giovedì 31 luglio 2025

Corso di Storia dell'arte: 155 Domenichino 1581

Domenico Zampieri detto il Domenichino 1581


Pittore, nato a Bologna il 21 ottobre 1581, morto a Napoli il 6 aprile 1641. Prima scolaro di Dionigi Calvaert, poi dei Carracci, a Bologna. Con Annibale Carracci, del quale fu aiuto negli affreschi della Galleria Farnese, lo si trova intorno al 1602 a Roma. Nel palazzo Farnese gli si possono ascrivere alcuni affreschi, tra altri: la Morte di Adone, Apollo e Giacinto, Narciso alla fonte, e, nella Galleria, la Vergine con l'alicorno. La prima opera interamente di sua mano è la Liberazione di S. Pietro, nella sacrestia di S. Pietro in Vincoli a Roma. Seguono tre lunette nel portico della chiesa di S. Onofrio. A questo periodo iniziale vanno riferiti due ritratti del cardinale Girolamo Agucchia (Roma, Galleria Corsini; Firenze, Uffizî) e il sepolcro del porporato in San Pietro in Vincoli; forse anche la Messa di S. Gregorio della Bridgewaterhouse a Londra, e l'Adorazione dei pastori nella Galleria di Dulwich (Londra). Opere giovanili sono anche molti paesi, generalmente di piccole dimensioni (Roma, Gallerie Doria e Capitolina; Londra, Galleria Nazionale; Madrid, Prado, ecc.). Del 1608 è l'affresco rappresentante il Martirio di S. Andrea nella cappella di S. Andrea annessa alla chiesa di S. Gregorio Magno a Roma, e quasi contemporanei risultano altri affreschi della Villa Aldobrandini a Frascati e del castello di Bassano di Sutri (1609). Opera di maggiore importanza fu la decorazione della cappella Farnese nell'abbazia di Grottaferrata presso Roma, con storie di San Nilo, compiuta nel 1610. Fra questi affreschi e la Comunione di S. Gerolamo (Pinacoteca Vaticana) del 1614, non vi sono lavori di sicura datazione, ma probabilmente anteriori ad essa vanno considerati gli affreschi in S. Luigi de' Francesi a Roma (1611-14). Del 1615 è l'Angelo Custode del Museo nazionale di Napoli e coevo ad esso si può ritenere un affresco nel palamo Costaguti a Roma, rappresentante la Verità scoperta dal Tempo. Del 1617 è l'Assunta, nel mezzo del soffitto della chiesa di S. Maria in Trastevere, del quale il disegno fu dato dal Domenichino. Verosimilmente intorno a quest'anno è da porsi l'autoritratto degli Uffizî, la Caccia di Diana e la Sibilla della Galleria Borghese a Roma. Fra il 1621-23 furono eseguite, verosimilmente, le due grandi tele raffiguranti la Madonna del Rosario e il Martirio di S. Agnese, ora nella Pinacoteca di Bologna. Del periodo 1624-28 è la decorazione dei pennacchi della cupola di S. Andrea della Valle a Roma. Segue la decorazione, di minore rilievo, della cappella Bandini in S. Silvestro al Quirinale e, probabilmente, la pala di Brera, già in S. Petronio dei Bolognesi a Roma. Nel 1630 il D. terminò gli affreschi nei pennacchi della cupola in S. Carlo ai Catinari di Roma, e nello stesso tempo dové eseguire il Martirio di S. Sebastiano, ora in S. Maria degli Angeli. L'attività del D. si chiude a Napoli con la decorazione della cappella del Tesoro in duomo, commessagli nel 1630: opera interrotta dalla morte, avvenuta non senza sospetto di veleno. Altre opere del D. degne di menzione, fra le molte che gli si ascrivono, sono la Susanna (Monaco, Galleria); il David di Versailles; il ritratto di Vincenzo Scamozzi (Berlino, Museo), ecc. Della sua attività di architetto (il D. nel 1621 era stato nominato architetto del palazzo apostolico) s'indicavano come massimo segno i progetti per la chiesa di S. Ignazio a Roma, ma senza fondamento. Nella ricca serie di disegni suoi conservati nella biblioteca del castello reale di Windsor (circa 1750), si hanno alcuni saggi di architetture, nello spirito di Michelangelo, del Palladio e delle fabbriche barocche di Roma; è noto anche che costruì qualche monumento sepolcrale, qualche cappella, forse qualche chiesa, come la "Crocetta" a Bologna; ma nulla autorizza a vedere in lui un vero e proprio architetto.

martedì 29 luglio 2025

Corso di Storia dell'arte: 154 Rubens 1577

 Peter Paul Rubens 1577



Pittore (Siegen, Vestfalia, 1577 - Anversa 1640). Nato in Germania, dopo la morte del padre (1587), si trasferì con la famiglia ad Anversa (1589), dove frequentò prima la bottega del pittore di paesaggi Tobias Verhaecht, in seguito (1692) quella di A. van Noort e quindi (1595-97) proseguì il suo apprendistato presso il pittore di tradizione romanista O. van Veen, l'unico ad avere avuto una certa importanza per la formazione del giovane artista. Nel 1598 R. venne ammesso in qualità di maestro nella gilda di San Luca di Anversa. Nel maggio del 1600 partì per un viaggio di studî in Italia; fu prima a Venezia quindi a Mantova dove Vincenzo Gonzaga gli diede l'incarico di pittore, incarico che manterrà durante tutti gli otto anni del soggiorno italiano. Nell'ottobre era a Firenze, quindi a Genova e nel 1601 raggiungeva Roma con l'incarico di copiare quadri per il suo protettore. Durante questo primo soggiorno romano (1601-02), negli anni in cui erano già attivi i Carracci e Caravaggio, R. eseguì per S. Croce in Gerusalemme il Trionfo di sant'Elena, l'Incoronazione di spine (ora Grasse, cattedrale) e l'Innalzamento della croce (perduta), opere in cui, accanto a reminiscenze dell'arte fiamminga tardo manierista, si mescolano una serie di citazioni italiane (in primo luogo la pittura veneta cinquecentesca) non ancora bene padroneggiate. Degli stessi anni sono il Compianto sul corpo di Cristo (Roma, Galleria Borghese) e il Martirio di san Sebastiano (Roma, Galleria nazionale d'arte antica; datato però anche al secondo soggiorno romano). Nel 1603 il duca di Mantova inviò R. in missione diplomatica a Madrid presso Filippo III; qui ebbe modo di studiare le splendide collezioni reali (copiò tele di Tiziano) e di dimostrare le eccezionali doti di diplomatico che furono oggetto di costante ammirazione da parte dei contemporanei. Alla fine del 1604 era a Mantova e l'anno successivo nuovamente a Roma, dove nel settembre del 1606 ricevette l'incarico di dipingere la tela dell'altare maggiore della Chiesa Nuova. La prima versione con San Gregorio Magno e altri santi venerano l'immagine della Vergine (1606-07, Grenoble, Musée des Beaux-Arts) venne rifiutata (probabilmente per motivi iconografici) e l'anno successivo R. eseguì su ardesia i tre dipinti tuttora nella chiesa (Vergine in gloria adorata dagli angeli, Santi Gregorio, Mauro e Papiano e Santi Domitilla, Nereo e Achilleo): sono evidenti riferimenti a Correggio, Tiziano e Veronese, ma sono soprattutto straordinarie la dilatazione spaziale, la magniloquenza dei gesti, la ricchezza dei panneggi, tutti elementi che diverranno tipici del barocco romano. Nel 1606 aveva momentaneamente interrotto il soggiorno romano per un viaggio a Genova dove lasciò tra l'altro alcuni splendidi ritratti (Ritratto equestre di Giovanni Carlo Doria, 1606, Genova, Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola; Ritratto della marchesa Brigida Spinola Doria, 1606, Washington, National Gallery of Art). Nell'ottobre del 1608, venuto a conoscenza della malattia della madre, partì da Roma alla volta di Anversa abbandonando per sempre l'Italia. L'anno successivo fu nominato pittore degli arciduchi Alberto d'Austria e Isabella, dei quali fu uno dei consiglieri ed ebbe da loro importanti incarichi politici, sposò Isabella Brant, si costruì una casa e aprì uno studio frequentato da un gran numero di allievi che collaborarono attivamente alle grandi imprese decorative del maestro. L'opera pittorica di R. è sterminata; il suo grande talento si evolve lentamente ed egli trova un suo stile personale solo dopo il rientro dall'Italia, meditando costruttivamente su quelle esperienze. Nel trittico della Erezione della croce (1610-11, Anversa, Notre-Dame) il suo stile è audacissimo, dal dinamismo intenso, dalle potenti forme alla rapida e salda fattura; nella successiva Deposizione dalla croce (1611-14, Anversa, Notre-Dame) il parossismo dei movimenti si placa in una maggiore ricerca di classicità e di nobile grandiosità. Il suo stile drammatico giunge alla piena fioritura con opere come il Grande giudizio universale (1515-16), la Battaglia delle amazzoni (1615-18) e il Piccolo giudizio universale (1618-20) e la Caduta dei dannati (1621) conservate a Monaco nella Alte Pinakothek. Dal 1620 in poi R., coadiuvato dalla sua fiorente bottega, sarà impegnato in alcune grandi imprese decorative (che produrranno un'immensa produzione grafica, di rapida esecuzione e limpidezza estrema, e un gran numero di bozzetti eseguiti a olio) caratterizzate da un dinamismo travolgente, da una fattura pittorica rapida e da un intenso e vibrante cromatismo. Dopo l'esecuzione delle 39 tele per il soffitto della chiesa dei gesuiti di Anversa (1620; distrutte da un incendio nel 1718), R. si dedicò alla realizzazione di quella che è forse la sua impresa più celebre, la decorazione della galleria del palazzo del Lussemburgo a Parigi con la Storia di Maria de' Medici (1521-25, Louvre; 22 tele, solo in parte autografe). Non poté poi portare a termine la prevista galleria ispirata alla vita di Enrico IV di Francia (si conoscono solo 9 composizioni, tra cui il Trionfo di Enrico IV, 1628-29, Uffizî), ma eseguì invece i disegni per gli arazzi destinati al convento delle carmelitane scalze di Madrid raffiguranti il Trionfo dell'eucarestia (1625-28). Questi anni sono anche caratterizzati da una straordinaria produzione di ritratti (Ritratto dell'infanta Isabella Clara Eugenia di Spagna in abiti da clarissa, 1625, Firenze, Galleria Palatina; Ritratto di Suzanne Fourment, 1625, Londra, National Gallery; Ritratto di Isabella Brant, 1625-26, Uffizî; Ritratto di Elisabetta di Borbone, 1628-29, Vienna Kunsthistorisches Museum). Nel 1626 era intanto morta la moglie di R. e il pittore, disperato, accettò numerosi incarichi diplomatici che lo portarono in Francia, Spagna, Olanda e Inghilterra (1627-29). Tornato ad Anversa nel 1630 si risposò con Hélène Fourment che gli ispirerà dei bellissimi ritratti caratterizzati da una stesura del colore più calda e intrisa di luce (Ritratto di Hélène Fourment e i figli Clara Johanna e Frans, 1636-37, Louvre; Ritratto di Hélène Fourment, 1638, Vienna, Kunsthistoriches Museum; ecc.). I maggiori incarichi degli ultimi dieci anni di vita di R. furono la decorazione della Banqueting Hall di Whitehall a Londra (1629-34), i disegni e i modelli per gli arazzi con la Storia di Achille (1630-32), la direzione degli addobbi per l'entrata trionfale ad Anversa del cardinale Infante Ferdinando (1635) e le decorazioni per il padiglione di caccia della Torre de la Parada, vicino a Madrid, con episodî delle Metamorfosi di Ovidio (1637-38).

