Eclettismo

Man mano che Roma si trasformava da potenza militare a capitale di un vasto impero, le sue vie si riempivano di statue, bassorilievi, pitture e oggetti d’arte provenienti da ogni angolo del mondo greco: da Atene a Pergamo, da Rodi a Taranto. In questo vortice di bellezza importata e di stili sovrapposti, prese forma uno dei tratti più affascinanti dell’arte romana: l’eclettismo.
Non era solo una moda, ma un riflesso profondo dell’identità culturale di Roma. Un’identità stratificata, fatta di radici italiche antiche, di influenze etrusche, e soprattutto, di una massiccia assimilazione del linguaggio figurativo greco. Di fronte alla molteplicità di modelli a disposizione, i Romani non cercarono mai di uniformare. Al contrario, celebrarono la varietà. Amavano accostare opere dai linguaggi opposti: un bassorilievo realistico accanto a una statua idealizzata, un fregio popolare vicino a una scena mitologica elegante. Per loro, armonizzare il diverso era un esercizio di prestigio, un gusto raffinato per il raro, per il curioso, persino per l’incongruo.
E spesso questo eclettismo non si fermava all’allestimento degli spazi, ma si incarnava nelle opere stesse. Non era raro che una sola scultura o un fregio unisse stili differenti, iconografie lontane, temi di mondi diversi. Il risultato? Un’arte capace di parlare molte lingue, di rivolgersi a pubblici diversi, di contenere nella stessa cornice la cultura aristocratica e quella popolare, il culto degli dèi e la memoria storica.
Questa inclinazione all’ibridazione, sorprendentemente, non fu un sintomo di decadenza – come sarebbe accaduto in altri contesti culturali – ma una caratteristica originaria dell’arte romana. Anzi, fu proprio nei suoi primi secoli che l’eclettismo sbocciò con più energia. Un esempio emblematico è l’Ara di Domizio Enobarbo: una parte del monumento, oggi al Louvre, raffigura con crudo realismo la presentazione di animali per un sacrificio, in uno stile che ricorda il mondo plebeo e italico; un altro fregio, conservato a Monaco di Baviera, mostra un corteo di divinità marine in uno stile ellenistico colmo di grazia e movimento. Due mondi in un solo monumento.
E non era un’eccezione. Anche grandi commissioni pubbliche, come l’Ara Pacis voluta da Augusto, mostrano una perfetta fusione di linguaggi: il naturalismo romano che si sposa con l’eleganza greca, il mito che si intreccia alla storia, l’austerità del potere che si veste di raffinatezza estetica. L’arte romana, fin dai suoi primi passi, fu un caleidoscopio di influenze, una voce corale in cui ogni stile trovava il proprio posto, anche quello più inaspettato.
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