La rappresentazione di Cristo

Nei primi secoli del Cristianesimo, Cristo era un'idea più che un volto, un mistero più che una figura. Nessun pennello osava ancora tentare di imprigionare la sua immagine. In quel tempo, il Figlio di Dio si celava dietro simboli potenti e silenziosi: il Buon Pastore che portava sulle spalle la pecorella smarrita, l'Agnello immolato, la lampada accesa nel buio.
Fra questi emblemi si annidava anche una suggestione antica: il Cristo-Orfeo. Come il musico divino della mitologia greca era sceso nell'oltretomba per strappare Euridice alla morte, così Cristo era disceso nel Limbo per liberare le anime in attesa. L’eco dei miti antichi vibrava ancora, ma ora raccontava una redenzione nuova, una salvezza che spezzava per sempre il potere delle tenebre.
Tuttavia, il volto di Cristo rimaneva invisibile agli occhi dei fedeli. L'antico timore di tradire il mistero dell'Invisibile, sancito nei severi ammonimenti dell'Esodo, vietava di dargli fattezze umane. Questo silenzio dell'immagine durò fino a un momento decisivo: il Concilio di Nicea, nel 325.
Fu allora che la Chiesa, proclamando solennemente la duplice natura di Cristo, divina e umana insieme, sciolse le catene dell'aniconismo. Se Gesù era vero Dio e vero uomo, allora il suo volto poteva essere dipinto, il suo corpo raccontato, la sua vita raffigurata. E non solo per edificare i cuori dei credenti, ma anche per celebrare il potere nuovo che si irradiava dalla fede cristiana, specchiandosi nell'aurora dei primi imperatori battezzati.
Dopo l'Editto di Tessalonica, che aveva reso il Cristianesimo religione di Stato, l'arte divenne strumento di esaltazione: celebrare Cristo era celebrare l'Impero stesso, custode e difensore della nuova civiltà contro il caos dei barbari. Impero e Chiesa si fondevano, come due fiumi che, intrecciandosi, disegnano il paesaggio della storia.
I primi volti di Cristo che ci sono giunti raccontano una giovinezza serena: un Cristo imberbe, dai lineamenti dolci e luminosi, maestro tra i suoi apostoli come negli affreschi della catacomba di Domitilla o nei mosaici vibranti di luce della chiesa di Santa Costanza a Roma.
Ma presto la sua immagine mutò. Dalla tradizione siriaca, che raffigurava il filosofo cinico con barba e capelli fluenti, giunse un nuovo modello: il Cristo barbato, ieratico e maestoso, dallo sguardo che trapassava il tempo e il cuore degli uomini. Non più solo pastore o maestro, ma anche sovrano, Cristo prese a vestire le insegne regali.
Nei mosaici e negli affreschi, egli sedeva su troni dorati, circondato da angeli e santi, nell'atto solenne della traditio legis, la consegna della Legge. Come l'imperatore romano, che affidava ai suoi sudditi il diritto e l'ordine, così Cristo affidava all'umanità la nuova alleanza, fonte di verità e di salvezza.
Così, attraverso il lento evolversi dei volti e dei gesti, l'arte cristiana raccontava la più grande delle rivoluzioni: il Dio invisibile aveva un volto, e questo volto era quello di un uomo.
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