
Copia e imitazione
Avvicinare l'arte alla natura per l'artista neoclassico non significa riprodurre la realtà in modo naturalistico (fedele nei particolari), ma estrarne l'essenza, l'atteggiamento psicologico e mentale tipico dell'artista dell'età classica. Winckelmann, uno dei maggiori teorizzatori del Neoclassicismo, sosteneva che l'unico modo per divenire grandi e, se possibile, inimitabili, è di imitare gli antichi. Convinto che "il contrario del pensiero indipendente è la copia, non l'imitazione", egli non raccomandava di copiare fedelmente le figure antiche ed auspicava un ritorno allo spirito, non alla lettera della antichità.
Gli esponenti principali
Giovan Battista Piranesi e Johann Joachim Winckelmann sono i maggiori esponenti in arte del Neoclassicismo, due importanti teorici, rispettivamente sostenitori dell'arte romana e greca. Entrambi privilegiano l'imitazione dell'arte alla sterile copia. Nelle vedute romane di Piranesi si nota maggiormente lo spirito della Roma antica. I tesori scoperti ad Ercolano mostrarono che anche i più classici interni romani o le stanze romane di William Kent erano basati sulla struttura architettonica esterna del tempio e della basilica. Questo lo si può notare dalle dorature negli specchi dei frontoni delle finestre. In Italia, fra i più noti esponenti del Neoclassicismo figurativo compaiono anche: Antonio Canova, Luigi Acquisti e Cosimo Morelli per l'arte, per la poesia Ugo Foscolo.
Gli interni
Per quanto riguarda gli interni, il neoclassicismo scoprì il gusto per l'autentico arredamento classico, sulla scia delle scoperte effettuate a Pompei ed Ercolano, scavi iniziati verso la fine del decennio del 1740 ma la cui eco aveva raggiunto il grande pubblico solo nei decenni successivi, grazie anche alla pubblicazione dei primi lussuosi volumi (dal 1757 al 1792) della monumentale opera Le Antichità di Ercolano del Bayard. Le illustrazioni mostravano come anche gli interni più classicheggianti di epoca barocca, o le più romane tra le stanze realizzate da William Kent fossero basate sullo stile architettonico degli esterni di basiliche e templi, il che si traduceva in: cornici delle finestre munite di frontone, specchi dalle cornici dorate e caminetti sormontati da simil-frontali come quelli dei templi, tutte cose che ora sembrano eccessivamente pompose e piuttosto assurde. Il nuovo stile cercò di ricreare invece un vocabolario architettonico autenticamente romano, servendosi di motivi decorativi più piatti e meno pesanti, come fregi scolpiti a bassorilievo o dipinti in monocromia come dei piccoli quadretti, che rappresentavano medaglioni, vasi, busti, bucrani o altri motivi appesi a nastri o rami d'alloro, con snelli arabeschi come sfondo, realizzati in rosso pompeiano o altre tinte pastello, oppure con colori che imitavano quello delle pietre naturali. Questa moda in Francia, chiamata "goût Grèc", fu inizialmente appannaggio dei cittadini di Parigi, ma non fu accettata a corte; solo quando il paffuto giovane Re salì al trono nel 1774 permise a sua moglie Maria Antonietta, seguace delle mode, di introdurre lo stile Luigi XVI nei palazzi reali, ma soprattutto nel suo Petit Trianon.
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