lunedì 28 luglio 2025

Corso di Storia dell'arte: 153 Reni 1575

Guido Reni 1575

Pittore (Bologna 1575 - ivi 1642). Tra i maggiori artisti del tempo, molto apprezzato dai contemporanei, operò a Roma, a Napoli ma soprattutto nella sua città natale. Vicino al classicismo carraccesco seppe darne un'interpretazione personale e controllata, che al di là dello studio dei classici lascia intravedere un reale apprezzamento della corposità barocca, all'interno di una struttra elegante e rigorosa e di un altissimo uso del colore. Vita e opere.Allievo del pittore fiammingo D. Calvaert (1585-94), entrò poi nell'Accademia dei Carracci. Nelle prime opere (Incoronazione della Vergine, Bologna, Pinacoteca Nazionale) si nota ancora l'insegnamento di Calvaert, insieme all'influsso di Annibale e Ludovico Carracci. Dopo un periodo di collaborazione con l'Accademia (Resurrezione, 1596-97, Bologna, S. Domenico), se ne allontanò ponendosi in aperto contrasto con L. Carracci e raggiungendo una rapida affermazione personale (affreschi in palazzo ex Zani, 1598; Madonna con s. Domenico e i misteri del Rosario, 1598-99, santuario di S. Luca; Assunzione, 1599-1600, Cento, parrocchiale). Nel 1601 fu chiamato a Roma dal card. P. E. Sfondrato, per eseguire dipinti in S. Cecilia (Martirio della santa e Incoronazione dei ss. Cecilia e Valeriano); rimase nella città con brevi interruzioni fino al 1614 (decorazione del chiostro di S. Michele in Bosco a Bologna, 1603-04), e vi tornò nel 1621 e nel 1627. Qui arricchì le proprie esperienze, fino a porsi in confronto con Caravaggio (Crocifissione di s. Pietro, 1604-05, Roma, Pinacoteca Vaticana; SS. Pietro e Paolo, Brera; David e Golia, Louvre): l'uso di soluzioni caravaggesche viene fuso ed equilibrato nello stile personale e idealizzante dell'artista. Dal 1608 iniziò l'attività per la famiglia Borghese a Roma, per tramite del Cavalier d'Arpino (affreschi nella Sala delle nozze Aldobrandini e nella Sala delle Dame in Vaticano; S. Andrea condotto al martirio, 1609, S. Gregorio al Celio; dipinti nella cappella dell'Annunciata, 1609-10, palazzo del Quirinale; decorazione della cappella Paolina, 1610-12, S. Maria Maggiore; L'Aurora, 1613-14, casino di palazzo Rospigliosi), continuando nel frattempo ad assolvere commissioni bolognesi (Strage degli innocenti, 1610, Bologna, Pinacoteca Nazionale). A Bologna R. si affermò come il maggiore artista del tempo, dando un'interpretazione personale del classicismo carraccesco basata sullo studio di Raffaello, Correggio, Veronese e guardando a Rubens e alla scultura contemporanea, con opere caratterizzate dalla struttura elegante e serrata e dal magistrale uso del colore (S. Domenico in gloria, 1613-14, S. Domenico; Pietà per la chiesa dei Mendicanti e Crocifissione per la chiesa dei Cappuccini, ambedue nella Pinacoteca Nazionale; Assunzione, 1616-17, Genova, S. Ambrogio o chiesa del Gesù; Gesta di Ercole, 1617-21, Louvre). Dal terzo decennio R. introdusse nei suoi dipinti l'uso di una luce argentea e di toni chiari e preziosi (Annunciazione e Consegna delle chiavi, 1620-26, Fano, S. Pietro in Valle; Trinità, 1625, Roma, Ss. Trinità dei Pellegrini). Per tramite del card. B. Spada eseguì il Ratto di Elena (1629, Louvre) per Maria de' Medici; del 1631 è la Pala della peste (Bologna, Pinacoteca Nazionale) e del 1635-36 il S. Michele Arcangelo in S. Maria della Concezione a Roma. Le ultime opere presentano una pennellata libera e sfaldata e un aspetto abbozzato, solo in parte dovuto a un'effettiva assenza di finitura causata dalla morte dell'artista (Madonna con Bambino e s. Giovannino, Firenze, coll. R. Longhi; Cleopatra, Roma, Pinacoteca Capitolina).

domenica 27 luglio 2025

Corso di Storia dell'arte: 152 Caravaggio 1571

Michelangelo Merisi o Amerighi detto il Caravaggio 1571










Pittore (Milano 1571 - Porto Ercole 1610), detto C. dal paese d’origine della famiglia. Allievo di S. Peterzano a Milano (1584), intorno al 1592 andò a Roma, dove il Cavalier d’Arpino lo avrebbe applicato «a dipingere fiori e frutta». Protetto dal cardinale F. M. del Monte e da V. Giustiniani, C. approfondì la sua ricerca naturalista, legata alla sua formazione a contatto con la pittura lombardo-veneta (L. Lotto, il Moretto, G. B. Moroni, G. G. Savoldo), in composizioni allegoriche, religiose (Riposo nella fuga in Egitto e la Maddalena, Roma, Galleria Doria Pamphilj), e più ancora in quadri un tempo considerati di genere, come il Bacco (Firenze, Uffizi), il Bacchino (Roma, Galleria Borghese), il Ragazzo con canestro di frutta (ivi), la Buona ventura (Parigi, Louvre), il Concerto (New York, Metropolitan Museum), il Canestro di frutta (Milano, Pinacoteca Ambrosiana). Abbandonò poi le tematiche poetiche ed elegiache dei quadri giovanili per sviluppare una pittura più drammatica, basata sul contrasto tra luce e ombra, sull’immanenza e la reale e quotidiana rappresentazione del divino. Nel 1599 ebbe l’incarico di decorare con Storie di s. Matteo la cappella Contarelli in S. Luigi dei Francesi, prima opera pubblica: la Vocazione di s. Matteo rappresenta l’iniziale manifestazione del suo stile maturo, in cui l’evento sacro viene drammaticamente sottolineato dall’uso e dalla dialettica tra luce e ombra. L’opera suscitò polemiche e scandalo (secondo alcune fonti sarebbe stata richiesta una seconda versione della pala d’altare) e avviò la celebrità dell’artista. Dopo i dipinti della cappella Contarelli, C. creò una serie di opere assai importanti sia per l’innovazione iconografica sia nella struttura compositiva: la Crocifissione di s. Pietro e la Conversione di s. Paolo per la cappella Cerasi in S. Maria del Popolo (eseguite in due versioni, 1601-05), la Deposizione (Pinacoteca Vaticana), la Madonna dei Pellegrini (S. Agostino), la Madonna dei Palafrenieri (Roma, Galleria Borghese), la Morte della Vergine (Parigi, Louvre), le due versioni della Cena in Emmaus (1602, Londra, National Gallery e 1606, Milano, Brera). Costretto alla fuga per un omicidio compiuto nel 1606 durante una rissa, passò a Napoli, di lì a Malta, ove nel 1608, nominato cavaliere di grazia ma poi imprigionato, evase, soggiornando quindi in Sicilia e a Napoli; di qui, nel tentativo di tornare a Roma approdò a Porto Ercole, possedimento spagnolo, e vi morì. Ovunque aveva lasciato opere altissime, di un’intima e cupa drammaticità: le Sette Opere di Misericordia (Napoli, Pio Monte della Misericordia), la Decollazione del Battista a Malta (La Valletta, Cattedrale), il Seppellimento di s. Lucia (Siracusa, S. Lucia), l’Adorazione dei Pastori e la Resurrezione di Lazzaro (Messina, Museo Regionale). L’originalità del suo fare artistico, sempre riconosciuta, seppure in modo controverso, ha determinato soprattutto nel 20° sec. interpretazioni critiche di segno diverso, ponendo l’artista in vario modo in relazione con l’ambiente culturale e religioso del tempo.

sabato 26 luglio 2025

Corso di Storia dell'arte: 151 El Greco 1541

Domìnikos Theotokòpulos detto El Greco 1541








Soprannome con cui è conosciuto Domìnikos Theotokòpulos, pittore cretese trapiantato in Spagna (Creta 1541 - Toledo 1614). Discepolo di Tiziano, subì l'influsso del Tintoretto, di cui apprezzò il luminismo, approfondito con la conoscenza delle opere di Correggio e Parmigianino. A Toledo, che divenne la sua terza patria, produsse opere memorabili e maturò uno stile tormentato e tragico, in cui si scontrano attualità realistica ed evocazione visionaria (Entierro del conde de Orgaz, 1586, Toledo, chiesa di S. Tomé). Tra le opere principali si segnalano anche: Espolio (1577-79), per la cattedrale di Toledo, e il ritratto di Vincenzo Anastagi (1586, New York, Frick collection). Incerta è l'identificazione della prima opera del G. "madonnero" (1563-65 circa, Modena, Galleria Estense); egli si formò essenzialmente a Venezia, dove era giunto probabilmente nel 1567: come discepolo di Tiziano è ricordato da G. Clovio (1570). L'influsso di I. Bassano risulta evidente nel dinamismo della stesura cromatica (Bimbo che soffia sopra un tizzone, 1570 circa, pinac. di Napoli, museo di Capodimonte), ma soprattutto al G. fu congeniale il luminismo del Tintoretto (La Vergine, Strasburgo, Musée de beaux-arts; Ultima cena, Lugano, collezione Thyssen-Bornemizsa), mentre la sua cultura si arricchiva di elementi del Correggio, del Parmigianino e anche di Michelangelo, Raffaello e Dürer. A Roma (1570-72) fu in contatto con la cerchia del cardinale A. Farnese, sebbene si sentisse estraneo alla cultura locale e critico nei confronti degli affreschi di Michelangelo. Fu, forse, ancora a Venezia, e quindi in Liguria, prima di partire (1576) per la Spagna: a Toledo produsse opere memorabili, e alcune stupende. La sua arte assunse una voce insolita: nell'Espolio (1577-79) per la cattedrale, la composizione addensa le figure e le luci divengono lividi barbagli; tragico, carico d'intensità espressiva è il già citato Entierro del conde de Orgaz (1586, chiesa di S. Tomé), ispirato a una leggenda toledana, interpretata dal G. in un acuto scontro di attualità realistica e di evocazione visionaria. Nel 1579 per Filippo II dipinse il Trionfo del Nome di Gesù (detto anche Il sogno di Filippo II) per la cappella dell'Escorial e il Martirio di s. Maurizio (1582), sempre per l'Escorial, che non soddisfece le esigenze di cupa religiosità del re; il G. si ritirò definitivamente a Toledo.

