Mario Deluigi 1901
Mario Deluigi e la poetica della luce nello Spazialismo italiano
Introduzione
Mario Deluigi, talvolta indicato come De Luigi (Treviso, 21 giugno 1901 – Dolo, 27 maggio 1978), rappresenta una delle figure più significative, e al tempo stesso meno immediatamente celebrate, dell’arte italiana del Novecento. La sua appartenenza al movimento spazialista, fondato da Lucio Fontana, e la sua continua ricerca pittorica incentrata sul fenomeno della luce, lo collocano tra gli interpreti più originali del secondo dopoguerra. Nonostante una personalità schiva e refrattaria al protagonismo, Deluigi ha progressivamente conquistato un ruolo critico fondamentale, oggi riconosciuto da molti studiosi come una delle voci imprescindibili del panorama artistico del secolo scorso.
Formazione e prime esperienze
Figlio di Eugenio, decoratore d’interni, e di Alceste Pasti, Deluigi cresce in un ambiente permeato da sensibilità estetica e artigianale. Dopo aver conseguito privatamente la maturità artistica nel 1925, coltiva inizialmente l’idea di intraprendere studi musicali presso il conservatorio, ma su pressione della famiglia si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Qui segue le lezioni di Ettore Tito e Virgilio Guidi, due figure fondamentali della pittura veneziana del primo Novecento, che contribuirono a forgiare il suo occhio pittorico, pur senza condizionare il suo futuro orientamento verso l’astrazione luministica1.
Nonostante non porti a termine gli esami accademici, Deluigi acquisisce gli strumenti per una pittura che già negli anni Trenta si rivela attenta alla resa atmosferica, con un’attenzione particolare al rapporto tra colore, luce e materia. La sua presenza precoce alla Biennale di Venezia del 1930 e del 1932 testimonia l’immediata vitalità della sua ricerca.
L’incontro con lo Spazialismo
La svolta più significativa si verifica negli anni Cinquanta, quando Deluigi aderisce al movimento spazialista di Lucio Fontana, firmando il Manifesto dello Spazialismo nel 19512. Lo Spazialismo si proponeva di superare i confini tradizionali della pittura, integrando spazio, luce, tempo e materia in un linguaggio radicalmente innovativo.
In questo contesto, Deluigi emerge per la sua specifica attenzione al problema della luce, intesa non come semplice elemento di resa figurativa ma come soggetto autonomo della pittura. La sua ricerca anticipa alcuni tratti che diverranno emblematici nei celebri “tagli” di Fontana: l’idea che la superficie pittorica non sia più un piano chiuso, ma un campo di energia e di possibilità percettive.
La tecnica del “grattage” e la poetica della luce
Il contributo più originale di Deluigi allo Spazialismo si concentra nella tecnica del grattage. Essa consiste nel graffiare la superficie pittorica con strumenti metallici, ottenendo sottili incisioni che attraversano il colore e creano vibrazioni luminose. Questo procedimento genera una trama di linee e di riflessi che conferiscono all’opera un effetto dinamico, simile a scintille o pulviscoli luminosi sospesi nello spazio3.
L’illusione non è mai puramente decorativa: al contrario, le superfici di Deluigi mettono in scena la materialità stessa della luce, rendendola protagonista assoluta del quadro. La critica ha spesso sottolineato come queste superfici anticipino, per rigore concettuale e radicalità, il gesto fontaniano del “taglio”: se Fontana spalanca lo spazio, Deluigi lo fa vibrare di energia luminosa.
Ricezione critica e partecipazione espositiva
Deluigi partecipa a otto edizioni della Biennale di Venezia, con due importanti sale personali nel 1962 e nel 1968, e a due Quadriennali di Roma (1959 e 1972). La Biennale del 1980 gli dedica una retrospettiva postuma, segno del consolidarsi della sua statura critica4. Opere di Deluigi sono oggi conservate in numerosi musei e collezioni pubbliche, tra cui il Museo Revoltella di Trieste e la collezione della Stazione di Venezia Santa Lucia, dove realizza un grande mosaico.
Critici come Renato Barilli hanno riconosciuto in lui uno dei più coerenti e rigorosi interpreti della pittura spazialista, sottolineando come la sua ricerca sulla luce abbia aperto nuove possibilità al linguaggio astratto in Italia5.
Personalità e eredità artistica
Figura appartata e lontana dai clamori, Deluigi non cercò mai un protagonismo mediatico. La sua serietà intellettuale e il suo silenzio apparente hanno contribuito, forse, a ritardarne il pieno riconoscimento critico. Solo a partire dagli ultimi decenni del XX secolo la storiografia artistica ha iniziato a collocarlo stabilmente tra i protagonisti del secondo Novecento.
La sua eredità risiede nell’aver portato avanti, con coerenza e originalità, un’indagine estetica sulla luce intesa come sostanza pittorica e come principio ordinatore dello spazio. I suoi “grattage” non sono semplici esperimenti tecnici, ma veri e propri laboratori di percezione, capaci di interrogare i rapporti tra arte, visione e realtà fisica.
Conclusione
Mario Deluigi appare oggi come una figura centrale per comprendere le declinazioni dello Spazialismo italiano, ma anche come un artista capace di oltrepassarne i confini. La sua ricerca sulla luce si colloca in un dialogo internazionale con le esperienze astratte e luministiche di altri protagonisti del secondo dopoguerra, ma mantiene una singolare identità, radicata nella tradizione veneziana e proiettata verso una modernità inquieta e sperimentale.
Il suo percorso dimostra come la grande arte non sia soltanto quella che conquista immediatamente la ribalta, ma anche quella che, con pazienza e rigore, costruisce spazi di senso destinati a durare nel tempo.
Note
P. Levi, La pittura veneziana del primo Novecento, Milano, Electa, 1995. ↩
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L. Fontana, Manifesto dello Spazialismo, Milano, 1951. ↩
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R. Barilli, L’arte contemporanea: da Cézanne alle ultime tendenze, Bologna, Il Mulino, 2007. ↩
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Catalogo della Biennale di Venezia 1980, Venezia, La Biennale, 1980. ↩
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R. Barilli, Le figure del Novecento, Torino, Einaudi, 1992. ↩







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