempre più le impressioni plastiche a quelle di movimento. Gli affreschi del coro del duomo di Prato, Evangelisti, Storie del Battista e di s. Stefano (1464 e oltre), mostrano le stesse qualità che invece appaiono assai meno pure nell'ultima grande opera, in gran parte compiuta dai suoi collaboratori, fra Diamante e Pier Matteo d'Amelia: gli affreschi dell'abside del duomo di Spoleto (1467-69). Di discussa cronologia sono la delicatissima Madonna con angeli (Uffizi) e le varie versioni dell'Adorazione del Bambino (Uffizi; Berlino, Gemäldegalerie); inoltre non poche sono le opere uscite dalla bottega di L., forse ideate da lui, ma in parte o in tutto eseguite dai suoi allievi.
venerdì 13 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 104 Piero della Francesca 1406



giovedì 12 giugno 2025
Corso di storia dell'arte: 103 Masaccio 1401


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