venerdì 25 luglio 2025

Corso di Storia dell'arte: 150 Giambologna 1529

Giambologna 1529


Scultore (Douai 1529 - Firenze 1608). Ad Anversa (1540) apprese la scultura da J. du Broeucq. Recatosi a Roma insieme a F. e C. Floris, avvicinò Michelangelo. Si recò nel 1562 a Firenze, ove fu protetto da Francesco de' Medici, che aveva acquistato una sua Venere, ed eseguì il gruppo, ora perduto, di Sansone che atterra il filisteo. Al 1563-67 risale la fontana con il Nettuno sulla piazza omonima di Bologna, concepita e animata in modo da ricordare l'Ammannati, grandiosa nell'idea del colosso che placa i flutti, concettosa ed elegante nelle maschere, nelle cartelle, nei putti e, nell'insieme, tipica espressione della teatralità manieristica. La fontana dell'Oceano in Boboli a Firenze mostra invece l'influsso del Tribolo. Si accentua qui la ricerca, già propria di altre importanti opere del G. conservate nella stessa città (il Mercurio in bronzo, ora al Bargello, eseguito nel 1572 per la villa Medici a Roma; Venere, a Boboli; Ratto delle Sabine, del 1580-83, nella loggia dei Lanzi), del movimento in masse contrapposte e serpentinate, secondo un acuto spirito manieristico. Il Mercurio, elegante capolavoro, in cui, contraddicendo le norme del classicismo, la figura sorge dal basso in alto priva di peso, presuppone la visione di opere di B. Cellini; e come contrapposto al Perseo di Cellini era stato concepito il gruppo della loggia dei Lanzi, dapprima destinato a raffigurare Andromeda rapita da Fineo, poi, per suggerimento di R. Borghini (cui si deve una celebre esegesi del gruppo, alta testimonianza della critica d'arte del manierismo), trasformato nel soggetto di storia romana (Ratto delle Sabine), e dotato di un bassorilievo raffinatissimo in cui si amplia con gusto narrativo la storia delle Sabine. Altre opere, conservate a Firenze, rivelano la sua tecnica corretta, il gusto decorativo e l'eleganza del movimento: l'Ercole che uccide il Centauro (loggia dei Priori); i due monumenti equestri di Cosimo I (1594, piazza della Signoria) e di Ferdinando I de' Medici (piazza della Ss. Annunziata); i colossi dell'Appennino e di Giove Pluvio nella villa di Pratolino. Opere sue si trovano anche a Lucca e a Pisa. Di suprema raffinatezza i bronzetti eseguiti dal G., alcuni dei quali furono donati da Cosimo I al re d'Inghilterra.

giovedì 24 luglio 2025

Corso di Storia dell'arte: 149 Cambiaso 1527

Luca Cambiaso 1527



Pittore e scultore (Moneglia 1527 - Madrid 1585). Scolaro e collaboratore del padre, Giovanni (1495-1577 circa), negli affreschi di pal. Doria (ora prefettura di Genova). Attento all'arte di Perin del Vaga e del Pordenone, ma anche del Beccafumi, il C. addolcì poi le forme segnate dal gigantismo delle proporzioni e da insoliti scorci delle opere giovanili con una personale elaborazione delle esperienze luministiche e cromatiche dei veneti. Di grande importanza fu anche la sua intensa amicizia e collaborazione con G. Alessi e G. B. Castello. Dopo il 1555 creò con feconda invenzione, per palazzi e chiese genovesi, affreschi e dipinti di soggetto sacro e profano, raggiungendo effetti di massima teatralità e, nelle opere più tarde, di solenne grandiosità: Il ratto delle Sabine (Villa Imperiale); Il ritorno di Ulisse (pal. Grimaldi, ora della Meridiana); Resurrezione e Trasfigurazione (S. Bartolomeo degli Armeni); affreschi con scene della vita della Vergine (duomo, capp. Lercari); affreschi con storie e ritratti della famiglia Lercari e storia di Niobe (pal. Lercari, Via Garibaldi), ecc. E ancora sono da ricordare La Pietà, nella chiesa di Carignano, gli intensi notturni (Cristo davanti a Caifa, Madonna della candela a pal. Bianco, varie versioni del Presepe) e i numerosi e incisivi disegni. Nel 1583 fu chiamato da Filippo II per la decorazione dell'Escuriale. Della sua attività di scultore è testimonianza la statua della Prudenza nel duomo di Genova.

mercoledì 23 luglio 2025

Corso di Storia dell'arte: 148 Veronese 1528

Paolo Caliari detto Paolo Veronese 1528

Pittore (Verona 1528 - Venezia 1588). Nella grande civiltà pittorica veneziana del sec. 16º, P. V. si distingue per la peculiare armonia delle sue tinte limpide, brillanti, gioiose e per la trasparenza delle sue atmosfere; mezzi espressivi e libertà di atteggiamenti che ne faranno un punto di riferimento per la pittura veneziana del Settecento. Suo primo maestro fu G. A. Badile; anche i bresciani G. Romanino, il Moretto e G. G. Savoldo, presenti con opere a Verona, contribuirono alla sua prima formazione, orientata verso le novità cromatiche di cui Venezia era la fonte. Ma ancora altri elementi si inseriscono nella sua cultura figurativa: le eleganze manieristiche del Parmigianino, la grandiosa ampiezza della figura umana di Giulio Romano. Accenti variamente commisti, che tuttavia s'intonano in una pittura ampiamente decorativa. Al 1548 risale la sua prima opera datata: la pala Bevilacqua (Verona, museo di Castelvecchio). Nel 1551 decorava la villa Soranzo presso Castelfranco, e nel 1552 dipingeva la pala con le Tentazioni di s. Antonio (museo di Caen). Infine, giunto a Venezia, dove la sua arte limpida e serena s'impose, cominciò (1553) a dipingere una serie di quadri: i soffitti delle sale del Consiglio dei Dieci e dei Tre Capi del Consiglio nel Palazzo Ducale, rappresentanti Giunone che versa i suoi tesori su Venezia, la Gioventù e la Vecchiaia, ecc.; opere nelle quali lo stile dell'artista appare perfettamente definito, in un felicissimo senso degli accordi cromatici, cui si aggiunge un senso grandioso dei valori spaziali. Nel 1555 aveva terminato il soffitto della sacrestia di S. Sebastiano, a cui seguirono a varie riprese (fino al 1570) il soffitto della chiesa stessa, e poi l'intera decorazione del tempio. Negli anni che corsero tra il 1557, data presumibile dell'inizio di un lungo soggiorno a Venezia, e il 1566, anno in cui tornò a Verona per sposare Elena figlia di G. A. Badile, eseguì numerosi cicli di affreschi, oggi perduti, nei palazzi veneziani (restano frammenti nella casa Trevisani a Murano e il ciclo, eseguito prima del 1560, nella palladiana villa Barbaro a Maser, che costituisce uno dei più interessanti complessi della pittura veneziana, con pitture che coprono quasi da cima a fondo le pareti della mirabile costruzione palladiana e costituiscono uno dei più estesi, complessi e stupendi cicli pittorici, che mai siano usciti da pennello d'artista). Autore a Verona della pala di S. Giorgio in Braida, nel 1563 dipinse a Venezia la più famosa delle sue Cene, le Nozze di Cana ora al Louvre; dieci anni dopo eseguì la Cena in casa di Levi, ora all'Accademia di Venezia, che, nell'ambito della Controriforma, gli procurò il processo dell'Inquisizione: pitture ove le capacità scenografiche, la freschezza e la novità del colorito si affermarono altamente. Fra le sue opere più significative vanno ancora ricordate: le Cene di Dresda, di Brera e di Monte Berico. Contemporaneamente a questi conviti, dipinse moltissime altre tele di vario argomento, dove però sempre s'affermano quella sua tendenza al sogno gaio, brillante, ritmato, e quella sua virtù d'esprimerlo, non già con la densa e profonda orchestrazione tizianesca, o col balenante notturno del Tintoretto, ma con l'accordo, leggerissimamente tramato, dei colori squillanti e vivi: e insieme quel suo carattere, impropriamente detto esteriore, che lo porta a scegliere argomenti profani o a trattare profanamente argomenti sacri. Si ricordano: la Famiglia di Dario ai piedi di Alessandro (1565-67, Londra, National Gallery); i ritratti, o gruppi di ritratti, a Firenze, a Dresda, ad Amsterdam, e alcune composizioni di soggetto sacro. Sensibile negli ultimi anni agli esempi di Tiziano, del Tintoretto, del Bassano che ne arricchirono tecnicamente l'arte, per il rinnovamento del Palazzo Ducale, dopo l'incendio del 1576, eseguì le magnifiche tele di soggetto allegorico, la Vittoria di Lepanto, la prodigiosa decorazione della Sala del Maggior Consiglio. La pittura di P. V. fu tra le poche di altezza veramente suprema, e di una purità forse unica. Giacché in nessun artista, come in lui, il cosiddetto contenuto non vale se non in quanto dà concretezza all'armonia delle forme raffaellescamente equilibrate in un riposato ritmo, e al brillare dei colori, i quali, pur impeccabilmente accordandosi in un insieme intonatissimo, non rinunciano mai all'individualità del loro timbro particolare, alla chiarezza della loro voce, all'intensità della loro vita. Storicamente fu un rinnovatore formidabile, sebbene a scadenza assai lunga: il seme ch'egli gettò nel Cinquecento, difatti, non fiorì rigoglioso che nel Settecento. Al suo tempo ebbe l'incondizionata adorazione dei contemporanei; fu posto tra i tre grandi numi tutelari della pittura veneziana (alla quale, poi che si faceva per via dell'eredità tizianesca piuttosto nebulosa, diede quasi una nuova verginità); rialzò il tono emotivo della città inspirandole una rinnovata e trionfante gioia di vivere. ׫P. V. educò all'arte i figli Carlo e Gabriele, e il fratello minore Benedetto: v. Caliari, Carlo; Caliari, Benedetto. 

