Firenze

Quattrocento
Firenze, sin dall'epoca romanica, restò legata a forme di classicismo, che impedirono l'attecchire di un gusto pienamente gotico, come spopolava invece nella vicina Siena. All'inizio del XV secolo si possono immaginare due strade che si prospettavano agli artisti desiderosi di innovare: quella del gusto Gotico internazionale e quella del recupero più rigoroso della classicità. Queste due tendenze si notano convivere già nel cantiere della Porta della Mandorla (dal 1391), ma fu soprattutto con il concorso indetto nel 1401 per scegliere l'artista a cui affidare la realizzazione della Porta Nord del Battistero, che i due indirizzi si fecero più chiari, nelle formelle di prova realizzate da Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi. La prima fase del Rinascimento, che arrivò fino a circa gli anni trenta del XV secolo, fu un'epoca di grande sperimentazione, caratterizzata da un approccio tecnico e pratico dove le innovazioni e i nuovi traguardi non rimanevano isolati, ma venivano ripresi e sviluppati dai giovani artisti, in uno straordinario crescendo che non aveva pari in nessun altro paese europeo. Tre grandi maestri, Filippo Brunelleschi per l'architettura, Donatello per la scultura e Masaccio per la pittura, avviarono una radicale rilettura della tradizione precedente, attualizzandola con una rigorosa applicazione razionale di strumenti matematico-geometrici: prospettiva, studio delle proporzioni del corpo, recupero dei modi classici e un rinnovato interesse verso il reale, inteso sia come indagine psicologica che come rappresentazione della quotidianità. L'ambiente fiorentino apprezzò in maniera non unanime le novità e per tutti gli anni venti ebbero largo successo artisti legati alla vecchia scuola come Lorenzo Monaco e Gentile da Fabriano. I primi seguaci di Masaccio, la cosiddetta "seconda generazione", furono Filippo Lippi, Beato Angelico, Domenico Veneziano, Paolo Uccello e Andrea del Castagno, che presto presero strade individuali nel campo artistico. Ciascuno di loro, con i rispettivi viaggi (il Veneto, Roma, l'Umbria, le Marche), esportò le novità rinascimentali e sebbene nessuno registrò immediatamente un vasto seguito, essi prepararono il terreno alla ricezione della successiva ondata di influenze fiorentina, quella sostanziale degli anni '50. Più successo, in termini di duratura influenza, ebbero Donatello a Padova (che influenzò soprattutto, per assurdo, la scuola pittorica locale) e Piero della Francesca (allievo di Domenico Veneziano) a Urbino. Accanto questi grandi maestri operarono poi con successo una serie di figure di mediazione, artisti di grande valore che seppero smussare le punte più estreme del nuovo linguaggio adattandole al contesto sociale in cui lavorano: nella prima ora, si registrarono Lorenzo Ghiberti in scultura, Masolino da Panicale in pittura, e Michelozzo in architettura. Teorico del Rinascimento fu Leon Battista Alberti, i cui trattati De pictura (1436), De re aedificatoria (1452) e De Statua (1464) furono fondamentali per la sistemazione e la diffusione delle idee rinascimentali. A lui risalgono idee come quella dell'armonizzazione di copia e varietas, intese come la profusione e la diversità dei soggetti. Negli anni centrali del secolo si registrò una fase più intellettualistica delle precedenti conquiste. A Firenze dopo il ritorno di Cosimo de' Medici in città nel 1434, si instaurò di fatto una signoria. Se da una parte le commissioni pubbliche si ispiravano alla sobrietà e all'utilità, come il palazzo Medici e il convento di San Marco di Michelozzo, per le opere di destinazione privata si andava affermando un gusto intellettualistico nutrito da ideali neoplatonici: ne è un esempio il David di Donatello. Le arti figurative perdevano la loro iniziale carica ideale e rivoluzionaria per tingersi di nostalgie letterarie e interessi archeologici, cioè di rievocazione dell'antico intellettualistica e fine e sé stessa. Interpreti della misura tra idealizzazione, naturalismo e virtuosismo furono nella scultura Benedetto da Maiano e nella pittura Domenico Ghirlandaio. Per gli artisti della