domenica 19 gennaio 2025

Corso di Storia dell'arte: 26 L'uso dell'arte romana

L'uso dell'arte romana

Nell’universo dell’arte romana nulla era superfluo, nulla puramente decorativo: ogni opera aveva uno scopo preciso, ogni immagine un messaggio, ogni ornamento un significato. Diversamente dall’arte greca, che poteva nascere anche dal desiderio astratto di bellezza, l’arte romana era sempre al servizio di qualcosa: del potere, del prestigio, della memoria, della propaganda.

Dietro ogni affresco, ogni statua, ogni gioiello o cammeo, si celava un intento. L’estetica cedeva il passo alla funzione, o meglio, si piegava ad essa. L’arte serviva a mostrare forza, a raccontare conquiste, a scolpire nella mente collettiva l’immagine del potere. Anche gli oggetti più raffinati — vasi di metallo prezioso, vetri soffiati, gemme incise, fregi vegetali — non erano mai fini a se stessi: esprimevano lo sfarzo, la ricchezza, la superiorità del loro proprietario. Erano simboli di status, non semplici espressioni del gusto.

Le grandi statue pubbliche, i rilievi storici, le decorazioni architettoniche delle basiliche o dei templi erano veri strumenti di comunicazione. Ogni linea, ogni posa, ogni scelta stilistica era studiata per rafforzare un’idea: l’eroismo dell’imperatore, la stabilità dello Stato, la grandezza di Roma. E anche quando un’opera colpiva per la sua perfezione formale, dietro quella bellezza si celava sempre un messaggio. Il valore estetico era importante, certo, ma mai disgiunto da un intento celebrativo. La forma era al servizio della funzione.

Per questo motivo, per secoli, l’arte romana è stata vista attraverso una lente distorta, giudicata come una copia sbiadita dell’arte greca, un’imitazione priva dello slancio ideale che animava i capolavori del classicismo ellenico. Questa visione, detta "neoclassica", ha dominato a lungo, identificando l’arte romana con una sorta di crepuscolo dell’arte greca, un’epoca di riflessione passiva e manierata.

Ma poi arrivò una nuova luce. Grazie agli studi della Scuola viennese di storia dell’arte, si iniziò a vedere l’arte romana per ciò che era realmente: un linguaggio autonomo, libero, adattabile. I romani non avevano semplicemente copiato i modelli greci: li avevano reinterpretati, rimodellati, messi al servizio di nuove esigenze. Avevano preso quelle forme antiche, svuotate del loro significato originale, e ne avevano creati di nuovi, più concreti, più diretti, più funzionali al loro tempo.

Questa capacità di riutilizzo creativo non morì con l’Impero. Anzi, fu proprio grazie a questa flessibilità che l’arte romana continuò a vivere nei secoli. Nelle prime rappresentazioni cristiane, la Nike alata divenne un angelo, il filosofo barbuto un apostolo, e i simboli pagani si trasformarono in icone della nuova fede. Un’eredità che non fu mai interrotta, ma semplicemente tradotta.

Così l’arte romana ci parla ancora oggi non solo con la bellezza delle forme, ma con la forza del suo messaggio. È l’arte di un popolo che volle dominare il mondo e che, attraverso la pietra e il colore, riuscì a raccontarsi in eterno.

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