martedì 22 luglio 2025

Corso di Storia dell'arte: 147 Brueghel il Vecchio 1526

Pieter Brueghel il Vecchio 1526

Famiglia di pittori e incisori fiamminghi:  (n. tra il 1526 e il 1531 probabilmente a Breda - m. Bruxelles 1569), scolaro in Anversa di P. Coeck, poi di H. Cock, intraprese nel 1553 un viaggio in Italia che non ebbe tuttavia influenza sul suo sviluppo artistico. Egli rimase fedele alla visione realistica dei vecchi Fiamminghi, anzi l'accentuò, e le sue numerose stampe s'ispirarono al folclore fiammingo, evocando scene popolari, illustrando proverbî e ricordando anche l'immaginazione fantastica di H. Bosch. Stabilitosi a Bruxelles vi dipinse una serie di capolavori di una singolare originalità, rappresentandovi scene tratte dalla Bibbia, dai proverbî, dalla vita del popolo (opere nella maggior parte nel museo di Vienna, dove sono pure quattro grandi paesaggi che sembrano avere appartenuto a una serie di dodici mesi). In questi dipinti, come nella Parabola dei ciechi (Napoli), nel Censimento di Betlemme (Bruxelles) e nella Conversione di s. Paolo (Vienna), si può dire che nasca il paesaggio impressionistico, reso in modo nuovo per mezzo dell'atmosfera e della gradazione della luce. Invece il Banchetto di nozze, la Kermesse, la Danza dei contadini (Vienna) sono improntati a un realismo che cerca di cogliere e approfondire il caratteristico con acuta e appassionata indagine. Il B. fu l'unico pittore fiammingo originale del sec. 16º. n Il figlio Pieter il Giovane, detto anche "degl'Inferni" (Bruxelles 1564 circa - Anversa 1637-38), fu imitatore fedele del padre; ebbe il soprannome da certi quadri in cui dipinse, spesso su rame in formato piccolo, scene infernali: composizioni più artificiali che artistiche. L'altro figlio, Jan, detto "dei Velluti" (1568-1625), fu in Italia (1592-96); dipinse numerosi paesaggi di carattere decorativo in cui tuttavia non manca mai l'elemento realistico. Jan B. ebbe due figli. Il primo, Jan il Giovane (Anversa 1601 - ivi 1678), fu in Italia dal 1622 al 1625; dipinse soggetti sacri e profani (con finezza, ma senza molta invenzione, continuando l'arte del padre con successo) e anche quadri di fiori. Genere che fu trattato con preferenza dal fratello Ambrosius (1617-75). Dei sette figli di Jan il Giovane, di cui cinque esercitarono il mestiere del padre, ricordiamo Abraham, detto il Napolitano (1631-90), valentissimo pittore di fiori; dopo un lungo soggiorno a Roma, si trasferì a Napoli, dove rimase fino alla morte. Subì fortemente l'influsso di Mario de' Fiori, contribuì allo sviluppo della pittura di fiori a Napoli. Un fratello minore di Abraham, Giovanbattista (Anversa 1647 - Roma 1719), fu pittore di nature morte.

lunedì 21 luglio 2025

Corso di Storia dell'arte: 146 Tintoretto 1518

Iacopo Robusti detto il Tintoretto 1518




Pittore (Venezia 1518/1519 - ivi 1594), dovette il soprannome alla professione di tintore esercitata dal padre. Uno dei massimi innovatori del Rinascimento veneziano, fin dalle sue prime opere si nota una forte impronta della cultura figurativa del manierismo. Il pittore armonizzò la tradizione veneta di Giorgione e Tiziano, basata sulla funzione espressiva autonoma del colore, con la cultura fiorentina e romana, rivolte al ruolo primario del disegno. Di particolare rilievo nella sua produzione pittorica sono le tele della Scuola di S. Rocco, realizzate in tre cicli tra il 1564 e il 1587.Vita e opereLe fonti riferiscono di un suo breve e contrastato periodo di formazione nella bottega di Tiziano, ma la critica moderna ha piuttosto ipotizzato come suoi maestri ora Bonifacio de' Pitati, ora Paris Bordone, ora Andrea Schiavone col quale, secondo C. Ridolfi, il T. collaborò a una serie di pannelli per cassoni. I valori lineari e dinamici che segnano già le sue prime opere indicano il suo profondo interesse per le esperienze manieriste dell'Italia centrale, conosciute attraverso stampe e disegni: a parte un tardo soggiorno a Mantova (1580) il T. infatti non si mosse mai da Venezia, dove la sua opera occupa un posto importante e particolare, rivolta prevalentemente a una committenza di confraternite e comunità religiose, in contrasto con i modi pittorici apprezzati dall'aristocrazia veneziana che trovano nell'arte di Paolo Veronese l'espressione più compiuta. Nella sua vastissima produzione emergono le linee essenziali della sua ricerca che, privilegiando composizioni decentrate, direttrici diagonali, audaci scorci e un particolare intenso luminismo, raggiunse una grande forza narrativa ed emozionale. Anche la rapidità di esecuzione (la prestezza ricordata nelle fonti) giuoca un ruolo importante nella sua pittura, e i rari disegni preparatorî pervenutici sembrano confermare la sua pratica di far riferimento a modelli tridimensionali illuminati dalla luce artificiale di torce o lampade. E proprio il suo modo complesso, concitato e drammatico di operare, affiancato spesso da modi più rifiniti e raffinati, ha portato a giudizî contrastanti sia tra i suoi contemporanei sia nella critica successiva, ma rivela la sua originale partecipazione alla crisi spirituale e culturale che travaglia l'Italia e l'Europa della seconda metà del Cinquecento. Al 1547-48 risalgono le opere che con più chiarezza mostrano l'avviarsi della sua più originale ricerca: la Lavanda dei piedi (Prado), in origine in S. Marcuola dove si trova anche la prima realizzazione di un tema ripetutamente affrontato dal T., l'Ultima cena; e ancora il Miracolo dello schiavo (Venezia, gallerie dell'Accademia), commissionato dalla Scuola grande di S. Marco, dove la plasticità michelangiolesca delle forme, l'attento studio dei rapporti concatenati tra figura e figura, combinati con l'impostazione tonale di tutta la composizione, raggiungono effetti di enfatica narrazione. Nella Presentazione di Maria al tempio (1552, Venezia, S. Maria dell'Orto), la luce addensata sulla scalinata ha funzione tonale e insieme drammatica; nelle altre tre storie per la Scuola di S. Marco (Rinvenimento del corpo di s. Marco, 1562, Brera; Trafugamento del corpo di s. Marco e Miracolo del naufrago, 1567-68, Venezia, gallerie dell'Accademia) ogni valore tende a subordinarsi alla luce; la forma si alleggerisce nel moto vorticoso che la investe, il colore, in quanto tono, si svaluta, le linee prospettiche sono segnate dai fasci dell'illuminazione improvvisa.La massima fatica del T. è rappresentata dalle tele (una cinquantina circa) della Scuola di S. Rocco. Il pittore vi si dedicò in tre riprese: del 1564-66 sono quelle dell'Albergo (fra cui Cristo davanti a Pilato e la grandiosa Crocifissione); del 1576-81 quelle del salone superiore (con storie del Vecchio e del Nuovo Testamento sul soffitto e Storie di Cristo sulle pareti); del 1583-87 quelle della sala terrena (con Storie della Vergine). Il secondo e il terzo gruppo sono quelli più significativi nella storia dello stile del Tintoretto. Nel Presepio della sala superiore la luce esalta l'arditissima doppia prospettiva delle due scene sovrapposte, puntualizza il senso miracoloso dell'avvenimento. Nei quadri della sala terrena è un continuo superarsi in audacie compositive che avrebbero del paradossale se non fossero condizionate, di volta in volta, dall'ansia appassionata di dar forma nuova e adeguata a un prorompente sentimento. I paesaggi (Fuga in Egitto, S. Maria Maddalena, S. Maria Egiziaca) si accendono di bagliori fosforescenti che penetrano nella forma delle cose e delle figure sostanziandola, annullano quasi, addirittura trasfigurano, i colori in un'unica dorata tonalità, precorrendo alcune soluzioni rembrandtiane; lo spazio si estende in una illusione d'infinito. Il complesso della Scuola di S. Rocco è stato preceduto, affiancato e seguito da innumerevoli altre opere, di cui non si possono citare che le più importanti: quadri profani, come la Liberazione di Arsinoe (1550 0 1570, Dresda, Gemäldegalerie), Susanna e i vecchioni (1560 circa, Vienna, Kunsthistorisches Museum), Venere, Vulcano e Amore (1551 circa, Firenze, Galleria Palatina), Danae (1580 circa, museo di Lione) e le tele decorative nel Palazzo Ducale di Venezia (atrio, sala delle quattro porte, Anticollegio, Collegio, sala dello Scrutinio); potenti ritratti come quello, più bello fra tutti, di Iacopo Soranzo (1550 circa, Milano, Museo del Castello Sforzesco); infine i moltissimi quadri religiosi - alcuni di grandissime proporzioni - che adornano le chiese di Venezia, come S. Luca e s. Matteo in S. Maria del Giglio (1557), l'Adorazione del vitello d'oro e il Giudizio finale nella Madonna dell'Orto (1560), la decorazione della chiesa di S. Rocco (1549-67), la Cena in S. Paolo (1565-70), Le tentazioni di s. Antonio, in S. Trovaso (1577), l'Orazione nell'orto in S. Stefano (1580 circa). Gli ultimi lavori del vecchio T. non furono di minore impegno: basti pensare all'immenso Paradiso nella sala del Maggior consiglio in Palazzo Ducale (bozzetto al Louvre), cui il maestro pose mano nel 1588, e le tele di S. Giorgio Maggiore (La caduta della manna e L'ultima cena) del 1594.

