venerdì 14 febbraio 2025

Corso di storia dell'arte: 52 Miniatura arti plastiche e arti suntuarie bizantine

Miniatura e arti plastiche: scultura e arti suntuarie

Nel silenzio delle biblioteche bizantine, tra le mani attente di scribi e monaci, prendevano vita meraviglie in miniatura. Le pagine dei manoscritti non erano solo veicolo di parole, ma custodi di visioni: piccole opere d’arte che raccontavano il sacro con colori vivi e linee danzanti. Le miniature più antiche tradiscono ancora l’influsso del mondo ellenistico e delle eleganze orientali, come se i venti dell’Asia e la memoria dell’antica Grecia avessero guidato il pennello. Col tempo, però, le illustrazioni si fecero più solenni, più ordinate, più “cattedratiche” — segno di una produzione sempre più sistematica, legata agli scriptoria di Costantinopoli — senza però rinunciare a una vena popolare, che si manifestava nella ricchezza dei decori e nella vivacità narrativa delle immagini.

Tra i codici più diffusi, spiccano i salteri: veri e propri scrigni di spiritualità illustrata, come il Salterio Khludov, oggi a Mosca, o quello di San Giovanni, un tempo a Costantinopoli. Seguono, nella loro maestosa varietà, gli omeliari — come il prezioso Coislin 79, che raccoglie le omelie di San Giovanni Crisostomo — gli Ottateuchi con i primi libri della Bibbia, gli Evangeliari e i Menologi, che raccontano la vita dei santi con una densità di immagini che pare prefigurare la narrazione cinematografica.

Ma tra tutti, un manoscritto brilla come una gemma preziosa nel tesoro della miniatura bizantina: il Codex Purpureus Rossanensis. Evangelario del VI secolo, scritto su pergamena tinta di porpora imperiale e illuminato con oro e argento, oggi è custodito a Rossano, in Calabria, come una reliquia della luce spirituale dell’Impero.

Se la pittura e la miniatura brillano nell’universo bizantino, la scultura, almeno quella lapidea, resta più in ombra. A differenza dell’Occidente, in Oriente la tridimensionalità fu guardata con sospetto. Le statue, da sempre associate al mondo pagano, gremivano ancora le piazze di Costantinopoli e alimentavano la diffidenza della Chiesa verso ogni forma che potesse evocare l’idolatria. Così la scultura si ritirò nei margini, relegata a una funzione decorativa, spesso al servizio dell’architettura. Le figure a tutto tondo furono rarissime, e la teologia bizantina, nella sua accanita lotta contro l’iconoclastia, dedicò ampio spazio alla difesa dell’immagine dipinta, ma quasi nulla alla scultura.

Eppure, quando la pietra veniva scolpita, i risultati potevano essere straordinari. A Pisa, sul portale maggiore del Battistero, una preziosa "taglia" bizantina — forse giunta direttamente da Costantinopoli nei primi decenni del XIII secolo — racconta, incisa nella pietra, una storia di incroci e contaminazioni tra mondi artistici.

Ma la vera anima plastica dell’arte bizantina si rivelò altrove: nelle arti suntuarie, nella lavorazione di metalli, smalti, cristalli e avori. Qui, l’artigianato divenne capolavoro. I reliquiari e gli arredi liturgici in metallo, finemente decorati, talvolta arricchiti da smalti policromi, parlavano di un’arte che sapeva piegare la materia al servizio della spiritualità.

E ancora più affascinanti erano gli avori: lastre scolpite con precisione minuziosa, capaci di restituire movimenti, espressioni e profondità narrative in pochi centimetri. Celebre tra tutti è l’Avorio Barberini, tra le opere più note dell’arte bizantina, mirabile esempio della fusione tra forza imperiale e delicatezza estetica.

In Italia, la vetta assoluta di questa arte è la cattedra vescovile di Massimiano, conservata a Ravenna. Risalente al VI secolo, è un trono scolpito in avorio che sembra appartenere a un altro mondo: figure bibliche, santi, e motivi ornamentali si intrecciano in un racconto visivo che unisce il potere della Chiesa alla maestria degli artigiani orientali.

Così, anche dove la pietra si fece muta, l’arte bizantina trovò nuove strade per parlare — con la luce dell’oro, la trasparenza degli smalti, e la carezza dell’avorio.

Se la pittura e l'arte del mosaico ebbero un ruolo centrale nell'arte bizantina, forse lo stesso non può dirsi della scultura lapidea. In particolare, a differenza di quanto non si osserva in occidente, la scultura non si emancipò dalla funzione decorativa architettonica, rarissime infatti sono le sculture a tutto tondo. Forse in questo fenomeno giocò un ruolo la diffidenza della cultura religiosa orientale verso la raffigurazione tridimensionale del sacro, associata al paganesimo a causa del grande numero di statue classiche accumulatosi a Costantinopoli. E del resto il ponderoso corpus teologale sviluppato sulla liceità e sul valore della rappresentazione sacra - elaborato dalle correnti iconodule nella disputa contro l'iconoclasmo - si occupa essenzialmente della produzione pittorica. Ciò non di meno anche in campo scultoreo i risultati qualitativi raggiunti furono molto elevati. Una testimonianza molto interessante di scultura lapidea bizantina osservabile in Italia si trova a Pisa. Qui infatti una "taglia" bizantina (si ipotizza direttamente proveniente da Costantinopoli) istoriò (inizi XIII secolo) il portale maggiore del battistero. Tutto ciò non significa però che le arti plastiche nel loro complesso fossero scarsamente coltivate. Se la scultura ebbe un ruolo minore (quanto meno rispetto ad altri campi) risultati altissimi, invece, vennero raggiunti nelle arti suntuarie, cioè nella lavorazione di materiali preziosi: metalli, avorio, pietre e cristalli. Le lavorazioni in metallo (reliquiari, arredi sacri) inoltre implicavano il frequente utilizzo di decorazioni in smalto, altra tecnica in cui l'arte bizantina raggiunse livelli qualitativi eccelsi. Celeberrime poi sono molte opere in avorio (come il cosiddetto Avorio Barberini, tra i più noti avori bizantini). Fu proprio nella lavorazione dell'avorio che la scultura bizantina raggiunse le sue vette. Tra le più alte lavorazioni bizantine in avorio che abbiamo in Italia si annovera la cattedra vescovile di Massimiano, a Ravenna, risalente al VI secolo. 

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