cosiddetta "terza generazione" la prospettiva era ormai un dato acquisito e le ricerche si muovevano ormai verso altri stimoli, quali i problemi dinamici delle masse di figure o la tensione delle linee di contorno. Le figure plastiche e isolate, in un equilibrio perfetto con lo spazio misurabile e immobile, lasciavano ormai spazio a giochi continui di forme in movimento, con maggiore tensione e intensità espressiva. Il rapporto di Lorenzo il Magnifico con le arti fu diverso da quello del nonno Cosimo, che aveva privilegiato la realizzazione di opere pubbliche. Da un lato per "il Magnifico" l'arte ebbe un'altrettanto importante funzione pubblica, ma rivolta piuttosto agli Stati esteri, quale ambasciatrice del prestigio culturale di Firenze, presentata come una "novella Atene"; dall'altro lato Lorenzo, con il suo colto e raffinato mecenatismo, impostò un gusto per oggetti ricchi di significati filosofici, stabilendo spesso un confronto, intenso e quotidiano, con gli artisti della sua cerchia, visti quali sommi creatori di bellezza. Ciò determinò un linguaggio prezioso, estremamente sofisticato ed erudito, in cui i significati allegorici, mitologici, filosofici e letterari venivano legati in maniera complessa, pienamente leggibile solo dall'élite che ne possedeva le chiavi interpretative, tanto che alcuni significati delle opere più emblematiche oggi ci sfuggono. L'arte si distaccò dalla vita reale, pubblica e civile, focalizzandosi su ideali di evasione dall'esistenza quotidiana.
Cinquecento
Le inquietanti fratture aperte nella società dalla predicazione di Girolamo Savonarola portarono, nel 1493, alla cacciata dei Medici ed all'instaurazione di una repubblica teocratica. La condanna al rogo del frate non fece che acuire i contrasti interni e la crisi delle coscienze, come si rileva anche nei tormenti della produzione tarda di Sandro Botticelli o nelle opere di Filippino Lippi e Piero di Cosimo. Ma in quel periodo nuovi artisti si andarono guadagnando la ribalta delle scene, tra cui Leonardo da Vinci, che usava più delicati trapassi chiaroscurali (lo "sfumato") e legami più complessi e sciolti tra le figure, arrivando anche a rinnovare iconografie ormai consolidate riflettendo sulla reale portata degli eventi descritti, come l'Adorazione dei Magi. Un altro giovane Michelangelo Buonarroti, studiò approfonditamente i fondatori dell'arte toscana (Giotto e Masaccio) e la statuaria antica, cercando di rivocarla come materia viva, non come fonte di repertorio. Già nelle sue prime prove appare straordinaria la sua capacità di trattare il marmo per raggiungere effetti ora di frenetico movimento (Battaglia dei centauri), ora di morbido illusionismo (Bacco). Sotto Pier Soderini, gonfaloniere a vita, la decorazione di Palazzo Vecchio divenne un cantiere di inesauribile sintesi creativa, con Leonardo (tornato appositamente da Milano), Michelangelo, Fra Bartolomeo e altri. Nel frattempo un giovane Raffaello guadagna stima nella committenza locale. Sono gli anni di capolavori assoluti, quali la Gioconda, il David di Michelangelo e la Madonna del cardellino, che attraggono in città numerosi artisti desiderosi di aggiornarsi. Velocemente però i nuovi maestri lasciarono la città, chiamati da ambiziosi governanti che in essi vedevano la chiave per celebrare il proprio trionfo politico tramite l'arte: Leonardo tornò a Milano e poi andò in Francia, Michelangelo e Raffaello vennero assoldati da Giulio II a Roma. Il ritorno dei Medici, nel 1512, fu sostanzialmente indolore. I nuovi artisti non potevano sfuggire dal confronto con le opere lasciate in città dai sommi maestri della generazione, precedente, traendone spunto e magari tentando una sintesi tra gli stili di Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Fra Bartolomeo trovò forme nelle solenni e monumentali la propria via, Andrea del Sarto nella conciliazione degli estremi, mentre personalità più inquiete e tormentate, come Pontormo e Rosso Fiorentino, si lasciarono affascinare da un nuovo senso anticlassico del colore e del movimento, gettando le basi per il manierismo.
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