martedì 20 maggio 2025

Corso di storia dell'arte: 64 bis Wiligelmo 1050 ca.: lo scultore che raccontò la Genesi sulla pietra


 

Wiligelmo: lo scultore che raccontò la Genesi sulla pietra

Tra i capolavori che adornano il volto del Romanico italiano, pochi nomi risuonano con la stessa forza di Wiligelmo, maestro di pietra e racconto, tra i primi a firmare le proprie opere in un’epoca in cui l’artista spesso rimaneva nell’ombra. Il suo nome campeggia con fierezza sul marmo della facciata del Duomo di Modena, accompagnato da versi latini che ne esaltano l’ingegno: «Quanto tra gli scultori tu sia degno di onore, è evidente ora, o Wiligelmo, per la tua scultura».

Ma chi era davvero questo Wiligelmo? Forse lombardo, forse comasco come l’architetto Lanfranco, con cui collaborò all’ambizioso progetto della cattedrale modenese a partire dal 1099, fu protagonista assoluto della rinascita della scultura monumentale in Italia. Le sue opere raccontano, insegnano, emozionano: sono Bibbie scolpite nella pietra, pensate per un pubblico che non sapeva leggere ma sapeva guardare.

Il capolavoro che lo consacra è una serie di quattro lastre in marmo poste sulla facciata del Duomo di Modena, note come le Storie della Genesi. In esse, Wiligelmo narra la Creazione e il dramma dei primi uomini: Dio plasma Adamo, trae Eva dal suo fianco, assiste al peccato, scaccia i progenitori dall’Eden. Poi Caino e Abele, il cieco Lamech che uccide per errore, Noè e la salvezza nell’Arca. Le figure sono intensamente umane, colte in gesti essenziali, ma pieni di pathos. Non c’è paesaggio: solo un mondo simbolico, costruito con pochi accenni — una roccia curva per il fiume del Paradiso, un albero come confine tra bene e male.

Wiligelmo non cerca il naturalismo classico, né si rifugia nell’astrazione bizantina. La sua arte è concreta, sintetica, emotivamente accessibile, pensata per parlare alle masse. Eppure, in alcune sculture come i due Geni portafiaccola, la sua tecnica rivela una raffinatezza pari a quella degli antichi maestri, forse ispirata dai reperti romani venuti alla luce negli scavi modenesi.

Attorno a lui lavorano allievi talentuosi, anche se senza nome: gli studiosi li chiamano oggi Maestro di Artù, Maestro di San Geminiano, Maestro delle Metope. Le metope stesse — con chimere, sirene, mostri — un tempo poste all’esterno della cattedrale come contrafforti, oggi sono custodite nel Museo Lapidario di Modena, e testimoniano l’immaginazione visionaria della sua bottega.

Wiligelmo fu attivo anche a Piacenza, dove operò insieme a un giovane che diventerà celebre: Niccolò, autore dei portali di Ferrara e Verona. A Cremona, alcuni rilievi smembrati dal pulpito del Duomo sembrano portare la sua impronta. A Nonantola, gli stipiti del portale raccontano storie della Vergine e di Sant’Anselmo, ancora una volta teologia scolpita per tutti.

Le influenze? La critica ha segnalato similitudini con la scultura aquitanica, come nel chiostro di Moissac o nella basilica di Saint-Sernin a Tolosa. Eppure non si tratta di semplici imitazioni: Wiligelmo è figlio di un’epoca in fermento, dove circolano idee, tecniche, forme. La sua arte nasce da uno scambio, non da una dipendenza.

Il suo lascito è enorme: da lui discendono Niccolò e Benedetto Antelami, pilastri della scultura romanica italiana. Più che una bottega, quella di Wiligelmo fu una scuola — e più che uno scultore, fu un narratore della fede, capace di trasformare il marmo in storia, visione, emozione.


Nessun commento:

Posta un commento

Corso di storia dell'arte: Azcona 1988

Azcona 1988 Abel Azcona (Madrid, 1º aprile 1988) è un artista spagnolo specializzato in azioni artistiche. L'artista Abel Azcona durante...