domenica 20 luglio 2025

Corso di Storia dell'arte: 145 Bronzino 1503

Agnolo Tori detto il Bronzino 1503

Pittore e poeta fiorentino, nato il 17 novembre 1503, morto il 23 novembre 1563; figliolo di Cosimo di Mariano, d'una famiglia oriunda da San Gimignano trasferitasi in Firenze. Alcuni scrittori dànno al B. il casato di Allori (v.) confondendolo con quello di Alessandro Cristofano di Lorenzo (1535-1607) ritenuto da alcuni nipote del B., mentre non fu effettivamente che suo discepolo. I fatti principali della vita e dell'arte del B. sono questi: 1522-25, dipinge alla Certosa di Val d'Ema, presso Firenze, in due archi sopra la porta che va dal chiostro grande in capitolo, una Pietà fra gli Angeli e un San Lorenzo; 1524-26, dipinge a Firenze nella cappella di Lodovico Capponi in Santa Felicita due tondi a olio con teste di Evangelisti; nel chiostro della chiesa di Badia una Storia della vita di San Benedetto, che è andata perduta; 1530-33, è chiamato a Pesaro da Guidobaldo II duca d'Urbino e alla villa detta l'Imperiale dipinge in una volta le Storie della vita di Francesco Maria della Rovere, ormai quasi cancellate; dipinge poi il ritratto del duca Guidobaldo (Galleria Palatina, Firenze); 1533, richiamato insistentemente dal Pontormo, torna a Firenze e aiuta il maestro a finire gli affreschi della villa medicea di Poggio a Caiano (il Pontormo aveva dipinto durante la sua assenza Venere e Amore, su cartone di Michelangelo, Galleria degli Uffizî, Firenze, opera che dovette impressionare molto il B., inducendolo ad una maggiore plasticità); 1534-40, dipinge i ritratti di Bartolomeo e di Lucrezia Panciatichi; di Ugolino Martelli, del Giovane dal liuto (Galleria degli Uffizî, Firenze), forse quello dello Scultore (Louvre, Parigi); 1536, collabora col Pontormo negli affreschi, ormai scomparsi, della villa medicea di Careggi, eseguendo la parte più importante di essi; 1537-42, idem, negli affreschi della villa medicea di Castello, anch'essi periti; 1539, fa due storie di chiaroscuro nel cortile del palazzo Medici in via Larga, in occasione delle nozze del duca Cosimo con Eleonora di Toledo; 1540, entra al servizio del duca Cosimo in qualità di pittore di Corte. S'inizia da allora la serie dei ritratti della famiglia Medici, fra i quali quelli di piccole dimensioni, dipinti su piastra di stagno, di tutti gl'illustri uomini di Casa Medici, eseguiti per lo studiolo di Cosimo fatto dal Vasari in Palazzo Vecchio (una parte di tali ritrattini si trova nella Galleria Palatina di Firenze); 1545-1564, dipinge la cappella di Eleonora di Toledo in Palazzo Vecchio: gli affreschi delle pareti con le Storie di Mosè, quello della vòlta con le apoteosi di San Francesco, di San Girolamo, di San Giovanni, dell'Arcangelo Michele; la pala a olio dell'altare con la Deposizione dalla Croce; le ali laterali dell'altare medesimo, raffiguranti l'Annunciazione (tale cappella costituisce una specie di sintesi dell'arte del B.); 1546 circa, dipinge - forse su cartone di Michelangelo - il quadro Venere, Cupido, la Follia e il Tempo, altrimenti detto La Verità e la Calunnia (Galleria nazionale, Londra); 1552, per la cappella di Giovanni Zanchini, in Santa Croce, dipinge la grande tavola Cristo al Limbo, va a Pisa chiamatovi dal duca Cosimo, fa alcuni ritratti per il medesimo, dipinge quello di Luca Martini, ingegnere delle bonifiche (Galleria Palatina, Firenze); si trattiene a Pisa per dipingere una tavola da collocarsi nel duomo di quella città; 1558, dà termine agli affreschi del Pontormo nell'abside della chiesa di San Lorenzo, rimasti interrotti per la morte del maestro; 1561, il granduca Cosimo lo chiama a riformare la Compagnia del Disegno, della quale il B. diviene uno dei consoli; 1565 circa, per incarico del granduca dipinge una Deposizione per la chiesa dei Frati Zoccolanti di Cosmopoli (Portoferraio) all'isola d'Elba (Galleria d'arte antica e moderna, Firenze), e una Natività per la chiesa dei cavalieri di Santo Stefano a Pisa (Museo di Budapest?); 1569, termina l'affresco dell'Apoteosi di San Lorenzo Martire nella chiesa di San Lorenzo. La forrmazione della sua personalità artistica fu piuttosto lenta. Da ragazzo era stato messo dal padre ad apprendere presso un anonimo pittore, ma né costui, né Raffaellino del Garbo, nella cui bottega Agnolo passò più tardi, si possono considerare come suoi veri maestri, più che maestro, padre all'anima all'ingegno, gli fu Iacopo Carrucci, detto il Pontormo, da cui il B. attinse, se non lo spirito, l'essenza tecnica del proprio stile. La prima evidente prova che il B. diede del suo talento fu il ritratto di Guidobaldo duca d'Urbino, dipinto intorno al 1533. In una serie successiva di ritratti dipinti fra il 1533 e il 1540 (quelli di Bartolomeo e di Lucrezia Panciatichi, di Ugolino Martelli, forse anche quello dello Scultore al Louvre) il B. rivela tutta la maturità della sua arte e del suo ingegno. In seguito, la maniera del B. si evolverà verso un senso più astratto della forma, una maggiore acutezza e fermezza di disegno, una semplificazione sempre più scultoria dei piani e dei volumi. L'arte del B. è come un riflesso freddo e pacato, un'algida ossidazione di quella di Michelangiolo e del Pontormo. Tutte le immagini del vero sensibile, il colore compreso, appaiono nei quadri di cotesto pittore filtrate e sublimate attraverso a una scienza vigile e sicura, che solo in grazia della sua intensità e perfezione attinge la lirica e diviene arte. La pittura, nel B., tende al rilievo e alla sodezza della scultura; le figure dànno piuttosto il senso del marmo gelido, duro, polito, che quello delle vive carni; e tutte le forme indistintamente, anche le più minute, sembrano scolpite o sbalzate, tanto i loro contorni sono vivi, netti, palesi. L'acuto senso estetico dei Fiorentini, dopo le sapienti esperienze dei Quattrocentisti, trova nel B. la sua conclusione e il suo punto morto. Non è da escludersi che attraverso gli esempî di Piero di Cosimo (v.), come nel ritratto di dama intitolato La Maddalena nella galleria Corsini di Firenze, il B. abbia accolto le suggestioni della puntualità veristica fiamminga, che fu peraltro elevata da lui ad un'eccezione tutta metafisica e platonica, giusta l'atmosfera spirituale che la cultura. umanistica e il genio di Michelangiolo avevano creato in Firenze. Il B., considerato in passato artista di scarso valore, soltanto ai nostri giorni ha ricevuto dalla critica una precisa valutazione che gli assegna un equo posto, subito dopo gli astri maggiori del Rinascimento maturo, a fianco del Pontormo, piuttosto sopra che accanto ad Andrea del Sarto, e ben più alto, certamente, dello stuolo dei michelangioleschi fiorentini, nel cui mazzo per l'addietro veniva confuso. Il B. si dilettò anche di lettere e fu poeta forbito e vivace, se non originale. Il platonismo e il petrarchismo, allora in voga, gli fecero scrivere sonetti dedicati alle virtù più che alla bellezza di Laura Battiferri, gentildonna letterata moglie dell'Ammannati. Ma scrisse anche capitoli umoristici e salaci, alla maniera bernesca, pieni di vita e di brio. Fu accademico della Crusca e come tale difese la purezza e l'aristocrazia dell'idioma fiorentino, senza peraltro irrigidirsi nel misoneismo pedante dei puristi.

