venerdì 24 gennaio 2025

Corso di Storia dell'arte: 31 Arte romana aulica plebea e provinciale

Arte aulica e arte plebea, arte provinciale

L’arte romana non fu mai una voce sola, ma un coro dissonante e affascinante di linguaggi, forme, intenzioni. Fin dalle sue origini, la società romana si articolò in un profondo dualismo: patrizi e plebei, élite e popolo. E questo divario sociale – reale, tangibile, quotidiano – si riversò anche nel modo in cui Roma decise di rappresentarsi attraverso l’arte.

Da una parte, l’arte aulica, nobile, raffinata, costruita per impressionare, per esaltare il prestigio delle grandi famiglie e dei vertici del potere. Dall’altra, l’arte plebea, umile solo nei materiali, ma potentemente espressiva, diretta, nata dal desiderio di farsi vedere, di farsi capire, di lasciare un segno anche se non si apparteneva all’élite.

Queste due anime dell’arte romana camminarono per secoli su binari paralleli, senza mai davvero fondersi, almeno fino alla tarda antichità. Solo a partire dal III secolo d.C., quando la società romana stessa cominciò a mutare radicalmente, la voce del popolo trovò piena cittadinanza anche nei monumenti pubblici, e lo stile plebeo, con la sua chiarezza incisiva, la sua astrazione simbolica, la sua immediatezza comunicativa, iniziò a contaminare – e infine a rivoluzionare – l’arte ufficiale.

Là dove l’arte patrizia cercava l’equilibrio, la grazia, la citazione colta dei modelli greci, l’arte plebea semplificava, accentuava, rompeva le regole per arrivare dritta al punto. La prima costruiva immagini per gli dei e per i posteri; la seconda per chi passava per strada, per chi voleva riconoscersi in una scena, in un volto, in un gesto.

Ed è proprio da questa corrente, considerata a lungo “minore” dalla storiografia, che nascerà qualcosa di sorprendente: il primo vero superamento dell’ellenismo, ormai esausto nelle sue repliche eleganti ma vuote. L’arte plebea, con la sua forza ingenua e genuina, annuncia le forme e il linguaggio del Medioevo. È lì che germoglia il nuovo: nella rozzezza apparente, nella schematizzazione potente, nel rifiuto del naturalismo in favore del significato.

E mentre questa corrente conquista Roma e si fa largo nei rilievi pubblici, l’arte più aulica migra verso est, rifugiandosi nella nuova capitale imperiale: Costantinopoli. Lì, mescolandosi con le suggestioni di culture lontane – dall’Iran antico a centri come Hatra, Palmira, Dura Europos – darà vita a una nuova fioritura: l’arte bizantina, solenne e lineare, spirituale e simbolica, capace di raccogliere l’eredità dell’ellenismo e trasfigurarla in una nuova visione del mondo.

Così, quello che sembrava un contrasto inconciliabile tra elite e popolo si rivela una delle grandi ricchezze dell’arte romana: due correnti diverse, due strade parallele, che finiranno per confluire in un’unica, straordinaria trasformazione.

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