Arte imperiale classica

Con l'avvento del principato di Augusto, Roma smise di essere semplicemente una città antica per iniziare a trasformarsi nel cuore monumentale dell’Impero. L’urbanistica cambiò volto: l’ambizione imperiale prese forma in pietra, marmo e bronzo. Augusto stesso amava ripetere di aver trovato Roma di mattoni e di averla lasciata di marmo. In effetti, tra il suo regno e quello dei Flavi, prese corpo una nuova concezione dello spazio urbano: gli edifici funzionali – archi trionfali, terme, anfiteatri – cominciarono a imporsi sulla scena, emancipandosi dall’influenza architettonica greca dei templi.
È in questo periodo che nascono capolavori come il teatro di Marcello (11 a.C.), l’arena di Verona, il teatro di Orange e il grandioso Colosseo, inaugurato da Tito nell’80 d.C. e completato da Domiziano. L’arco partico del Foro Romano (circa 20 a.C.) anticipava l’arco a tre fornici, destinato a diventare uno dei simboli architettonici più riconoscibili dell’Urbe.
La scultura: il volto idealizzato dell’Impero
Mentre Roma si copriva di marmo, anche l’arte figurativa si faceva specchio del potere imperiale. La scultura romana del periodo augusteo guardava al passato greco, ma lo faceva con uno scopo preciso: trasmettere l’ideale di un Impero saldo, eterno, perfetto. Fidia e Policleto, maestri del V secolo a.C., furono i modelli da cui gli artisti romani attinsero per raffigurare divinità e uomini illustri, primo tra tutti Augusto. Celebre è l’Augusto loricato, ispirato al Doriforo di Policleto: non un semplice ritratto, ma un manifesto politico in marmo.
Questo stile, detto neoatticismo, prediligeva un equilibrio raffinato, quasi "accademico", che restituiva immagini eleganti ma a tratti fredde, distanti, idealizzate. Solo con la dinastia giulio-claudia si tornò a un’arte più viva, in cui il rigore greco si stemperava nel calore della tradizione romana.
La pittura: stanze che raccontano mondi
Tra il 30 e il 25 a.C. si completò l’evoluzione del secondo stile pompeiano, quello delle finte architetture e delle vedute prospettiche. Ma fu con il terzo stile che si affermò una pittura più intima, ornamentale, come dimostrano gli affreschi della Casa della Farnesina e della Casa del Criptoportico a Pompei.
Un capolavoro assoluto è la sala della villa di Livia a Prima Porta: un giardino lussureggiante che pare espandersi oltre le pareti, un’oasi dipinta di illusionismo delicato e magistrale. E ancora, la villa dei Misteri a Pompei ci restituisce un mondo di riti e miti, dove si intrecciano copie di pitture greche e interventi propriamente romani. Dopo il terremoto del 62, le nuove decorazioni segnano l’ingresso nel quarto stile: illusionismo spettacolare, giochi di profondità e colori vivaci, forse nati per decorare la Domus Transitoria e la Domus Aurea.
Toreutica e glittica: l’arte nei dettagli
Non solo grandi opere. Sotto Augusto, anche le arti minori raggiunsero vette di straordinaria eleganza. Nella toreutica (lavorazione dei metalli) e nella glittica (incisione di gemme) si raggiunse un grado di naturalezza e raffinatezza ineguagliabile. Oggetti piccoli, ma di potenza evocativa straordinaria, come il tesoro d’argento di Hildesheim, la Gemma Augustea (29 a.C.), il cammeo di Augusto e Roma o il celebre Grande Cammeo di Francia, realizzato in epoca tiberiana.
Nella Roma imperiale classica, dunque, l’arte non era solo ornamento: era linguaggio politico, spirituale, identitario. Ogni statua, ogni affresco, ogni oggetto cesellato raccontava il sogno di eternità dell’Impero. E ancora oggi, a distanza di secoli, quel sogno continua a parlarci.
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