Il-III secolo

Nel corso del III secolo, l’Impero romano varcò la soglia di un mondo che non riconosceva più se stesso. Fu un’epoca di transizione, drammatica e solenne, dove il tempo sembrava essersi incrinato. Dai giorni di Diocleziano fino al regno di Costantino e oltre, fino al crollo dell’Occidente, l’arte romana cambiò pelle, rispecchiando un’umanità attraversata da incertezze profonde e da nuove, oscure speranze.
Le architetture si fecero severe, funzionali, quasi introverse. Non erano più templi alla gloria o al godimento, ma roccaforti dell’ansia e del bisogno di difesa: le Mura Aureliane stringevano Roma in un abbraccio armato, mentre il Palazzo di Diocleziano a Spalato si alzava come un bastione tra la terra e il mare, metà reggia e metà fortezza, incastonato nel paesaggio come una sentinella di pietra.
Anche i volti degli imperatori cambiarono: non erano più ritratti, ma manifesti. Si persero i tratti umani, le sfumature del carattere, le proporzioni armoniche. I ritratti diventarono maschere ieratiche, talvolta dettagliatissimi nei particolari minori, come nella testa di Gordiano III, ma nel complesso freddi, astratti, lontani. Gli occhi, enormi e spalancati, sembravano fissare l’infinito, non più lo spettatore.
Con la Statua colossale di Costantino, ogni illusione di umanità si spegne. Non interessa più somigliare a un uomo: l’imperatore è un simbolo, una presenza sacra, emanazione diretta del divino. Il suo volto non racconta più la storia di una vita, ma manifesta un'idea, quella di un potere che si vuole eterno, sovrumano, assoluto.
Era l’arte di un’epoca che aveva smarrito la propria fiducia nei sensi, e cercava ora verità inafferrabili, tra spiritualità e mistero. Non si trattava di decadenza, ma di mutazione profonda, di una civiltà che, nel suo tramonto, andava generando i primi bagliori dell’arte cristiana e medievale.
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