Gli Antonini

Nel tempo degli Antonini, l’Impero romano visse uno degli ultimi splendori della sua arte classica, un’epoca di equilibrio e maestosità, ma anche di crepe sottili che iniziavano a insinuarsi sotto la superficie lucida dell’ideale. Dopo Adriano, il classicismo non si spense: anzi, sotto il dominio illuminato di imperatori come Antonino Pio e Marco Aurelio, fiorì con nuova grazia, arricchendosi di sfumature, tensioni e contrasti sempre più audaci.
La lezione di Adriano non andò perduta. Quel suo gusto per il gioco delle superfici — la levigatezza contro la materia mossa, scolpita, quasi turbolenta — trovò eco e risonanza in opere sempre più raffinate. Ne è un esempio straordinario la “decursio” scolpita alla base della Colonna Antonina, dove cavalieri in parata girano attorno a figure stabili come in un rituale eterno. Non è più solo rappresentazione, ma dramma scolpito nel marmo, in cui la luce e l’ombra danzano sul chiaroscuro di corpi e panneggi.
Eppure, già in questa perfezione affiorano i segni di un cambiamento più profondo. Con l’arrivo al potere di Commodo, figlio di Marco Aurelio e imperatore controverso, l’arte prende una svolta imprevista e affascinante. Nei rilievi ufficiali — molti dei quali furono poi riutilizzati nell’Arco di Costantino — le figure non sono più isolate nel marmo, ma dialogano nello spazio, sembrano respirare, muoversi, farsi vive in un’atmosfera che le avvolge come un velo invisibile. È come se la scultura avesse trovato finalmente una quarta dimensione: l’aria.
Ma la vera rivoluzione è nella narrazione. Le immagini scolpite non raccontano più solo la storia, ma la visione. Le imprese dell’imperatore si tingono di soprannaturale, i confini tra realtà e mito si assottigliano. La Colonna di Marco Aurelio — sorella eppure così diversa da quella di Traiano — introduce qualcosa di inaudito: il Miracolo della Pioggia, il Miracolo del Fulmine, eventi prodigiosi rappresentati con una forza espressiva che trasforma la cronaca in leggenda. I volti sono più drammatici, i corpi più scavati, la luce più netta e tagliente. È il passaggio dal racconto storico all’allegoria.
Questo nuovo stile, potente e inquieto, è specchio di un mondo che inizia a vacillare. L’Impero, minacciato da tensioni interne e pressioni esterne, comincia a cercare risposte non più nella razionalità classica, ma nell’irrazionale, nel sacro, nel misterioso. L’arte degli Antonini, dunque, è l’ultima fiaccola del classicismo, ma anche il primo sussurro del tramonto, preludio a un’epoca in cui l’uomo non si sentirà più al centro del cosmo, ma alla mercé di forze invisibili e insondabili.
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