lunedì 25 agosto 2025

Corso di storia dell'arte: Moore 1898

Moore 1898





Henry Moore primitivismo e modernità

1. Profilo biografico e itinerario formativo (sintesi)

Henry Moore (Castleford, Yorkshire, 1898 – Much Hadham, Hertfordshire, 1986) nasce in una famiglia operaia — figlio di un minatore di origine irlandese — condizione che segnerà la sua sensibilità verso il lavoro materiale e il paesaggio. Gli studi alle scuole d’arte di Leeds (1919) e, grazie a una borsa, al Royal College of Art di Londra (dal 1921) costituiscono la base tecnica; un soggiorno a Parigi nel 1923 lo mette in contatto con l’avanguardia europea. Dopo aver insegnato (tra cui un periodo di sette anni al Royal College a partire dal 1925), esordisce ufficialmente con la sua prima mostra personale nel 1927. Il soggiorno a Parigi, la visita alle grotte preistoriche dei Pirenei (1936) e la partecipazione alla mostra surrealista del 1936 sono tappe che influenzano fortemente il suo immaginario. Durante la Seconda guerra mondiale Moore disegna la vita quotidiana sotto i bombardamenti londinesi: un archivio grafico che resterà fondamentale per la comprensione della sua arte. Gli anni del dopoguerra — retrospettiva a New York (1946), Biennale di Venezia (1948), numerose mostre in Italia e nel mondo — lo consacrano come figura centrale della scultura moderna; negli anni ’60–’70 la sua influenza istituzionale cresce (donazioni alla Tate, Henry Moore Foundation, premi internazionali).


2. Linee di sviluppo formale: dai primi lavori al monumento aperto

Moore elabora una pratica che attraversa più stadi riconoscibili, ma sempre con continuità tematica:

  • Primi anni e sperimentazioni: formazione accademica con attenzione alla figura; l’incontro con il surrealismo e con le arti extra-europee alimenta una ricerca sulla forma organica, sull’ambiguità figura/paesaggio e su una simbologia primordiale.
  • Periodo pre- e wartime: la pratica grafica durante i bombardamenti introduce un registro testamentario, resistente e civile; parallelamente la scultura si fa più sintetica e potente.
  • Dopoguerra e grande formato: Moore sviluppa il tema della figura sdraiata e della maternità su scala monumentale; lavora con bronzo e pietra, spesso partendo da modellato in argilla e da maquette per passare alla fusione o alla scultura diretta.
  • Scomposizione e “pezzi”: negli anni successivi evolve la tendenza a spezzare la figura in elementi staccati — non una frammentazione casuale, ma un tentativo di “disarticolare” la massa in modo che la scultura sembri nascere dall’interno del paesaggio e dello spazio.

Carattere costante: una ricerca di forme che mancano di stucchevoli astrazioni geometriche e che invece puntano a sembrare «oggetti naturali», come se l’opera fosse cresciuta piuttosto che scolpita.


3. Fonti e ispirazioni: natura, archeologia, “primitivismo” e modernità

Moore dichiarò a più riprese di essere stato influenzato da reperti preistorici, arte africana e dalle pitture rupestri. Le grotte dei Pirenei (1936) e la contemplazione della scultura arcaica alimentano il suo repertorio formale: volumi arrotondati, fori interni, superfici erose, accostamenti di massa e vuoto. Questa apertura verso le cosiddette «arti primitive» fu a un tempo produttiva e problematica:

  • Produttiva, perché gli permise di parlare una lingua plastica nuova, non legata alla mera imitazione del corpo ma a una sua trasfigura- zione che restituisce forze archetipiche e corporee.
  • Problematic a, perché, lette con occhio contemporaneo, queste appropriazioni sollevano questioni di origine post-coloniale: l’uso di forme etniche come fonte estetica non è neutro e richiede oggi una riflessione critica sui rapporti di potere e sulle filiazioni culturali.

In Europa Moore si pone accanto ad altre sperimentazioni moderniste (Brancusi, Giacometti, ma soprattutto la scena inglese con Barbara Hepworth), pur mantenendo una cifra molto personale: la scultura come massa «abitabile» dallo sguardo e dal paesaggio.


4. Tecnica, processo e il ruolo del vuoto

Due elementi tecnici e concettuali ricorrono in Moore:

  1. Maquette → scala → fusione / pietra: Moore spesso partiva da piccoli modelli in argilla o gesso; questi venivano ingranditi e trasformati in bronzo o scolpiti in pietra. Questo procedimento rendeva possibile un controllo accurato dell’equilibrio tra pieno e vuoto.
  2. Il foro/lo spazio interno: l’integrazione di aperture è una costante (i «buchi» nelle forme). Il vuoto non è semplice assenza: media relazioni visive tra interno ed esterno, stabilisce connessioni tra osservatore, forma e ambiente. La sua scultura non è pensata come “maschera” ma come evento spaziale che continua nello spazio circostante.

La cura delle superfici (levigate o segnate dal segno dell’attrezzo) e la qualità materica delle patine bronzee contribuiscono a una sensazione tattile che invita al contatto, sebbene spesso l’opera sia collocata all’aperto.


5. Temi ricorrenti: maternità, sdraiato, donna, re e guerriero

I temi che l’utente ha già richiamato sono centrali e meritano un approfondimento critico:

  • Maternità / Mother and Child: è forse il motivo più noto e iconico; la madre come figura che concentra protezione e vulnerabilità. Il tema è spesso letto come un tentativo di ricostruire una umanità dopo la guerra: è una forma di consolazione monumentale, ma anche un’immagine ambivalente perché solidifica un’idea tradizionale della femminilità.
  • Figura sdraiata: il reclinato è per Moore un modo di coniugare corpo e paesaggio — il corpo si “adagia” sulla terra, l’orizzonte diventa parte della figura. Questo rapporto produce un’arte site-specific per eccellenza: molte delle sue sculture dialogano con il cielo, la vegetazione, la pietra del sito.
  • Figure simboliche (re, regina, guerriero): spesso Moore ricorre a archetipi mitici; non sempre si tratta di narrazioni esplicite: piuttosto la forma suggerisce ruoli umani e stagioni della storia. Qui si innesta la tensione tra mito e modernità: Moore non ripropone un’epica tradizionale, ma usa il mito come potenza formale che legittima la monumentalità.