sabato 19 luglio 2025

Corso di Storia dell'arte: 144 Parmigianino 1503

Francesco Mazzola detto il Parmigianino 1503

Pittore e incisore, nacque a Parma l'11 gennaio 1503, morì a Casalmaggiore il 24 agosto 1540. Fu figlio di Filippo Mazzola, imitatore, come un altro parmense, Cristoforo Caselli detto il Temperello, di forme belliniane a lui giunte attraverso gl'insegnamenti di Francesco Tacconi. Nulla si sa dalle fonti circa l'educazione di Francesco, nelle cui opere non è traccia di ricordi dell'arte paterna. Certo egli si formò sul Correggio, come dimostrano gli affreschi in S. Giovanni Evangelista di Parma, sue pitture giovanili più note, da ascriversi circa al 1521, e anche i suoi disegni antecedenti al 1523. Nel 1523, a Roma, è presentato a papa Clemente VII, allora eletto, e in quello stesso anno dipinge la Sacra Famiglia degli Uffizî, con la Maddalena, ove appaiono sintomi di manierismo raffaellesco. Mentre stava lavorando alla Madonna Bufalini, tra i più notevoli esempî di trasfigurazione stilistica d'elementi romani e correggeschi, nel 1527 venne fatto prigioniero durante il sacco di Roma. Riacquistata la libertà, in quello stesso anno si reca a Bologna, ove dipinge per la cappella Gamba in S. Petronio la Madonna con Bambino e Santi, ora nella Pinacoteca Civica, ove il suo stile trova l'espressione più tipica nelle forme allungate e flessibili, nelle tortuosità di una linea ondulata e labile. Nell'agosto del 1529 è collocata nella chiesa di S. Margherita la pala della Madonna detta appunto di S. Margherita, ora nella pinacoteca di Bologna. Nel 1530 ritrae l'imperatore Carlo V durante il suo soggiorno in quella città, forse nel cartellone allegorico tutto sottigliezze di trame lineari, ora appartenente alla galleria Cook a Richmond. Il 10 maggio si stringe il contratto per gli affreschi di vòlta e catino della cappella maggiore di S. Maria della Steccata, lavoro interrotto per il malcontento causato dalla lentezza con cui procedeva. Nel 1531, nella rocca di Fontanellato, affresca la volta di una stanza terrena con scene del mito di Diana e Atteone, su fondo di pergole fiorite, tra motivi di fiori e frutta, d'un correggismo deliziosamente raffinato e capriccioso. Il 23 dicembre del 1534 riceve da Elena Baiardo, sposa di Francesco Tagliaferri, il pagamento per quella pala della Madonna detta dal collo lungo, che è come la sigla del manierismo parmigianinesco. Il 27 settembre del 1535 stringe contratto col cavalier Baiardo per iI Cupido che prepara l'arco, ora nel museo di Vienna. Nel 1540, a Casalmaggiore, dipinge per la chiesa di S. Stefano la pala della Madonna con i Santi Stefano e Giovanni Battista, ora a Dresda, nella Galleria. Sopra motivi correggeschi della camera di S. Paolo e della chiesa di S. Giovanni, il P. ha composto la decorazione ad affresco nella stessa chiesa, derivando dal Correggio la fluidità delle immagini rese leggiere da una densa atmosfera e il mobile chiaroscuro, che anima i fondi marmorei e accende nell'ombra le corolle dei fiori. Ma già la maniera elegante del P. si afferma nel profilo tenue e inarcato di S. Lucia, come nella sagoma svelta di un'anfora tra le panoplie dei sottarchi; e la vita erompe con impeto dinamico ignoto al Correggio dal gruppo di S. Isidoro col cavallo inalberato, dove tutte le linee sono trasverse e ardite, e tutto fiammeggia: la criniera del cavallo, le strisce dell'armatura del santo, la stoffa arrovellata dello stendardo. L'effetto illusionistico delle masse erompenti dall'arcata, l'effetto decorativo violento e fantastico, ci presentano qui il P. nell'aspetto di un Pordenone emiliano. La prima opera dove s'insinua qualche elemento raffaellesco è la pala d'altare con S. Maddalena agli Uffizî di Firenze, ove si vedono in pose statuarie le figure della Madonna e della Santa. Spunta il manierismo in queste due figure e nell'altra, di detestabile gusto, del Santo tronco dalla cornice; ma l'originalità stilistica del Parmigianino s'imprime nella sinuosa eleganza di una linea labile, che scivola sulla forma, suggerendola con leggerezza estrema, e nel segno arricciato e nervoso, che vibra alla luce, e si diffonde dalle figure al paese vario, pittoresco, tutto scabrosità e inuguaglianze, minuto e rapido. Raffaello insieme con il Correggio è presente al P. anche nella Visione di S. Girolamo della Galleria Nazionale di Londra, ma i baleni infondono vita impetuosa e fugace all'immagine del Battista come sospesa nell'ombra, in equilibrio instabile; e i contorni agili e leggieri del gruppo divino sembrano dissolversi e continuarsi nei brividi di luce di un alone sulfureo. Le ombre s'addensano nello Sposalizio di S. Caterina della Pinacoteca civica di Bologna, esempio tipico di manieristiche eleganze; la figura affusata della Santa s'avvolge nel manto come in una guaina; le capigliature crespe son tutte un brulichio di luce. Prossimo di tempo agli argentini affreschi del palazzo Sanvitale a Fontanellato è un gruppo di quadri che ci presentano l'arte del P. nel momento della più perfetta attuazione del suo stile pittorico: il Presepe della galleria Cook a Richmond, delizioso capriccio decorativo, dove l'eleganza fiorisce spontanea dal fresco gruppo delle figure, dalle acque di seta chiara, dalle ombre verdi del fogliame, a contorni indecisi e leggieri, a chiazze impressionistiche. I chiari predominano, con piumosa morbidezza; e i radi scuri intensi, le chiome di Maria, le ombre sotto l'arco del ponte, le chiazze del fogliame, vi acquistano vivezza di macchia. La Natività della Galleria Doria è una delizia di contorni instabili, di forme che s'accentuano e dileguano con l'ombra e la luce, di linee che s'annodano e si snodano nella lieve ghirlanda umana. Come in un cocchio di fiori che scorra per le vie del cielo, passa la Vergine con Gesù, la piccola S. Caterina e gli Angioli, nel quadro dello Sposalizio di S. Caterina, a Parma, sogno di eleganze parmigianinesche espresso mediante linee fluenti, deliziosa instabilità di contorni, delicatezza di vesti velate, di teste ricciute, di mani fogliacee. Non risponde a tanta grazia di trame compositive la Madonna col Bambino e Angioli della Galleria Pitti, che è il punto d'arrivo del più artificioso e perfetto manierismo parmigianinesco, l'applicazione più studiata del suo formulario estetico, tanto che la colonna fortemente rastremata dietro il seggio e l'anfora tenuta fra le braccia da un'angelo, appaiono come simboli della forma muliebre, che sboccia ovoidale nel contorno dei fianchi e si restringe all'estremo. Mirabile ritrattista fu il P. La cosiddetta cortigiana Antea del Museo di Napoli si disegna sul fondo verde come incisa nel marmo da un contorno penetrante e adamantino, che preludia alle castigate eleganze di un Ingres, pure essendo tipicamente parmigianinesco per il segno vibratile e deciso, la sinuosità dei lineamenti, la sottigliezza delle armonie cromatiche, il contorno preciso e conciso. Raffinata espressione di eleganze lineari e di sottigliezze pittoriche è l'autoritratto degli Uffizî, veduto traverso il velo di un liquido e trasparente chiaroscuro, come riflesso da specchio. Bello, raffinato nella cravatta a punte lanceolate, nella posa della mano aristocratica, sotto le falde mobili di un cappello nero, si presenta l'aristocratico signore, il sovrano delle cinquecentesche eleganze. Sinché, nel ritratto di giovanetta a Napoli, prossimo, per nerveggiata linea e snellezza di sagoma, ai ritratti del Pontormo, sembra che il gran nodo di stoffa bizzarramente formi la persona slanciata e acuta come un fioretto, nella sua mossa nervosa, di tutta tensione. Meglio che nei quadri, il valore pittorico del P. si esprime nelle incisioni, che più delle pitture contribuirono a crear la moda artistica parmigianinesca in Italia. Gran signore, perfetto aristocratico è il P., che ama soprattutto l'eleganza di un contorno, la purezza di sagoma delle forme modellate come in stampi preziosi da un sapiente vasaio: le anfore, che egli predilige quali ornamenti, sino dagli affreschi giovanili di S. Giovanni, appaiono come simboli del suo ideale estetico. Egli è un raffinato, un principe della moda, un esteta che giunge per sottili ragionamenti all'arte, piuttosto che un pittore nato, un pittore d'istinto, quale fu il suo contemporaneo Correggio. Padre dell'acquaforte italiana, le sue incisioni diffusero stilistiche eleganze dall'Emilia alla Toscana, a Roma, all'Italia settentrionale: raggiunsero il Pontormo nel mondo inquieto del manierismo toscano; raggiunsero Paolo Veronese, nel suo regno di colore.

venerdì 18 luglio 2025

Corso di storia dell'arte: 140 Cellini 1500

Cellini 1500

Cellini, Benvenuto. - Orafo, scultore e scrittore d'arte (Firenze 1500 - ivi 1571). Di natura irrequieta e violenta, ebbe una vita avventurosa, segnata da contrasti, passioni, delitti, per i quali fu spesso costretto all'esilio o alla fuga. Si formò giovanissimo presso le botteghe di orafi famosi a Firenze, dedicandosi, per volere del padre Giovanni, ingegnere e musico, anche allo studio della musica. La precoce abilità di orafo lo rese presto famoso: lavorò a Roma per un lungo periodo (1519-40, interrotto da brevi soggiorni a Firenze, Mantova, Ferrara, Venezia), protetto da Clemente VII, per il quale elaborò sigilli, monete, medaglie ecc. In Francia (1540-45), per Francesco I creò, oltre a oggetti di raffinata ricercatezza (la famosa saliera con le figurazioni di Nettuno e la Terra, 1543, Vienna, Kunsthist. Mus.), anche, per la prima volta, opere di grande formato (rilievo in bronzo con la cosiddetta Ninfa di Fontainebleau, 1543-44, Louvre). A Firenze, ben accolto da Cosimo I, ebbe l'importante commissione del Perseo per la Loggia dei Lanzi: realizzata (1545-54) con una perfetta tecnica fusoria, l'opera presenta nella statua bronzea del protagonista, così come nelle elaborate soluzioni della base marmorea (le statuine originali di Giove, Danae con Perseo fanciullo, Minerva e Mercurio, sono al Mus. naz. del Bargello), complessi richiami all'arte del Quattrocento e al gusto contemporaneo. A Firenze realizzò ancora il busto bronzeo di Cosimo (1545-47) e, in marmo, il gruppo di Apollo e Giacinto (1545), il Narciso (1547-48), tutti al Mus. naz. del Bargello, e il Crocefisso (1556-62), ora all'Escorial, opere nelle quali si manifesta un'acuta adesione al gusto manierista. L'ultima parte della vita del C. fu miserabile, piena di amarezze, solitaria, allietata soltanto dalla stesura della sua autobiografia (1558-66). Pubblicata la prima volta solo nel 1728, la Vita parve subito un capolavoro singolare del Rinascimento, per l'immediatezza e sincerità nella narrazione, che ritrae in uno stile liberissimo (anche dalle regole grammaticali), potente nella sua vivacità, l'appassionata, libera, prepotente e bizzarra personalità dell'artista. Lasciò anche Rime (ed. 1891), due trattati, Sull'oreficeria e Sulla scultura (composti tra il 1565 e il 1567, stampati nel 1568), e altri scritti sull'architettura e sull'arte del disegno.

giovedì 17 luglio 2025

Corso di storia dell'arte: 139 Rosso Fiorentino 1495

Rosso Fiorentino 1495


Rósso Fiorentino, Il. - Nome con cui è noto il pittore Giovanni Battista di Iacopo de' Rossi (Firenze 1495 - Parigi 1540). Tra i maggiori esponenti, con il Pontormo e D. Beccafumi, del primo manierismo fiorentino, rivelò il suo stile originale e inquieto già nelle opere giovanili, uno stile personalissimo basato su un disegno fluido ma angoloso, su un colore squillante ma non profondo in composizioni che si sviluppano verso l'alto in superficie, più che in profondità. Operò soprattutto nell'Italia centrale e dal 1530 in Francia, dove il suo stile vario e affinato contribuì alla formazione della scuola di Fontainebleau, influenzando fortamente lo sviluppo del manierismo internazionale. Si formò a Firenze nell'orbita di Andrea del Sarto; lo studio dell'opera di Michelangelo, e in particolare del cartone della Battaglia di Cascina, fu per R. importante fonte di ispirazione. La prima opera certa è l'affresco con l'Assunzione nel chiostrino dei voti della Ss. Annunziata (variamente datata al 1513-14 o al 1517), ancora vicina ai canoni di Andrea del Sarto, ma dove la trattazione del panneggio e gli squillanti effetti di luce già preludono all'ulteriore sviluppo dello stile  del pittore. Del 1518 è la Madonna e quattro santi (Uffizi), rifiutata dal committente L. Buonafede, forse per l'eccessivo espressionismo delle figure. Le opere di questo periodo riflettono influssi del Pontormo; l'asprezza quasi brutale dei dipinti del R., animati da una carica anti-idealistica e antinaturalistica, l'uso di una linea spezzata e di sfaccettature di colore sono evidenti nella Deposizione (1521, Volterra, Pinacoteca), considerata il suo capolavoro, caratterizzata da forme quasi cubizzanti, dal colore acceso e da una costruzione astratta e geometrica. A Firenze eseguì ancora la Pala Dei (1522, Galleria Palatina), lo Sposalizio della Vergine (1523, S. Lorenzo), Mosè e le figlie di Ietro (Uffizi), una delle sue composizioni più astratte, dipinta insieme alla perduta Rebecca ed Eleazaro al pozzo (ne esiste una copia a Pisa, Museo di S. Matteo). A questi anni risale l'unico ritratto firmato del R., l'Uomo con elmo (Liverpool, Walker art gallery) a cui si può avvicinare il Ritratto maschile (Washington, National gallery of art), dall'analoga impostazione della figura contro uno sfondo neutro; forse di poco successivo è il Ritratto di un giovane seduto su un tavolo (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte). Intorno al 1523 era a Roma, dove eseguì gli affreschi della cappella Cesi in S. Maria della Pace (1524) e fornì disegni per incisioni (tra questi, le serie degli Dei e delle Fatiche di Ercole, incisi da G.I. Caraglio); il soggiorno romano fu fondamentale per la conoscenza di Perin del Vaga, di Parmigianino e delle opere romane di Michelangelo. Fuggito in seguito al Sacco del 1527, a Sansepolcro dipinse la Deposizione (1527-28, S. Lorenzo) e a Città di Castello la Trasfigurazione (1528, duomo). Nel 1530 si recò in Francia, dove fu pittore ufficiale della corte e lavorò alla decorazione del castello di Fontainebleau (Galleria di Francesco I, in collab. con F. Primaticcio, 1532-37). A Parigi eseguì la Pietà (Louvre); tra le ultime opere è la Sacra Famiglia (Los Angeles, County museum of art).

