
Le immagini della prima porta del G. non solo sono più rilevate di quelle di Andrea Pisano, ma anche rilevate in modo più vario: qui è basso, lì è mezzo, là è alto rilievo, e talvolta, nelle teste sporte in avanti, è persino il tutto tondo. E precedenti di tali tendenze si trovano a Firenze, non in Andrea Pisano e nell'Orcagna, bensì nei ririlievi decoranti il fonte del Battistero fiorentino. Il fondo è considerato dal G. come unito perché tutte le piante, tutte le architetture, tutte le rocce o onde che egli ha posto sopra o sotto le figure non costituiscono fondo. Sono elementi di scena, come le figure, sporgono, colmano i vuoti, raddrizzano gli equilibri, chiudono, uniscono, concentrano la scena. Linee sul piano o piani nella profondità si muovono all'unisono, si curvano, s'intrecciano. Il loro scopo è di giungere alla apparizione rapida delle immagini per cui esse siano insieme intense e leggiere, vibrino come corde nervose e si atteggino a eleganze squisite. Perciò, sebbene sia di bronzo, l'immagine di S. Giovanni Evangelista impressiona come un lampo improvviso, perciò le scene del Presepe e dell'Adorazione dei Magi sono danze di linee e di piani che rendono tutto lieto, tutto giovane, tutto un idillio attorno al fanciullo. Ogni sentimento si trasmuta in grazia; e persino la crudezza tagliente della linea intorno al Crocifisso non è priva di grazia. E però la superficialità stessa dei sentimenti facilita al G. la piena e perfetta realizzazione d'immagini e di composizioni, compiuta con una sensibilità e con una finezza che sono una eccezione nell'arte di tutti i tempi, con una spontaneità creativa che gli ha permesso di raggiungere il suo capolavoro.
Quando si accinse alla terza porta erano passati circa 23 anni dall'ora in cui si era affacciato alla gloria con la vittoria del concorso. L'ambiente era mutato e si sentì costretto a rinnovarsi, né poteva essere sordo alle innovazioni del Brunelleschi e di Donatello. Egli era certo il miglior tecnico del bronzo che allora vivesse a Firenze, e conservava il suo ingegno agile, pronto e sensibile. E fu così ingegnoso che raggiunse pienamente il suo scopo di meravigliare, di sorprendere con la varietà infinita degli elementi offerti, con la novità di riproduzioni, di paesaggi, di architetture, di quantità enormi di figure. Ma dopo esser giunto alla varietà, alla novità, all'abbondanza, alla grandezza, dopo aver meravigliato i contemporanei, si adagiò in una calma compassata, senza quella vibrazione di vita e di grazia che forma la gloria della porta precedente. Seguendo il principio della prospettiva, il G. immagina figure quasi a tutto tondo in primo piano e poi stiacciate nel fondo. Ma il calcolo, per quanto sottile, per quanto sempre reso duttile dal gusto squisito, ha impedito l'immediata completa unità di visione. Le figure di primo piano hanno un valore di consistenza plastica, dispiegano così bene i loro piani continui, si distaccano tanto dal fondo, che non vi sono più comprese. E d'altra parte il fondo non trova più la sua libera espressione perché impedito dalla plasticità delle figure di primo piano. E cioè due visioni diverse si sono venute a sovrapporre, non a integrare. Il medesimo difetto si ritrova nell'arca di S. Zanobi. Lo studio, il calcolo, l'abilità avevano attenuato l'attività creatrice nelle scene come nelle figure isolate: si confronti con l'evangelista Giovanni della seconda porta una statuetta decorativa della terza: è la sostituzione di un manierismo sapiente alla creazione del genio. Parimenti nelle statue di Orsanmichele: il S. Matteo è del 1422 e il S. Stefano è del 1428; il S. Stefano non è che abile manierismo; il S. Matteo è una visione radiosa. Appunto tra il 1422 e il 1428 era avvenuta la crisi. Eppure attraverso i secoli fu esaltata soprattutto la terza porta, chiamata "del Paradiso". Si può supporre che l'estetica intellettualistica ereditata dal Rinascimento abbia sopravalutato G. artefice e sottovalutato G. artista. Oppure la calma degli atteggiamenti, la complessità dell'effetto, l'ingegnosità delle soluzioni ha avvicinato la terza porta all'ideale tradizionale del classico; e non s'è tenuto abbastanza conto dello sforzo compiuto dall'artista per uscire dalla sua natura spontanea.
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