La scultura romanica: pietra parlante tra fede e meraviglia

Nel cuore delle chiese romaniche, tra colonne massicce e portali solenni, prende vita una forma d’arte che è insieme fede, narrazione e stupore: la scultura romanica. Nata per accompagnare l’architettura, non per adornarla passivamente ma per esprimerne lo spirito profondo, questa scultura scolpisce la pietra con una voce potente, capace di parlare a tutti, non solo ai sapienti o ai monaci.
Le parole di Umberto Eco raccontano bene questa tensione tra sacro e sensibile: accanto alla trascendenza, alla verità rivelata, sboccia una nuova attenzione per il reale, per il visibile, persino per il bello. Non è un bello classico, né un bello pacificato: è un bello inquieto, popolato di mostri, di animali, di foglie che si arricciano nei capitelli, di uomini e santi scolpiti in pose rigide, eloquenti, eternamente in dialogo con chi li guarda.
La scultura romanica nasce nel silenzio dei chiostri, nei timpani dei portali, sulle lunette delle cattedrali. Si sviluppa a partire dall’XI secolo in molti centri europei: a Tolosa e Moissac, dove i portici raccontano l’Apocalisse con drammaticità teatrale; a Modena, dove il genio di Wiligelmo scolpisce il racconto della Genesi con una potenza visionaria e concreta; in Borgogna e nella Spagna settentrionale, dove si susseguono immagini di paradisi e inferni, vizi e virtù, figure grottesche e spirituali.
Ciò che cambia è anche il pubblico. Non più solo dotti teologi, ma mercanti, pellegrini, contadini. Il linguaggio della scultura si fa allora diretto, comunicativo, capace di parlare al cuore di chi non sa leggere, ma comprende il simbolo e la forma. Le scene sacre, tratte dal Vecchio e Nuovo Testamento, si popolano di volti espressivi e gesti eloquenti, perché la pietra diventa catechismo, predica, specchio dell’anima.
In Italia, oltre a Wiligelmo, si distinguono Nicholaus, attivo in molti cantieri tra Piemonte, Emilia e Veneto, e soprattutto Benedetto Antelami, il primo a lasciare la propria firma in un tempo in cui l’anonimato era la norma. La sua Deposizione del 1178, scolpita per un pulpito e oggi murata nel Duomo di Parma, è un capolavoro che unisce rigore compositivo e profondità spirituale. Anche il Battistero della stessa città, iniziato nel 1196, è una sua opera, custode di simboli, di stagioni, di mesi incisi con maestria. Intorno a lui si forma una scuola: scultori che portano avanti il suo stile, come il Maestro dei Mesi, autore delle decorazioni (oggi perdute) della Cattedrale di Ferrara.
La scultura romanica è un'arte della materia, sì, ma anche del messaggio. Ogni rilievo è una pagina scolpita di una Bibbia per immagini. Ogni volto è un racconto. Ogni arco, una narrazione che si apre tra la terra e il cielo.
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