Criticamente: questi temi, pur universali, possono essere letti come conformi a un immaginario largamente maschile e consolatorio, che valorizza certe figure di potere (il guerriero, il re) e stabilizza il ruolo della donna nella relazione madre/figlio. La critica femminista ha indagato questa ambivalenza.


6. I disegni di guerra: testimonianza documentaria e sorgente di forme

I numerosi disegni che Moore eseguì tra il 1940 e il 1942 — scene di rifugi antiaerei, persone in fila, strutture urbane sventrate — non sono mera cronaca: sono una pratica formativa. La durezza delle immagini, il tratto segreto e nervoso, la rappresentazione della fragilità umana contribuiscono a due risultati:

  • danno una legittimazione documentaria alla sua poetica della forma pulsante e piegata sulla sopravvivenza;
  • offrono un controcampo morale alla monumentalità successiva: la grande scultura all’aperto non cancella la memoria del trauma da cui proviene.

Questi disegni spiegano perché molte opere di Moore non siano semplicemente «decorative»: portano con sé una memoria vulnerabile, talora taciuta ma sempre presente.


7. Sculture pubbliche, scala e rapporto con il paesaggio

L’uso del grande formato e la collocazione in spazi aperti sono aspetti distintivi:

  • Relazione con il pubblico: la scultura all’aperto modifica i ritmi di ricezione: il passante la incontra, vi si misura, la tocca. Moore pensava l’opera come esperienza collettiva, non come oggetto isolato in sala.
  • Integrazione paesaggistica: molte opere dialogano con elementi naturali e architettonici; la collocazione non è secondaria ma parte costitutiva del significato. Questo aspetto ha reso le sue sculture molto richieste per spazi pubblici e parchi.
  • Problemi: la grande scala comporta anche problemi di manutenzione, di riproducibilità e di legittimazione istituzionale (commissioni, rapporti con sponsor, musei). Alcuni critici hanno visto nella sponsorizzazione delle grandi commissioni una mercificazione dell’arte pubblica.

8. Ricezione critica e controversie

La ricezione di Moore è stata ampia e spesso contraddittoria:

  • Accoglienza internazionale: dopo il 1945 Moore divenne figura di riferimento nella scultura moderna; mostre a New York, Venezia e in molti musei lo inserirono nel canone internazionale.
  • Critiche estetiche: taluni critici avrebbero voluto una scultura più radicale; altri lo accusarono di ripetitività tematica. A posteriori, alcune letture lo bollano come “umanista rassicurante”, capace di piacere a commissionanti e pubblico senza rompere i ponti con l’estetica istituzionale.
  • Critiche politiche e postcoloniali: l’uso di fonti «primitive» e la narrativa del ritorno alle origini sollevano interrogativi sulla modalità di appropriazione culturale. Inoltre, l’assenza di una postura politica esplicita in molti momenti (sebbene Moore abbia rappresentato la sofferenza della guerra) è stata interpretata come distanza o rassegnazione rispetto alle tensioni politiche del suo tempo.
  • Critiche di genere: le reinterpretazioni di temi come la maternità sono state messe in discussione dalle letture femministe, che sottolineano come l’iconografia mooreana spesso naturalizzi ruoli tradizionali.

9. Eredità e istituzionalizzazione

La donazione di sculture alla Tate (1967), la grande mostra fiorentina del 1972 e la nascita della Henry Moore Foundation (1977) consolidano la sua eredità istituzionale: archivio, conservazione, studi e tutela del sito di Much Hadham. Questa istituzionalizzazione ha garantito una larga accessibilità ma ha anche trasformato Moore in un nome-categoria, con il rischio di una lettura museale che stabilizzi il mito e lo renda meno interrogabile.

La sua influenza sulla scultura britannica e internazionale è indubbia: ha contribuito a trasformare la scultura pubblica e a rendere il rapporto corpo-paesaggio un tema centrale del XX secolo.


10. Valutazione critica sintetica

Punti di forza

  • coerente integrazione fra forma organica e simbolismo archetipico;
  • capacità di parlare a pubblici diversi grazie a forme potenti e immediate;
  • pensiero progettuale attento al sito e al contesto pubblico;
  • ricca produzione grafica che testimonia e alimenta la scultura.

Limiti e ambiguità

  • ripetitività tematica e qualche stagnazione formale nelle fasi tarde;
  • questioni etiche relative all’appropriazione di repertori non-occidentali;
  • potenziale conservatorismo iconografico (maternità, figura del guerriero, archetipi che possono riprodurre ruoli tradizionali);
  • la forte istituzionalizzazione del suo nome che può oscurare letture più critiche e contestuali.

11. Conclusione: Moore oggi

Henry Moore rimane una figura centrale della scultura del Novecento per l’inesausta attenzione alla forma come corpo-paesaggio e per la capacità di coniugare memoria e monumentalità. La sua opera continua a parlare perché produce immagini capaci di mettere in gioco la percezione corporea e la memoria storica; tuttavia la ricezione contemporanea lo avvia a una seconda rilettura critica, che integra il valore formale con analisi sulla provenienza delle forme, sulle dinamiche di potere che informano il museo e lo spazio pubblico, e sulle implicazioni di genere dei suoi archetipi.



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