lunedì 25 agosto 2025

Corso di storia dell'arte: Dubuffet 1901

Dubuffet 1901









Jean Dubuffet e l’Art Brut:
una rottura epistemologica nella storia dell’arte del Novecento

Introduzione

Jean Dubuffet (Le Havre, 1901 – Parigi, 1985) rappresenta una delle figure più radicali dell’arte europea del secondo dopoguerra. La sua opera si inscrive in una genealogia che, pur dialogando con l’avanguardia storica, si colloca programmaticamente in opposizione alla tradizione culturale occidentale. Fondatore e teorico dell’Art Brut, Dubuffet ridefinisce la nozione stessa di creatività, spostando l’asse dall’opera come oggetto estetico codificato alla produzione artistica come espressione immediata, primaria e priva di mediazioni accademiche¹.


Formazione e influenze

Il percorso formativo di Dubuffet appare atipico se confrontato con quello di molti artisti coevi. Dopo una breve esperienza all’Académie Julian, il contatto con Suzanne Valadon, Fernand Léger e Raoul Dufy non determinò una adesione stilistica, ma piuttosto un processo di rifiuto. Decisivo fu invece l’incontro con il testo di Hans Prinzhorn, Bildnerei der Geisteskranken (1922), che sistematizzava la produzione visiva dei malati psichiatrici².

Le influenze di Paul Klee, Kandinskij e Miró restano evidenti nella fase iniziale, ma già nella metà degli anni Quaranta Dubuffet se ne distacca per intraprendere una ricerca orientata verso l’autonomia radicale del gesto creativo.


Teoria e pratica dell’Art Brut

L’elaborazione del concetto di Art Brut (1945) costituisce una vera e propria svolta epistemologica. Per Dubuffet, l’arte “cruda” si oppone a ciò che egli definisce “cultura asfissiante”, intesa come sistema di regole che neutralizza la vitalità del segno³.

Non a caso, gli esempi privilegiati provengono dai disegni dei bambini, dalle opere dei malati mentali, dai graffiti, dall’arte popolare o da quella “primitiva” (nel senso etnografico con cui l’Europa coloniale la percepiva). La fondazione della Compagnie de l’Art Brut (1947), insieme a André Breton e Jean Paulhan, sancisce il passaggio dal piano teorico a quello istituzionale⁴.


Cicli pittorici e sperimentazione materica

I cicli pittorici principali attestano la volontà di superare il quadro come finestra sul mondo per trasformarlo in superficie autonoma:

  • Paysage Grotesque (1949-1950);

  • Corps de Dames (1950-1952);

  • Sols et Terrains, Assemblages e Texturologies (1953-1959);

  • Matériologies (1959-1960).

Queste sperimentazioni anticipano parte delle ricerche informali europee, pur distinguendosene per la matrice anticulturale. Come osserva Michel Thévoz, Dubuffet non cerca una pittura “esistenziale”, bensì un linguaggio che recuperi l’autenticità della materia grezza⁵.


Confronti e genealogie critiche

Il pensiero di Dubuffet si può leggere in relazione a diverse costellazioni artistiche:

  • Surrealismo, con cui condivide l’interesse per l’inconscio, pur rifiutandone la mediazione letteraria.

  • Espressionismo astratto, vicino per la centralità del gesto, distante per la monumentalità.

  • Arte povera e postmoderna, anticipate nell’uso di materiali non convenzionali.

  • Outsider Art, termine coniato da Roger Cardinal (1972) come equivalente inglese di Art Brut⁶.


La nozione di “anticultura”

Dubuffet elabora la nozione di anticultura come strumento critico nei confronti delle istituzioni artistiche. Non si tratta di mera negazione, ma di un paradigma alternativo alla cultura dominante. Come nota Rosalind Krauss, questa posizione apre a un ripensamento dei dispositivi museali stessi, che finiscono per assorbire ciò che nasceva come opposizione⁷.


La serie Hourloupe e la monumentalità pubblica

Con la serie Hourloupe (1962-1974), Dubuffet approda a un linguaggio fatto di contorni neri e campiture piatte, tradotto in sculture monumentali e architetture immaginarie. Opere come il Coucou Bazar o le installazioni pubbliche degli anni Settanta attestano la capacità di trasporre la logica dell’Art Brut in una scala urbana, ridefinendo il rapporto tra arte e spazio pubblico⁸.


Ricezione critica e retrospettive

A partire dagli anni Cinquanta, Dubuffet ottenne un riconoscimento internazionale crescente, con retrospettive al MoMA, alla Tate, allo Stedelijk e al Guggenheim. Questo paradosso – un artista anticulturale celebrato dalle istituzioni – è stato interpretato come dimostrazione della forza destabilizzante della sua ricerca, ma anche della capacità del sistema dell’arte di integrare e neutralizzare le avanguardie⁹.


Conclusioni

Jean Dubuffet ha ridefinito il concetto stesso di arte nel Novecento, sottraendolo al monopolio delle istituzioni e riconoscendo valore a forme di creatività marginali. La sua eredità risiede nella legittimazione di una pluralità di pratiche, che continua a influenzare la critica contemporanea e i dibattiti sull’arte outsider.


Note

  1. J. Dubuffet, Prospectus et tous écrits suivants, Gallimard, Paris 1967.

  2. H. Prinzhorn, Bildnerei der Geisteskranken, Springer, Berlin 1922.

  3. J. Dubuffet, Asphyxiante culture, Paris, 1968.

  4. Compagnie de l’Art Brut, fondata nel 1947: cfr. M. Thévoz, L’Art Brut, Skira, Genève 1975.

  5. M. Thévoz, Jean Dubuffet. L’Art Brut préféré aux arts culturels, Lausanne, 1973.

  6. R. Cardinal, Outsider Art, Praeger, New York 1972.

  7. R. Krauss, The Originality of the Avant-Garde and Other Modernist Myths, MIT Press, Cambridge (MA) 1985.

  8. A. Franzke, Jean Dubuffet. Arbeiten auf Papier, Prestel, München 1985.

  9. H. Damisch, “Dubuffet et la scène culturelle”, in Critique, n. 267, 1969.


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