mercoledì 16 luglio 2025

Corso di storia dell'arte: 138 Pontormo 1494

Pontormo 1494



Pontórmo, Iacopo Carrucci (o Carucci) detto il. - Pittore (Pontormo, oggi Pontorme, presso Empoli, 1494 - Firenze 1557).  Fu esponente della cosiddetta prima maniera, che preannunciò il manierismo. Le sue opere presentano sempre bellezze originali e raffinate per eleganza e potenza di disegno, per delicatezza di tocco e di tonalità e per sensibilità e passione intima. P. rimase sempre eccellente nei ritratti, pieni di intimità psicologica e di sensibilità nervosa, dei quali si conserva buon numero in collezioni pubbliche e private. Principali scolari del P. furono il Bronzino e Battista Naldini. Documentato a Firenze dal 1508, dopo un alunnato presso Piero di Cosimo e M. Albertelli passò, nel 1512, nella bottega di A. Del Sarto con il quale lavorò, secondo il Vasari, fino al 1514 assorbendone soprattutto gli equilibrati schemi compositivi (decorazioni per i carri carnevaleschi del 1513; stemma di Leone X e affresco con la Fede e la Carità sul portico della Ss. Annunziata, 1513-14). Dal 1514 ottenne le prime importanti commissioni: agli affreschi raffiguranti la Madonna e quattro santi (1514, proveniente da S. Rufillo, oggi alla Ss. Annunziata) e la Visitazione (1514-18, Ss. Annunziata, chiostrino dei voti) seguirono le decorazioni della sala papale nel convento di S. Maria Novella (1515) che attestano la profonda riflessione sui modelli michelangioleschi, i pannelli decorativi, in collaborazione con A. Del Sarto, Bachiacca e F. Granacci, per la camera nunziale di P. F. Borgherini (Storie di Giuseppe, 1515-18, Londra, National Gallery) e, tra il 1517 e il 1518, la pala Pucci (S. Michele Visdomini) caratterizzata da una nuova tensione psicologica e compositiva e da una incisività d'ascendenza nordica, derivata in particolare dalle stampe di Dürer. Nel 1518, il favore dei Medici gli valse la commissione per un ritratto commemorativo di Cosimo il Vecchio (Uffizi) e l'incarico di decorare due lunette affrontate nella sala principale della villa medicea a Poggio a Caiano; nel 1521, la morte di Leone X interrompeva i lavori consentendogli di portare a termine solo una delle lunette. L'opera, che rappresenta uno dei momenti più sereni dell'artista, raffigura, con un equilibrio e una freschezza cromatica lontani dalla ossessione delle forme michelangiolesche e dal pathos nordico, le divinità agresti Vertumno e Pomona. Rifugiatosi con l'allievo Bronzino nella certosa di Galluzzo per sfuggire alla peste (1523-25), il P. vi eseguì una serie di storie della Passione (pinac. della Certosa di Galluzzo), una Natività del Battista e una Cena in Emmaus (Uffizi) nelle quali predominano un senso patetico e allucinato e un colore trasparente, astratto, d'intensa luminosità che troverà piena espressione nei capolavori di questo periodo: la decorazione della cappella Capponi in S. Felicita (1525-28, pala con la Deposizione; affresco con l'Annunciazione; i Quattro evangelisti nei tondi, su tavola, dei pennacchi in coll. con il Bronzino), la Visitazione (1528, Carmignano, pieve di S. Michele) dall'insolita iconografia, e la pala di S. Anna (1529, Louvre). Al ritratto di Alessandro de' Medici (1525, Philadelphia, Museum of art) che prelude a una serie di figure fluide e allungate dall'originale taglio compositivo (Alabardiere, 1527-28, Malibu, J. Paul Getty Museum), seguirono le decorazioni ad affresco, ricordate dal Vasari, per le ville medicee di Careggi (1535-36) e di Castello (1537-43), entrambe perdute. Nel 1546 oltre ai cartoni per arazzi con storie di Giuseppe destinati a Palazzo Vecchio (Roma, Quirinale), il duca Cosimo affidò a P. la decorazione con storie bibliche del coro di S. Lorenzo. Quest'ultima commissione che lo assorbì per il resto della sua vita, restando peraltro incompiuta, è valutabile da un gruppo di disegni preparatori (Uffizi) che attestano il carattere monumentale dello stile tardo dell'artista il quale, esasperando l'insegnamento michelangiolesco, giunse a un tormentato dinamismo plastico e compositivo (gli affreschi, completati dal Bronzino, furono scialbati nel 1742). Un diario degli ultimi due anni della sua vita è conservato nella Biblioteca nazionale di Firenze.

martedì 15 luglio 2025

Corso di storia dell'arte: 137 Romano 1492

Romano 1492


Giùlio Romano. - Nome con cui è noto il pittore e architetto Giulio Pippi (Roma 1492 o 1499 - Mantova 1546), il più fedele allievo di Raffaello. Collaborò ai cartoni per gli arazzi della Cappella Sistina (1515) ed eseguì affreschi nella stanza detta dell'Incendio di Borgo, nelle Logge Vaticane (1517-19, in collaborazione con Girolamo da Udine), nella loggia di Psiche e a villa Madama, di cui seguì anche le vicende architettoniche. Dopo la morte di Raffaello portò a termine, con G. Penni, la decorazione delle Stanze Vaticane e dipinse numerose tele: Madonna col bambino (Roma, Galleria naz. d'arte antica), Martirio di s. Stefano (Genova, S. Stefano), Madonna della gatta (Napoli, museo di Capodimonte), ecc. Fedele al classicismo raffaellesco, trascurò tuttavia la morbidezza del colorito per uno stile più duro ed incisivo, con forti risalti chiaroscurali e lumeggiature metalliche. A Roma gli vengono attribuiti numerosi progetti (villa Lante sul Gianicolo; il bagno di Clemente VII a Castel Sant'Angelo; i palazzi Cicciaporci, Adimari-Salviati e Cenci-Maccarani) che dimostrano una personalità originale. Chiamato a Mantova nel 1524 e nominato da Federico II Gonzaga prefetto generale delle fabbriche, diede, tra l'altro, progetti per il palazzo Marmirolo, l'interno del Duomo, il Mercato del pesce e il palazzo del Te, dove il suo manierismo latente si manifestò ampiamente anche nei rafforzati effetti plastici e monumentali e nei ritmi spezzati e trasgressivi. A Mantova eseguì ancora una Natività (Louvre), la Madonna della Catinella (Dresda, Gemäldegalerie), oltre alla vasta decorazione del palazzo del Te, in cui la ricca decorazione a fresco e a stucco è imperniata sui due temi delle passioni amorose e delle virtù di Federico II.

lunedì 14 luglio 2025

Corso di storia dell'arte: 136 Correggio 1489

Correggio 1489

Corréggio, Antonio Allegri detto il. - Pittore (Correggio 1489 circa - ivi 1534). Scarne sono le notizie sulla sua vita, trascorsa prevalentemente nel paese natale e a Parma: la sua formazione dovette avvenire nel clima culturale mantovano, segnato dall'incisiva lezione del Mantegna e dai nuovi apporti classicisti del Costa. Nella Madonna di S. Francesco (Dresda, Gemäldegal.), commessa nel 1514 dalla chiesa di Correggio, nelle opere che la critica assegna al periodo precedente (Madonna tra angeli musicanti, Firenze, Uffizi; Natività con s. Elisabetta e s. Giovannino, Milano, Brera) e a quello successivo (Congedo di Cristo dalla Madre, Londra, Nat. Gall.; Epifania, Milano, Brera; Madonna Campori, Modena, Gall. Estense; La zingarella, Napoli, Mus. di Capodimonte), nuove suggestioni, da Leonardo a Giorgione, a Raffaello, sono rielaborate in un linguaggio personale che, nella preziosa delicatezza cromatica, nella fluidità delle forme avvolte dalla lieve atmosfera dello sfumato, trasmette una nuova e intensa sensibilità emozionale. Nella decorazione della Camera della Badessa, nel convento di S. Paolo a Parma (1518-19), le allusioni araldiche e mitologiche del complesso programma iconografico si sviluppano armoniosamente nell'organizzazione strutturale della pergola, impostata al di sopra delle lunette monocrome con un originale superamento dell'illusionismo prospettico del Mantegna che richiama esperienze leonardesche (sala delle Asse del Castello di Milano) e soprattutto soluzioni raffaellesche (decorazioni della Farnesina a Roma), tanto da far supporre un viaggio a Roma dell'artista. La decorazione della cupola di S. Giovanni Evangelista a Parma (1520-23), con l'eliminazione di ogni supporto geometrico o architettonico e l'illusione spaziale creata dalla libera composizione delle masse, con gli audaci scorci e il moto vorticoso delle figure, si impone come assoluta novità. Il medesimo principio, più grandiosamente attuato, informa la decorazione della cupola del Duomo di Parma (1526-30) raffigurante l'Assunzione della Vergine. Contemporaneamente le pale d'altare propongono con effetti luminosi dorati (Madonna di S. Girolamo, Parma, Gall. naz.) o suggestivi notturni (Adorazione dei pastori, Dresda, Gemäldegal.) una dinamica impostazione compositiva in diagonale che attrae emotivamente lo spettatore (Madonna della scodella, Parma, Gall. naz.), elementi che informano anche le tele con gli amori di Giove che il C. dipinse negli ultimi anni della sua vita per Federico Gonzaga (Danae, Roma, Gall. Borghese; Leda, Berlino, Staat. Mus.; Io e il Ratto di Ganimede, Vienna, Kunsthist. Mus.).

