martedì 14 ottobre 2025

Corso di storia dell'arte: 51 Pittura bizantina

Pittura


Nel mondo bizantino, dove l’arte era voce della fede e strumento della visione interiore, la pittura ad affresco si affiancò con pari intensità al mosaico, condividendone lo spirito e la tensione verso l’assoluto. Come il mosaico, anche l’affresco bizantino nacque da una radice classica — l’eredità ellenistica — ma questa venne trasfigurata, piegata alle nuove esigenze spirituali e religiose di un’epoca che guardava oltre l’apparenza sensibile.

Il tratto bizantino si affrancò presto dalla naturalità greco-romana per abbracciare una sacralità rigorosa, quasi ascetica. Le linee divennero più nette, le forme si fecero essenziali, le figure umane — immerse in campiture cromatiche dilatate e prive di sfumature — sembravano fluttuare in un tempo altro, al di fuori della storia. La frontalità delle composizioni, l’intensità fissa degli sguardi, la prospettiva schiacciata e simbolica: tutto contribuiva a creare un’arte che non rappresentava il mondo, ma lo trasfigurava. Un’arte che non illustrava, ma annunciava.

Purtroppo, del primo periodo bizantino non ci resta nessuna pittura murale. È solo dall’VIII secolo che emergono i primi lacerti visibili, come gli affreschi delle catacombe romane e quelli della chiesa di San Demetrio a Salonicco, frammenti preziosi di un discorso artistico già profondamente orientato verso la dimensione ultraterrena.

Ma sarà tra il X e l’XI secolo che la pittura ad affresco fiorirà in tutta la sua forza mistica. In Anatolia, le chiese rupestri della Cappadocia — scavate nella pietra e avvolte dal silenzio — custodiscono immagini che paiono sospese tra sogno e preghiera. In Grecia, a Salonicco, Kastoria e nella regione di Focide, l’affresco si fa canto teologico. A Bachkovo, in Bulgaria, e nella splendida Santa Sofia di Kiev, i colori narrano l’eterno attraverso un’estetica limpida e ieratica. E ancora, nell’isola di Cipro, spiccano gli affreschi della chiesetta della Panagia Phorbiotissa ad Asinou: un gioiello del XII secolo, dove la spiritualità bizantina si fonde con una sorprendente grazia narrativa.

L’Italia non fu estranea a questa corrente. Nel Meridione, soprattutto in Puglia e Basilicata, i monaci fuggiti dalle persecuzioni iconoclaste portarono con sé l’arte bizantina, affrescando chiese rupestri con scene sacre, visioni di santi, e icone dipinte direttamente sulla roccia.

Nei due secoli successivi, tra XIII e XIV, l’arte bizantina raggiunse nuove vette di delicatezza, irradiando la sua influenza oltre i confini dell’Impero. Gli affreschi dell’ex Iugoslavia, veri gioielli della cosiddetta rinascenza paleologa, rivelano una raffinatezza cromatica e una sensibilità narrativa che, secondo molti studiosi, influenzarono l’arte italiana della seconda metà del Duecento. In questo periodo fiorirono anche i cicli pittorici delle chiese cretesi, quelli di Argeș in Romania, e le decorazioni di Novgorod, dove operò il celebre pittore greco Teofane il Greco, maestro del grande Andrej Rublëv.

Ma nessun racconto sull’arte bizantina può dirsi completo senza parlare delle icone — non semplici dipinti, ma oggetti di culto, ponti tra il cielo e la terra. Le icone raffiguravano Cristo, la Vergine, i santi, le Dodici Feste della Cristianità, e potevano essere realizzate con tecniche diverse: encausto, tempera, mosaico, su tavola o su muro. Ogni icona era più di un’opera d’arte: era una presenza viva, una finestra sull’invisibile, un punto d’incontro tra fede e potere. Alcune icone, infatti, assursero a simboli dello stesso stato bizantino, protettrici della città e dell’Impero.

Il loro potere non si limitò ai confini orientali. Proprio grazie alla loro portabilità, le icone giunsero anche in Occidente, esercitando un’influenza decisiva sulla rinascita della pittura su tavola nel XII secolo, dopo secoli di prevalenza della pittura murale e della miniatura. Le pale d’altare e i polittici dell’arte medievale occidentale — secondo studiosi come Otto Demus — non sarebbero altro che adattamenti occidentali della struttura e funzione delle icone, modellati sulle esigenze liturgiche delle chiese prive di iconostasi.

Oggi, una delle più straordinarie collezioni di icone si conserva in un luogo remoto e sacro: il Monastero di Santa Caterina, sul Monte Sinai. In quel santuario di pietra e silenzio, si trova il celeberrimo Cristo Pantocratore del VI secolo — uno sguardo che, attraverso secoli e imperi crollati, continua a scrutare l’anima di chi osserva. Un frammento di luce eterna, impresso per sempre nel cuore dell’umanità.

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