domenica 16 febbraio 2025

Corso di storia dell'arte: 54 Pittura e mosaico Paleocristiani

 Pittura e mosaico

Nel grembo tumultuoso dei primi secoli cristiani, anche l'arte — pittura e mosaico — si trovò a nascere non dal nulla, ma attingendo linfa da radici antiche. Gli artisti, spesso inconsapevoli pionieri, presero a prestito forme, colori e simboli già familiari al mondo pagano o ad altre religioni, ma infusero loro un respiro nuovo, più profondo, capace di parlare alla fede nascente.

Si pensi, ad esempio, alla scena del banchetto: per secoli, nelle tombe romane, aveva celebrato il piacere terreno e il ricordo dei defunti. Ora, sulle pareti umide delle catacombe cristiane, quello stesso convivio si trasfigurava nell'Ultima Cena, divenendo il fulcro della nuova alleanza, l'immagine stessa dell'Eucaristia. Così, i gesti antichi si rinnovavano, e un banchetto non era più solo un pasto, ma la promessa della vita eterna.

In quei laboratori oscuri, fra i vapori dei colori e il fragore dei martelli, artisti pagani e cristiani sembrano talvolta lavorare fianco a fianco, inconsapevoli messaggeri di una metamorfosi storica. Le loro mani, abituate a scolpire dei olimpici o scene mitologiche, ora tracciavano il volto del Salvatore o l'ombra di un martire, senza mutare troppo l'impianto formale, come se l'arte, più veloce della teologia, già sapesse riconoscere l'universalità dei simboli.

Anche lo stile cambiava: dal realismo vivace delle prime raffigurazioni si passava via via a un linguaggio più semplice e simbolico, specchio di una società che, nel crepuscolo dell'Impero romano, cercava nuove certezze nei segni più che nelle immagini. Con l'editto di Costantino del 313 e la fine delle persecuzioni, le opere si fecero più fastose, ornate d'oro e di colori vividi, seguendo la stessa ricerca di magnificenza che pervadeva la pittura profana.

Eppure, l'anima dell'arte cristiana restava prudente: l'antico aniconismo, il divieto di raffigurare Dio, pesava ancora. Così gli artisti trovarono vie oblique per parlare del divino: il sole, l'agnello, il pesce — "ichthys" in greco, le cui lettere intrecciano il nome stesso di Cristo Salvatore. Ogni immagine era una soglia da varcare, un mistero da intuire più che vedere.

Accanto a questi simboli, apparvero figure che più che narrare, alludevano: il Buon Pastore, che sulle spalle portava la pecora smarrita, ereditato dalle delicate allegorie pastorali pagane; l'Orante, figura orante, simbolo di sapienza e purezza, che sembrava innalzarsi con le braccia verso il cielo invisibile. Persino il Cristo-filosofo, seduto nella calma dignitosa della riflessione, derivava da immagini antiche, come quelle del pensatore stoico Epitteto.

Anche le storie dell'Antico Testamento ritrovarono nuova vita, ma senza tradire le radici ebraiche da cui provenivano. Gli affreschi della sinagoga di Dura Europos, straordinario scrigno siriano oggi custodito a Damasco, ci raccontano di un'arte che cristiani ed ebrei praticavano fianco a fianco, in una stilizzazione che privilegiava il messaggio spirituale sulla descrizione realistica.

Col passare dei decenni, l'arte si distaccò sempre più dal mondo sensibile: le figure si fecero piatte, ieratiche, frontali. Il racconto visivo cedette il passo alla pura simbologia. Gli artisti non cercavano più di imitare la bellezza naturale, ma di aprire varchi verso il cielo, di annunciare con immagini semplici verità eterne.

Così, nei mosaici luccicanti delle basiliche, si combatteva una guerra silenziosa: il gallo, che canta all'alba, si opponeva alla tartaruga, lenta e viscida abitante del Tartaro, il regno oscuro del peccato. In quella lotta tra Bene e Male, incastonata nei pavimenti di Aquileia, ogni passo del fedele diventava un cammino attraverso i misteri della fede, un pellegrinaggio d’immagini verso la salvezza.


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