Giuseppe Capogrossi 1900
Giuseppe Capogrossi:dal figurativo all’informale, la grammatica segreta della pittura
1. Introduzione
Giuseppe Capogrossi (1900–1972) è stato uno dei protagonisti più significativi dell’arte italiana del Novecento. La sua traiettoria, dalla formazione classica e figurativa fino alla radicale adesione all’astrazione informale, rappresenta una delle parabole più emblematiche della modernità pittorica. Esponente della Scuola Romana negli anni Trenta, firmatario del Manifesto del Primordialismo Plastico e poi cofondatore del Gruppo Origine, Capogrossi ha saputo elaborare un linguaggio personale e riconoscibilissimo, centrato sul celebre segno a “forchetta”, ripetuto in infinite varianti, che ha fatto della superficie pittorica un campo di energia, tensione e ritmo.
2. Dalla formazione figurativa alla Scuola Romana
Capogrossi nasce a Roma da famiglia aristocratica e intraprende inizialmente studi giuridici, che abbandona presto per dedicarsi alla pittura. La sua formazione, tra la Scuola di Felice Carena e i soggiorni parigini, lo mette in contatto con le avanguardie europee e con la tradizione post-cubista.
Negli anni Trenta partecipa attivamente alla Scuola Romana, insieme a Corrado Cagli ed Emanuele Cavalli, condividendo un gusto per il tonalismo e un classicismo rinnovato, che univa suggestioni metafisiche e sensibilità moderna. La firma del Manifesto del Primordialismo Plastico (1933) testimonia un interesse per un ritorno alle origini, all’essenza plastica e arcaica della forma, anticipando in nuce la sua futura tensione verso un linguaggio essenziale.
3. Il passaggio all’astrazione
Il secondo dopoguerra segna una svolta radicale: Capogrossi abbandona progressivamente il figurativo per approdare a una pittura astratta-informale. Nel 1947, alla Galleria il Cortile di Roma, presenta una nuova maniera che rompe con la tradizione naturalistica.
La vera maturità si raggiunge con l’elaborazione del segno modulare, un elemento grafico costante, simile a una “U” dentata, che diventa la matrice di un’intera ricerca. In esso convivono arcaico e moderno, calligrafico e strutturale, gesto e progetto. Ogni tela diventa superficie di relazioni, dove il segno si moltiplica, si varia, si organizza in campiture che ricordano scritture preistoriche o cosmiche mappe simboliche.
4. Capogrossi e l’Informale europeo
In questo passaggio Capogrossi si inserisce pienamente nel contesto dell’Informale internazionale, accanto a Burri, Fontana, Vedova e al di là dei confini italiani, in dialogo con Pollock, Kline e il tachisme francese.
Tuttavia, mentre molti artisti informali puntano sull’automatismo gestuale o sulla materia bruta, Capogrossi ricerca una struttura ritmica: il suo segno non è esplosione caotica, ma cellula generativa, ripetuta con disciplina quasi musicale. In questo si rivela un elemento distintivo, che unisce lirismo e rigore, gesto e architettura, evocando una scrittura universale, una sorta di alfabeto primordiale della pittura.
5. Il Gruppo Origine e il rifiuto della retorica
Nel 1950 Capogrossi, insieme a Burri, Ettore Colla e Mario Ballocco, fonda il Gruppo Origine, nato per reazione all’eccessivo decorativismo e retorica della pittura del tempo. La loro proposta è un’arte ridotta all’essenziale, fondata su forme primarie e su una sobrietà che riflette il bisogno di autenticità e verità dopo le tragedie della guerra.
L’esperienza del gruppo dura poco, ma segna un momento cruciale per la definizione dell’identità artistica di Capogrossi: il segno diventa così strumento di rigenerazione, atto fondativo, quasi una scrittura aurorale.
6. Riconoscimento internazionale
Capogrossi partecipa più volte alla Biennale di Venezia, alla Documenta di Kassel, alla Biennale di San Paolo e alla Biennale di Tokyo. Nel 1958 il Guggenheim di New York acquisisce Superficie 210 (1957), sancendo l’ingresso del suo linguaggio nella scena internazionale.
Le sue “Superfici” circolano ampiamente, in Europa e oltre, e vengono percepite come testimonianza di un’arte italiana capace di dialogare con le correnti più avanzate, mantenendo però una cifra irriducibilmente personale.
7. Valore critico e interpretativo
La ricerca di Capogrossi può essere letta secondo tre direttrici principali:
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Archetipica: il segno richiama grafemi primordiali, pittogrammi, forme universali che rimandano a un’origine comune del linguaggio e dell’arte.
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Strutturale: la ripetizione variata del segno costruisce campi ritmici, quasi tessiture visive, dove il quadro diventa superficie dinamica e non finestra prospettica.
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Esistenziale: la sua opera riflette la condizione dell’uomo moderno, sospeso tra caos e ordine, tra gesto libero e regola, tra individualità e universalità.
8. Eredità e archivi
Alla morte dell’artista, la creazione della Fondazione Archivio Capogrossi ha permesso di tutelare e valorizzare un patrimonio documentario di grande importanza, rendendo accessibili a studiosi e ricercatori corrispondenze, cataloghi, fotografie e documenti.
La retrospettiva del 2012–2013 alla Collezione Peggy Guggenheim ha confermato l’attualità del suo linguaggio, mostrando come il segno di Capogrossi, lungi dall’essere mera ripetizione, costituisca un laboratorio inesauribile di significati e forme.
9. Conclusione
Capogrossi rappresenta un caso unico nell’arte italiana del Novecento: dal figurativo alla costruzione di un linguaggio segnico universale, la sua ricerca testimonia la tensione tra radici e modernità, tra il bisogno di un’origine e la spinta all’innovazione.
Se Burri ha lavorato sulla materia e Fontana sullo spazio, Capogrossi ha scavato nella grammatica della forma, offrendo un alfabeto visivo che è insieme personale e collettivo, antico e contemporaneo. La sua opera continua a interrogarci su che cosa significhi “scrivere” con la pittura, e su come l’arte possa farsi ancora oggi linguaggio universale.






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