domenica 13 luglio 2025

Corso di storia dell'arte: 135 Tiziano 1488

 Tiziano 1488




Tiziano Vecellio. - Pittore (Pieve di Cadore 1488-90 - Venezia 1576). Per via della discordanza delle fonti la data di nascita di T., e dunque la definizione della sua presenza nel complesso panorama artistico veneziano dell'inizio del sec. 16°, è questione tuttora non concordemente risolta. Dopo un apprendistato con S. Zuccato, mosaicista, T. fu nella bottega di Gentile Bellini e quindi presso Giovanni Bellini. Il suo orientamento appare subito sicuro e geniale: i suoi riferimenti (Bellini, Giorgione, Dürer, ma anche Raffaello e Michelangelo) si configurano come strumento di aggiornamento e di arricchimento espressivo da parte di una personalità già pienamente indipendente. Tra le prime opere veneziane, accanto alla paletta di Anversa (Musée royal des beaux-arts, 1506 circa), compendio della tradizione belliniana e delle novità tedesche, al giorgionesco Concerto (Firenze, Galleria Palatina), al Cristo portacroce (Venezia, Scuola di S. Rocco), sono gli affreschi del Fondaco dei Tedeschi (1508-09) dove nel 1508 era all'opera Giorgione. Anche dai pochi frammenti rimasti (Venezia, Ca' d'Oro) si delinea la distanza tra i due maestri - anche in quelle opere, vicine per impostazione e tematiche, che hanno indotto incertezze attributive (Concerto campestre, 1509-10, Louvre) e ipotesi diverse di collaborazione (Venere, Dresda, Gemäldegalerie) - soprattutto per l'impostazione monumentale e l'ampia gestualità delle figure, i vivi e luminosi accordi cromatici dei vasti piani di colore, evidenti nella prima opera documentata conservata, gli affreschi della Scuola del Santo a Padova (1511). Nel 1513 T. rifiutò l'invito di P. Bembo a trasferirsi a Roma, e contestualmente offrì i proprî servigi alla Serenissima, impegnandosi a dipingere una Battaglia per Palazzo Ducale (terminata nel 1538). Artista colto, trattò per committenze ufficiali e private le tematiche più diverse: dalla immediata allegoria moraleggiante delle Tre età (1512-13, Edimburgo, National gallery of Scotland) alla complessa e serrata metafora dell'Amor sacro e profano (1514-15, Roma, galleria Borghese), dove l'assenza di notizie certe sulla sua genesi progettuale è alla base della lunga e discorde storia della sua interpretazione da parte della critica. Tra i dipinti religiosi sono l'Assunta (1516-18) di S. Maria dei Frari, grandiosa macchina luminosa e cromatica che si impone come punto focale nell'amplissimo interno della chiesa; la pala Pesaro (1519-26, per la stessa chiesa), dalla nuovissima e suggestiva impaginazione spaziale basata sulle diagonali; la pala Gozzi (1520, Ancona, Pinacoteca Comunale); il polittico Averoldi (1522, Brescia, SS. Nazaro e Celso), in cui T. restituisce unità scenica alla tradizionale divisione in scomparti. Al successo raggiunto in questi anni fa riscontro il favore incontrato presso le corti italiane e europee: per Alfonso d'Este dipinse grandi tele mitologiche (Offerta a Venere, 1518-19, Prado; Bacco e Arianna, 1522-23, Londra, National Gallery; Gli Andri, 1523-24, Prado); numerosi i ritratti per le grandi famiglie, nei quali alla idealizzazione del carattere o alla rappresentazione del ruolo sociale fa riscontro la straordinaria intensità psicologica o emozionale (Carlo V col cane, 1532-33, Prado; Isabella d'Este, 1536, Vienna, Kunsthistorisches Museum; Francesco Maria della Rovere e Eleonora Gonzaga, 1537, Uffizi); per Guidobaldo della Rovere eseguì la Venere di Urbino (1538, Uffizi), allegoria matrimoniale dalla scoperta sensualità. Il confronto con le esperienze manieriste dell'Italia settentrionale e centrale, culminato con il viaggio a Roma del 1545-46, determinò una nuova fase di sperimentazione stilistica: dalla classica dignità formale delle prime opere T. giunse a nuove soluzioni, dove i contrasti chiaroscurali, il plasticismo e il dinamismo compositivo tendono a risolversi nella preziosità del colore e nel libero e accentuato luminismo (Incoronazione di spine, 1542-44, Louvre; Danae, 1544-45, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte; Paolo III con i nipoti, 1546, ivi). Alla risposta decisamente veneziana data da T. alla cultura romana seguirà tuttavia, con i soggiorni ad Augusta del 1548 e del 1550-51, una rarefazione della produzione per Venezia, che corrispose a un impegno crescente per la committenza di Carlo V e di Filippo II di Spagna. Carlo V a cavallo (1548, Prado) è esempio dell'originalità con cui T. sviluppò il "ritratto di Stato"; sempre per Carlo V trattò il tema religioso nella Gloria (1551-54, Prado), immagine di acuta funzionalità teologico-politica, quindi nella Deposizione (1559, ivi), nella S. Margherita (1560-65, ivi). Per Filippo II tornò ad eseguire dipinti mitologici, ma secondo una nuova interpretazione drammatica e negativa (Venere e Adone, 1554, Prado; Diana e Atteone e Diana e Callisto, 1556-59, Edimburgo, National gallery of Scotland; Morte di Atteone, 1570-76, Londra, National Gallery). Alla sofferta meditazione sul destino dell'uomo delle ultime opere fa riscontro la totale dissoluzione della forma, in un linguaggio fatto di tocchi di luce e colore, spesso dato sulla tela direttamente con le dita; una libertà espressiva per la quale T. accettò anche l'inadempienza dello spregiudicato committente spagnolo, che gli permetteva d'altro canto una totale libertà di invenzione e di interpretazione. Punti cruciali e conclusivi di questo itinerario sono l'Incoronazione di spine (1570, Monaco, Alte Pinakothek), il Supplizio di Marsia (1570, Kroměříž, pinacoteca del castello), la Pietà (Venezia, gallerie dell'Accademia), dipinta per la propria tomba e rimasta incompiuta nel suo studio. Il figlio Orazio (n. 1515 circa - m. Venezia 1576) fu suo allievo e collaboratore.

sabato 12 luglio 2025

Corso di Storia dell'arte: 134 Sebastiano del Piombo 1485

Sebastiano Luciani  detto Sebastiano del Piombo 1485

Pittore (Venezia 1485 circa - Roma 1547). Sussiste qualche incertezza, nella storia critica, sulla prima attività di S., coinvolta nella complessa questione dell'attività e dell'influenza di Giorgione a Venezia nel primo decennio del Cinquecento. A parte alcune opere giovanili attribuite in modo non sempre concorde (Sacra famiglia con santi e donatore, Louvre) e un suo probabile intervento, affermato da M. A. Michiel, nei Tre filosofi di Giorgione (Vienna, Kunsthistorisches Museum), le opere dipinte da S. a Venezia tra il 1506 e il 1511, di pubblica destinazione (Giudizio di Salomone, Kingston Lacy, National Trust; pala di S. Giovanni Crisostomo, Venezia; portelle d'organo con quattro Santi, Venezia, S. Bartolomeo a Rialto), fanno supporre tuttavia un suo ruolo di importanza maggiore di quanto non gli sia stato riconosciuto in passato. Tali opere mostrano, oltre a un influsso di Giorgione nei tipi fisici e nella morbidezza dei contorni, l'influenza dell'opera tarda di G. Bellini e un'impostazione monumentale, sottolineata anche dall'ambientazione architettonica, che sarà sempre più sviluppata dall'artista a contatto con l'ambiente romano. Agli ultimi anni veneziani appartengono inoltre la Morte di Adone (Uffizi) e Salomè (Londra, National Gallery). Nel 1511 S. andò a Roma, su invito di Agostino Chigi, per decorare una sala della sua villa suburbana sul Tevere, poi chiamata Farnesina. Qui eseguì il Polifemo e lunette con soggetti mitologici; gli affreschi, eseguiti con qualche incertezza tecnica, sono caratterizzati da un colore brillante e da un dinamismo compositivo che si pone in contrasto con la scansione architettonica della parete. L'incontro con l'opera di Raffaello, attivo nella stessa sala, che si evidenzia soprattutto in alcuni ritratti (La fornarina, Uffizi; Dorotea, Berlino, Gemäldegalerie; Cardinal Ciocchi del Monte, Dublino, National Gallery of Ireland) doveva presto cedere a un netto accostamento all'arte di Michelangelo. La protezione e l'amicizia del maestro procurò a S. importanti committenze, oltre a onori e cariche presso la corte pontificia. Già nella Deposizione (1516, San Pietroburgo, Ermitage) è evidente l'influsso di Michelangelo, che giunse a fornire all'amico disegni preparatorî per varie opere come la Pietà (1516, Viterbo, Museo Civico), la decorazione della cappella Borgherini in S. Pietro in Montorio (1516-24), la Resurrezione di Lazzaro (1517-19, Londra, National Gallery), dipinto su commissione del cardinal Giulio de' Medici in competizione con la Trasfigurazione di Raffaello. La collaborazione con Michelangelo accentuò la tendenza di S. verso la monumentalità compositiva e il plasticismo delle figure, che si unisce al caldo colore veneto. Tali caratteri informano anche gli straordinarî ritratti di eminenti personaggi, settore importante della sua attività (Clemente VII, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte; Andrea Doria, Roma, galleria Doria Pamphili) o le varie immagini di Cristo portacroce (Prado, Ermitage, ecc.). Tra i dipinti religiosi, la Flagellazione (1525, Viterbo, Museo Civico), o la pala della cappella Chigi in S. Maria del Popolo (1532). Dopo la morte di Raffaello, S. fu una delle personalità di maggior rilievo a Roma; dopo il sacco del 1527, e dopo aver assunto la prestigiosa carica di piombatore pontificio (1531), dalla quale derivò il soprannome, rallentò sensibilmente, pur senza interromperla, la propria attività artistica.

Corso di storia dell'arte: Azcona 1988

Azcona 1988 Abel Azcona (Madrid, 1º aprile 1988) è un artista spagnolo specializzato in azioni artistiche. L'artista Abel Azcona durante...